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Gaza: “Non è il Momento”, “Equivalenza Morale”, “Liberalismo”

Di Kevin Carson. Originale: On Gaza: “Now Is Not the Time”, “Moral Equivalency”, and “Liberalism”, del 26 ottobre 2023. Traduzione di Enrico Sanna.

L’“Equivalenza morale” è l’unica alternativa al nichilismo

Subito dopo l’attacco terroristico del sette ottobre, il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato:

Per quanto riguarda l’esercito, c’è poca differenza tra civili e Hamas, che governa il territorio assediato dal 2007. “Dice il falso chi dice che i civili non sanno o non sono coinvolti,” ha detto Herzog durante una massiccia campagna di bombardamenti per vendicare il massacro di civili israeliani della settimana scorsa. “Avrebbero potuto insorgere e combattere il regime del male che si è impadronito di Gaza con un colpo di stato.”

Per inciso, le parole di Herzog sono particolarmente ciniche dato non solo il ruolo del governo israeliano nel sostenere Hamas agli inizi, ma anche il fatto che sia Netanyahu che il Likud hanno visto con favore l’avvento al potere di Hamas.

Quando dice che la popolazione civile è responsabile delle azioni dei loro capi, e quando parla di guerra totale perché tutta la popolazione è composta da combattenti, Herzog ricorda i ragionamenti fatti per giustificare il bombardamento americano di Dresda e Tokyo, così come le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non a caso un altro israeliano, il professor Yaron Zelicha, leader dell’estremista New Economic Party ha detto: “La fine di questa guerra per Gaza è come la fine della seconda guerra mondiale per Dresda. Si tratta di nazisti in entrambi i casi.”

Specularmente, Hamas giustifica l’assassinio e il rapimento di civili (compresi bambini) israeliani dicendo che sono responsabili dei crimini del loro stato.

Da quando c’è stato l’attacco terrorista di Hamas ed è iniziato l’attacco brutale di Israele contro Gaza, in occidente è riaffiorato il concetto di “equivalenza morale”. L’espressione risale al più tardi all’ambasciatrice americana all’Onu, la neoconservatrice Jeanne Kirkpatrick, che, rispondendo a chi condannava come immorali le infinite invasioni, i bombardamenti a tappeto, il sostegno ai golpe, ai golpisti militari e agli squadroni della morte da parte degli Stati Uniti, dal Guatemala all’Indonesia al Cile, rispose accusandoli di fare “equivalenza morale” perché ponevano sullo stesso piano il “pompiere” americano e il “piromane” sovietico. Parimenti, secondo i sostenitori dell’apartheid israeliano non si possono mettere sullo stesso piano gli accidentali “danni collaterali” dell’“esercito più giusto al mondo”, nonché della “unica democrazia in Medio Oriente”, e il terrore deliberato di un nemico che, come diceva Orwell, è composto da “minacciosi selvaggi il cui unico punto d’onore è l’atrocità.”

Se poi qualcuno avanza l’ipotesi che alla violenza irrazionale potrebbero aver contribuito la rabbia e la frustrazione accumulata in settantacinque anni di occupazione straniera, il fatto di essere stati sfrattati dalle proprie città e villaggi in tutta la Palestina, di essere rinchiusi in campi profughi, di vedere anche ciò che resta della Cisgiordania distrutto con i bulldozer dagli occupanti, e di essere costretti a vivere in quella prigione a cielo aperto che è Gaza… bè, questo “non è il momento” di parlare di queste cose. E “non è il momento” di parlare dell’inettitudine di Netanyahu nel passato recente (così come non era il momento di parlare dell’inettitudine di Bush dopo l’undici settembre).

A guerra in corso, non è mai il momento giusto per indagare sulle cause profonde di una guerra, o per chiedersi se per caso la politica dello stato ha contribuito direttamente alla situazione. È invece il momento giusto per stare uniti dietro ai leader, per sostenere le truppe, sventolare la bandiera e fare il buon tedesco (o americano o israeliano). Possiamo anche non discutere le cause di fondo, possiamo tacere sul fatto che i vertici politici non cambiano politica nonostante le loro scelte scatenino reazioni che diventano guerre sanguinose che durano dieci, vent’anni, fino a diventare argomento accademico che interessa soltanto alcune frange dell’estrema sinistra. Ma dobbiamo tacere immediatamente se le reazioni contro l’azione dello stato sfociano in un’altra guerra.

A questi si aggiungono quei marxisti leninisti, anarchici e altri a sinistra che accusano di “equidistanzismo” chi condanna il terrorismo di Hamas contro bambini e civili, rispondono con arroganza che “i coloni non sono mai civili”. Così che chiunque nel nome di una morale universale ipotizzi che uccidere qualsiasi bambino sia sbagliato, semplicemente perché è un bambino, ecco che viene sprezzantemente accusato di essere un “liberale” o un “borghese”.

In realtà, il momento è sempre. Quando lo stato marcia verso una nuova guerra che scatenerà una lunga serie di rappresaglie, quello è il momento di chiederci se non è per caso la politica dello stato ad averci condotto fin lì, e di chiederci anche cosa dobbiamo fare per evitare tutte le guerre infinite che ci infliggiamo da soli: infinite, certo, perché a differenza di Bill Murray in Ricomincio da capo, non riusciamo mai ad imparare dalle conseguenze di ciò che lo stato fa in nome nostro.

L’unica alternativa alla “equivalenza morale” è il nichilismo morale. O giudichiamo le azioni di “entrambe le parti” secondo uno standard valido per tutti, o non abbiamo niente su cui basare un qualunque standard morale.

C’è poi chi pensa che non si può condannare tout-court, in quanto male in sé, l’uccisione di bambini, figli di coloni o no, perché questo è “borghese” o “liberale”. Se non esistono standard morali universali, su quale standard obiettivo si può condannare lo sfruttamento economico o il colonialismo? Una persona la cui morale e i cui sentimenti cambino a seconda che un bambino muoia a Gaza o in un kibbutz può, secondo me, essere definita solo “disumana”.

I valori liberali e la sinistra

Confesso di non aver mai capito la mentalità di quelle persone di sinistra per le quali l’insulto peggiore è “liberale”.

Da anarchico e socialista, non so cosa farmene del “liberalismo classico”, ovvero di quell’ideologia che prende alla lettera un insieme di diritti umani (libertà di parola, giusto processo, “proprietà privata” e “libertà di contrattare”) e afferma che tutti sono “liberi” fintanto che questi diritti sono formalmente riconosciuti validi per tutti, ma non tiene conto delle differenze di classe, della violenza di sfondo o delle disuguaglianze strutturali di forza. Questo “liberalismo” è sempre stato un’ideologia legittimante che cerca di nascondere le vere disuguaglianze dietro il paravento dei “diritti universali”.

È un liberalismo che può essere criticato in molti modi, a seconda della nostra posizione rispetto ad esso.

Sbagliato è ripudiare il liberalismo, o una qualunque forma di umanesimo, perché “borghese”. Questo accade soprattutto tra i giovani attivisti che ancora non sanno vedere le sfumature, o nei social tra i comunisti del genere più volgarmente stalinista. Credo che per loro ogni espressione di umanità, gioia di vivere, sensibilità estetica o morale che vada oltre le schiere di lavoratori che vediamo nel film Metropolis sia “borghese”.

È più corretto riconoscere che socialismo e liberalismo hanno radici comuni che affondano nell’umanesimo illuminista. È così, e non ripudiando i valori dichiarati del liberalismo, che il socialismo può trascendere e far diventare reali quegli stessi valori, portando i proclami liberali ad un livello più alto e rendendo reale la loro pretesa universalità.

Oggi i marxisti volgari liquiderebbero anche Marx come “liberale” se leggessero alcune sue citazioni in forma anonima. Marx denuncia spesso la realtà capitalista riguardante gran parte della popolazione perché smentisce le promesse del liberalismo borghese, promesse che solo una società socialista e comunista è in grado di realizzare universalmente. Un esempio: il capitalismo, che santifica il diritto alla “proprietà privata”, nasce privando la stragrande maggioranza della popolazione del diritto di usare la terra, togliendo loro quella sicurezza e indipendenza economica che derivano da quello stesso diritto. Per gran parte della popolazione, il diritto della “proprietà privata” era solo teorico: vivevano in case che non appartenevano a loro e la loro sopravvivenza dipendeva da chi dava loro un lavoro. E per quei pochi capitalisti che li avevano espropriati, i mezzi di produzione erano collettivizzati, nel vero senso della parola, e posti sotto il controllo di un numero sempre più piccolo di aziende sempre più grandi. Ma è con una classe lavoratrice emancipata e l’istituzione di una società di produttori associati (espressioni che suoneranno sicuramente “borghesi” agli orecchi dei vecchi comunisti) che i lavoratori possono riappropriarsi degli strumenti della propria vita e raggiungere così quelle condizioni di vita che i liberali possono solo promettere.

Ralph Miliband, marxista, considerava inutili quei marxisti che dicevano no per principio alle libertà civili “borghesi”, o quegli stalinisti per i quali i diritti economici erano un sostituto delle libertà civili e non un complemento. Per Miliband, diritti politici e giusto processo, due diritti acquisiti nelle democrazie parlamentari borghesi, rappresentavano la base da cui partire, non qualcosa da eliminare, da affiancare semmai a forme di emancipazione economica in grado di rendere reale la libertà e la capacità d’azione di tutti. Così scrive in The State in Capitalist Society:

È vero che le libertà civili e politiche delle ‘democrazie borghesi’ hanno carattere contingente, e che, come è stato doverosamente notato, alcune di queste libertà sono solo il paravento del dominio di classe, ma resta il fatto che molti altri sono stati gli elementi vitali importanti nelle società capitaliste avanzate; e che hanno influito materialmente sul rapporto tra stato e cittadino e tra classi dominanti e subordinate. È segno di pericolosa confusione credere e affermare che le ‘libertà borghesi’ sono inutili perché inadeguate e minacciate costantemente dall’erosione. Nonostante i limiti enormi e le ipocrisie, c’è un abisso tra la ‘democrazia borghese’ e le varie forme di dispotismo conservatore, soprattutto di tipo fascista, che hanno rappresentato l’alternativa al regime politico proprio del capitalismo sviluppato. Se si vuole fare una critica socialista delle ‘libertà borghesi’, il punto non è (o non dovrebb’essere) che sono inutili, ma che sono ampiamente insufficienti, e che pertanto devono essere ampliate trasformando radicalmente il contesto economico, sociale e politico che le condanna all’inefficacia e all’erosione.

In un certo senso, secondo Miliband il movimento socialista aveva come fine non eliminare ma salvare e preservare la libertà borghese. Il rafforzamento crescente della lotta di classe e della crisi economica della società capitalista significava che, in un’ottica capitalista, le classi di governo erano state costrette ad abbandonare il liberalismo borghese e adottare il dispotismo al fine di sopravvivere.

Per quanto mi riguarda, il liberalismo non lo amo ma neanche lo butto via. Piuttosto vorrei che il movimento anarchico, e quello socialista in generale, accogliessero e esaltassero il meglio del liberalismo; dobbiamo essere noi a portare avanti tutto ciò che vale la pena preservare del lascito liberale. È con questo spirito che dico che questo è il momento di denunciare gli abusi di potere, da qualunque parte provengano. Le azioni di ognuno, non importa chi è, devono essere giudicate secondo un unico standard morale.

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Commentary
On Gaza: “Now Is Not the Time,” “Moral Equivalency,” and “Liberalism”

“Moral Equivalency” is the Only Alternative to Nihilism.

Israeli President Isaac Herzog said, in the aftermath of the October 7 terror attack, that 

as far as the military is concerned, there is little difference between Gaza’s civilian population and Hamas, which has governed the besieged territory since 2007. “It’s not true this rhetoric about civilians [being] not aware, not involved,” Herzog said in the middle of an unprecedented Israeli bombing campaign in retaliation for Hamas’s massacre of Israeli civilians last week. “They could have risen up, they could have fought against that evil regime which took over Gaza in a coup d’etat.”

Just as an aside, Herzog’s comment was especially cynical given not only the role of the Israeli government in supporting Hamas in its early days, but the fact that Netanyahu and Likud cynically welcomed Hamas coming to power in Gaza

Herzog’s argument for the moral culpability of civilian populations for the actions of their leaders, and for approaches to total warfare that treat entire populations as combatants, echoes arguments used to justify the American firebombings of Dresden and Tokyo, as well as the atomic bombings of Hiroshima and Nagasaki. In fact another Israeli, Professor Yaron Zelicha, leader of the fringe New Economic Party, explicitly said “Gaza must look at the end of this war like Dresden did at the end of World War 2. They are Nazis.”

It also mirrors Hamas’s own justification for murdering and kidnapping Israeli civilians — even children — for the crimes of the Israeli state.

In the days since the Hamas terror attack and the beginning of Israel’s reckless assault on Gaza, the familiar Western refrain regarding “moral equivalence” is once again heard. It’s a talking point going back at least to neoconservative UN Ambassador Jeanne Kirkpatrick, who — in response to moral condemnation of the US for its endless invasions, carpet bombings, and support for coups, military juntas, and death squads, from Guatemala to Indonesia to Chile — accused America’s critics of “moral equivalency” in comparing the American “fireman” to the Soviet “arsonist.” It is similarly despicable, according to apologists for the Israeli Apartheid state, to compare the regrettable “collateral damage” committed by “the world’s most moral army” and “the only democracy in the Middle East” to the deliberate terror inflicted by an enemy — in the words of Orwell’s Two-Minute Hate — “dark barbarians… whose only honour is atrocity.”

As for any discussion of whether the accumulated 75 years of frustration and rage from having had a foreign settler state built on their homeland, having been evicted from towns and villages all over Palestine, having been forced into refugee camps, seeing their villages bulldozed by settlers even in the remnant of Palestinian habitation in the West Bank, and living in the world’s largest open-air prison in Gaza, might have in some way contributed to irrational violence… well, “now is not the time” to raise such questions. It is likewise “not the time” to raise the question of Netanyahu’s incompetence in the recent past (just as it was not the time to raise similar questions about Bush after 9/11).

It is never the time to raise the question of the root causes of a war, or how a state’s own policies directly contributed to it, when the war is being fought. Now is the time to unite behind the leadership, support The Troops, put up your flag, and be a good German (or American or Israeli). We can put off discussion of root causes, of how the leadership never reconsiders its course no matter how many times blowback from the state’s policies leads to bloody wars, for ten or twenty years — until it’s a purely academic issue that only a few radicals on the Left fringe care about. But of course even then, we must stop talking about it again for the duration, the next time blowback from the state’s policy results in another war. 

Meanwhile, among some Marxist-Leninists, anarchists, and others on the Left, any condemnation of Hamas terror against children and other civilians is labeled “both-sidesism,” with the patronizing reminder that “settlers can never be civilians.” And appeals to a universal moral standard by which murdering any children might be wrong, simply because they are children, meets with contemptuous dismissal as “liberal” or “bourgeois.”

But in fact, Now is always the time. Now, when the state is stampeding us into another war that will unleash another long cycle of blowback, is the only time it ever does any good to examine how the state’s own policy might have brought us to this pass, and what we should do differently to avoid a perpetuity of self-inflicted war — endless because, unlike Bill Murray in Groundhog Day, we never let ourselves learn from the consequences of what the state does in our name.

And the only alternative to “moral equivalency” is moral nihilism. Either we judge the actions of “both sides” by the same universal standard, or we have no basis for any moral standard at all. 

As for the refusal to condemn the murder of children — settlers or not — simply because murdering children is evil… well, if that’s “bourgeois” or “liberal,” then there are worse things to be called. And if such universal moral standards don’t exist, it’s hard to see how any objective standard can exist by which economic exploitation or colonialism can be condemned either. A person whose moral and emotional reaction to the death of a toddler can be turned on or off, depending on whether that child happened to be born in Gaza or on a kibbutz, strikes me as — well, the only applicable word I can think of is “inhuman.”

Liberal Values and the Left.

I confess I’ve never understood the mentality of the sort of Leftist for whom “liberalism” is the worst swear word at their disposal. 

As an anarchist and a socialist, I’ve never had much use for “classical liberalism,” in the sense of an ideology that simply takes a collection of human rights — free speech, criminal due process, and “private property” and “freedom of contract” — at face value, and considers us all equally “free” so long as these rights nominally apply to all, without regard to actual class differences, background violence, or structural power inequalities. This form of “liberalism” has always been a legitimizing ideology, aimed at hiding real inequality behind a false veneer of “universal rights.”

But there are many ways of critiquing this kind of liberalism, with the differences hinging on where we put ourselves in relation to it in the process of criticizing it. 

The wrong way to criticize it is simply to repudiate liberalism, or any form of humanism at all, as “bourgeois.” This is disproportionately seen among college-age activists still in the process of learning to recognize nuance, and among social media “tankies” and campists of the most vulgar Stalinist sort. For the most egregious of this group, I suspect that any display of humanity, any joy in life, or any moral or aesthetic sensibilities at all beyond those of the trudging formations of workers in the Metropolis elevator scene, are “bourgeois.”

The correct approach is to recognize the common origins of socialism and liberalism in the humanistic culture of the Enlightenment. This approach, rather than repudiating the stated values of liberalism, sees socialism as transcending or fulfilling them — i.e., as genuinely realizing the claims of liberalism on a higher level, and making good its pretensions to universality.

Marx himself would be dismissed as “liberal” by today’s vulgar Marxists, based on quotes from his writing, if they read them without attribution. Time and again, Marx pointed to the ways in which actual conditions of life under capitalism gave the lie to the promises of bourgeois liberalism, for the great majority of the population — and the ways in which socialist and communist society would make those promises real for everyone. For example capitalism, with its sanctity of “private property rights,” was in fact created by dispossessing the vast majority of their communal tenure rights in the land, and robbing them of the economic security and independence resulting from those rights. For the vast majority of the people, rights of “private property” were entirely theoretical — the homes they lived in were the property of landlords, and the conditions of their livelihood were owned by their employers. And for the minority of capitalists who had expropriated them, the means of production were in a very real sense being collectivized under the control of an ever-shrinking number of large managerial business firms. But once the working class had achieved its own self-emancipation and established a society of the associated producers — two phrases that no doubt sound rather “bourgeois” to modern tankie ears — the secure possessory rights of workers in their livelihoods and living conditions only promised by bourgeois liberalism would be achieved in reality. 

Ralph Miliband, himself a Marxist, had little use for Marxists of the sort who dismissed “bourgeois” civil liberties in principle, or for Stalinist types who saw economic rights as a replacement for civil liberties rather than a completion of them. For Miliband the political and due process rights achieved under the bourgeois parliamentary democracies were something to be built upon and expanded, and supplemented by forms of economic empowerment that would make true freedom and human agency real for everyone — not something to be discarded in contempt. From The State in Capitalist Society:

Yet, when all this and more has been said about the limits and contingent character of civic and political liberties under ‘bourgeois democracy’, and when the fact has been duly noted that some of these liberties are a mere cloak for class domination, it remains the case that many others have constituted an important and valuable element of life in advanced capitalist societies; and that they have materially affected the encounter between the state and the citizen, and between the dominant classes and the subordinate ones. It is a dangerous confusion to believe and claim that, because ‘bourgeois freedoms’ are inadequate and constantly threatened by erosion, they are therefore of no consequence. For all its immense limitations and hypocrisies, there is a wide gulf between ‘bourgeois democracy’ and the various forms of conservative authoritarianism, most notably Fascism, which have provided the alternative type of political regime for advanced capitalism. The point of the socialist critique of ‘bourgeois freedoms’ is not (or should not be) that they are of no consequence, but that they are profoundly inadequate, and need to be extended by the radical transformation of the context, economic, social and political, which condemns them to inadequacy and erosion. 

In a real sense Miliband saw the socialist movement not as the grave-digger, but as the savior and preserver of bourgeois freedom. The growing intensity of class struggle and economic crisis under capitalist society meant that, from the capitalist standpoint, the ruling classes themselves were forced to repudiate bourgeois liberalism and turn toward authoritarianism in the interests of survival.

So I come neither to praise liberalism nor to bury it. Rather, I call on anarchism, and on the socialist movement more broadly, to embrace and celebrate all of the best in liberalism, and to make ourselves the new bearers of all that is worth preserving in its legacy. In that spirit, I say now is always the time to criticize abuses of power, regardless of which side commits them. And the actions of everyone, regardless of side, are to be judged by the same moral standard.

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Nessuno Pensa ai Poveri Latifondisti che Pagano le Tasse?

Di Kevin Carson. Titolo originale: Won’t Somebody Think of the Poor Taxpaying Landlords? del primo ottobre 2023. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

Su Reason, Liz Wolfe (“Did NYC Just Kneecap Airbnb?”), esce dal suo solito giustificazionismo delle piattaforme tecnologiche e invade il campo di Christian Britschgi, la voce dei latifondisti immobiliari. Confesso che l’idea di “gambizzare” (kneecapping, ndt) Airbnb mi piace, anche se forse non è questo che intende l’articolista.

L’articolo contiene molti errori, ma soprattutto è falso. In tutto l’articolo, Liz cita una sola persona, un padrone di casa che affitta metà di un duplex ristrutturato in cui vive, come rappresentante della parte lesa. Julian Ehrhardt fa parte di un’associazione, RHOAR (Restore Homeowner Autonomy & Rights, Ripristinare l’autonomia e i diritti dei padroni di casa, ndt), che la Wolfe descrive come “iniziativa popolare”. Ehrhardt dice più volte che la legge viola specificamente i diritti di proprietà dei padroni di casa, scagliandosi contro i sostenitori (della legge) che “ci [etichettano] come ricchi padroni”. Ovviamente, aggiunge un tocco di populismo di destra accusando i sindacati, l’uomo nero di Reason.

Oltre ai “padroni di casa” (tra cui società immobiliari e singoli proprietari di numerosi appartamenti), tra le persone i cui interessi potrebbero essere toccati la Wolfe cita alcuni suoi parenti, che quando vanno a farle visita affittano una casa su Airbnb. Il resto è un’accusa contro “i burocrati ottusi che ce l’hanno contro la vecchia zia che dà in affitto una stanza inutilizzata”.

Parlare di “padroni di casa”, e non di proprietari assenteisti che affittano appartementi a breve causando scarsità che fa salire i prezzi, è semplice disonestà.

Dice la Wolfe che la legge “impone ai padroni di casa di ‘convivere’ con gli ospiti”. In soldoni, significa che Airbnb dovrebbe tornare a com’era agli inizi, nel 2007, quando, come si arguisce dal nome, i fondatori intendevano un bed and breakfast con un letto in più, e non società immobiliari assenteiste che sfrattano gli inquilini per convertire appartamenti e case in affitto in alloggi da affittare a breve termine.

È vero però che la legge apparentemente produce imprevisti legati alle dimensioni: come dice l’articolo della Wolfe, la legge vieta a una famiglia di affittare il proprio appartamento mentre è in vacanza, e a chi occupa la metà di un duplex di affittare l’altra metà. RHOAR dunque avrebbe ragione, visto che è composta perlopiù da proprietari di “case bifamigliari” (duplex), il cui principale obiettivo è “l’esenzione dei proprietari occupanti e dei proprietari di duplex”.

Ma è ingannevole dire che obiettivo principale della legge sono soprattutto vecchi casolari e monolocali. È una falsità paragonabile ai filmati propagandistici del secondo dopoguerra dell’associazione manifatturiera nazionale e altri gruppi industriali che identificavano “la nostra libera impresa” con il bottegaio che coi gomiti sul banco spiegava a due ragazzini cos’è il capitalismo, o col tipo geniale che “avviava un’attività” o inventava qualche aggeggio. Il simpatico bottegaio sta ai giganti industriali che finanziavano la propaganda capitalista del dopoguerra come il povero “padrone di casa” di Ehrhardt sta ai furfanti del mercato immobiliare di New York: si tratta in quest’ultimo caso di capitali privati e investitori istituzionali che comprano residenze a migliaia, le danno in affitto tramite Airbnb, e così facendo limitano la disponibilità di alloggi e fanno salire gli affitti.

Questo non significa che approvo la legge, anche se è importante capire che il confronto è tra la nuova legge e una situazione prodotta interamente dallo stato con le sue leggi. La questione è: la legge accresce o no il potere dello stato rispetto a prima? Da anarchico, se vivessi a New York vedrei nella legge, imprevisti a parte per le vecchie zie, un calo netto del potere dello stato perché limita la possibilità dei proprietari immobiliari di abusare dei privilegi concessi dallo stato stesso. Il vettore principale del potere statale è il latifondismo, e la legge in questione rappresenta un restringimento secondario dei peggiori mali del latifondismo. Per inciso, sulla distinzione tra intervento statale primario e secondario (che rappresenta potere statale formale ma non sostanziale), vedi il mio articolo “Formal vs. Substantive Statism: A Matter of Context”.

Certo la soluzione non è ottimale. In pratica, lo stato sta cercando di limitare i danni causati dagli abusi dei suoi precedenti privilegi, al fine di rendere più stabile il sistema nel lungo termine. Ciò che serve però è un attacco al cuore del problema, ovvero il latifondismo.

Così la Wolfe:

Gli amministratori comunali sputano nel piatto dove mangiano: colpiscono sia i turisti che aiutano l’economia (che ai residenti piaccia o no) che i proprietari di case, che pagano le tasse e offrono un alloggio ad acquirenti consenzienti a condizioni condivise.

* * *

Ma anche ammesso che la colpa della crisi dell’offerta sia interamente degli affitti a breve termine, toccare i diritti dei proprietari è un pessimo precedente.

Manca solo una vignetta con i proprietari di case vestiti da straccioni e la statua della libertà in lacrime.

Dire poi che “offrono un alloggio ad acquirenti consenzienti a condizioni condivise” non significa nulla. Se certe classi o istituzioni “offrono” qualcosa è perché, per definizione, sono le regole strutturali di un dato sistema a dare loro questo potere di “offrire”. In un sistema basato sui prezzi di mercato, proprietà e produzione possono essere arrangiati in tanti modi, con conseguenti ampie variazioni del prezzo di equilibrio. Se comprare e vendere qualcosa è lecito, e se si arriva ad un prezzo di equilibrio, allora qualunque acquirente è per definizione consenziente e tutte le parti accettano, almeno formalmente, qualunque tariffa in qualunque sistema: questo a prescindere dalle norme sulla proprietà o dalle regole istituzionali che stabiliscono chi è autorizzato a vendere un dato bene o servizio. Le poste americane, ad esempio, hanno il monopolio legale della posta di prima classe (cosa che i libertari non mandano giù); dunque, applicando il ragionamento della Wolfe a difesa dei proprietari di immobili, chi acquista un francobollo ne “accetta” in maniera “consenziente” il prezzo imposto.

Il ragionamento della Wolfe è un esempio da manuale di quelle apologie del capitalismo e dell’economia ortodossa capitalista che nascondono le relazioni di potere dietro il velo dello “scambio volontario”.

Ma il cuore della questione qui è rappresentato dai “diritti dei proprietari”, se non dal concetto in sé di “proprietà”. Se andiamo a vedere, è l’origine della proprietà così come è definita nella realtà capitalista che è tutto tranne che “volontaria”.

Fin dalla rivoluzione agricola neolitica, in gran parte del mondo la terra era proprietà comune del villaggio, della famiglia estesa, del clan o di qualche altra entità collettiva. Il sistema a campi aperti dell’Europa medievale, il mir in Russia, il “modello asiatico” indiano di cui parla Marx, il giubileo di Israele nell’era prestatuale… tutte queste forme, e tante altre varianti, hanno caratterizzato gran parte del mondo per gran parte della storia fin dalla nascita dell’agricoltura.

A mettere fine a tutto ciò non è stata una qualche mitica “appropriazione pacifica di una porzione della proprietà comune tramite l’occupazione individuale” di cui parla Locke, ma un puro e semplice atto violento. L’attuale modello della “proprietà privata” capitalista (la proprietà assoluta alienabile mercificata) è una creatura del moderno stato capitalista in combutta con le classi terriere. Aiutati dal potere dello stato moderno, i feudatari riuscirono a trasformare la loro “proprietà” tradizionale, che si limitava a una rendita specifica spesso nominale, in proprietà assoluta nel senso attuale. E i contadini, privati dei tradizionali ereditari diritti di possesso e delle rendite definite dalla legge, diventarono affittuari. Insomma, quei “diritti di proprietà” che per la Wolfe sono sacri, come per “Randolph Scott” in Blazing Saddles, non sono altro che l’eredità di un furto.

Quando la terra diventa una merce fittizia (Karl Polanyi), succede che inevitabilmente diventa proprietà di pochi, i quali ne traggono una rendita. La rendita terriera è la forma originaria, paradigmatica della rendita economica, un guadagno extra rispetto alla spesa necessaria a portare una merce sul mercato, è il risultato di un potere economico. Come notano David Ricardo e Henry George, la rendita di un immobile, più che il suo valore intrinseco aggiunto ai costi degli eventuali miglioramenti, riflette i bisogni della società, ovvero di quella popolazione interessata che offre un prezzo in un’offerta limitata.

Secondo la Wolfe, la soluzione al problema degli alloggi troppo cari è sostanzialmente la panacea del movimento Yimby.

Secondo i sostenitori di Local Law 18, la causa del caro affitti di New York è negli affitti a breve. Un problema molto più grave è poi la difficoltà di costruire in una città che impone restrizioni su restrizioni onerose e che per troppo tempo ha attribuito potere di veto al movimento “not in my backyard”. E in effetti a New York gli appartamenti Airbnb sono molto meno diffusi rispetto ad altrove, come nota Scott Lincicome del Cato Institute. Nelle città servono offerte abitative differenziate a prezzi differenziati in tutti i quartieri, politiche non pianificate ma sensibili ai bisogni mutevoli del mercato.

Io non sono contro il movimento Yimby in sé, e al problema contribuiscono sicuramente le norme restrittive. Ma la soluzione cardine sta nella possibilità di costruire a prescindere dalla proprietà. Il cuore del problema è la concentrazione della proprietà immobiliare e la “proprietà privata” capitalista.

Se si vuole risolvere il problema della casa, la soluzione di fondo passa dall’abolizione della proprietà immobiliare privata capitalista per tornare alla proprietà comune. Le strategie possibili sono tante, dal land trust comunitario ai sindacati di inquilini, dallo sciopero dell’affitto all’occupazione. E finché viviamo in un mondo in cui esiste lo stato, possiamo fare pressione affinché le tasse siano meno pressanti e esose, affinché vengano tolte dalla costruzione e dai miglioramenti e spostate verso i redditi immeritati degli affitti. Così come si potrebbe eliminare lo sfratto coatto per chi occupa un alloggio inutilizzato o pignorato, o perlomeno derubricare il reato.

Quella che Liz Wolfe chiama “proprietà privata”, insomma, non è che potere statale in altra forma. Un latifondista è uno stato in scala ridotta.

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Pertanian Perkotaan Kuba, dan Periode Khusus Lama dan Baru

Oleh : Kevin Carson. Teks aslinya berjudul Cuban Urban Farming, and Special Periods Old and New. Diterjemahkan kedalam Bahasa Indonesia oleh Sachadru.

Ada kesamaan yang mencolok antara gigantisme industri Amerika Serikat dan blok Soviet pada abad ke-20, dan budaya kelembagaan mereka. Hal ini berlaku khususnya di bidang pertanian. Keduanya didasarkan pada pertanian berskala sangat besar, dengan tingkat mekanisasi yang tinggi dan penggunaan pupuk sintetis yang besar.

Sejak Revolusi Kuba hingga runtuhnya Uni Soviet, Kuba mengikuti model pembangunan pertanian Soviet. “Sebagai pengekspor gula terbesar di dunia, Kuba mengandalkan pestisida dan pupuk serta mekanisasi besar-besaran untuk memproduksi hingga 8,4 juta ton gula – panen puncaknya pada tahun 1990 – yang hampir semuanya diekspor ke blok Komunis.”(1) Federica Bono, profesor geografi manusia di Christopher Newport University di Virginia, mengatakan, “Kuba merupakan sistem pertanian yang sangat mekanis. Sistem ini telah dibandingkan dengan sistem pertanian California dengan tingkat mekanisasi dan penggunaan bahan kimia.”(2)

Hal ini juga merupakan model pembangunan neokolonial yang berorientasi ekspor dengan steroid; alih-alih substitusi impor dan diversifikasi, Kuba berfokus pada produksi tanaman komersial untuk membayar impornya:

Selama Perang Dingin, mereka telah berhenti memproduksi makanan mereka sendiri dan menyerahkan sebagian besar lahan pertanian mereka menjadi perkebunan tebu untuk memasok Uni Soviet. Sebagai imbalan atas gunungan gula ini, Moskow memberi Kuba makanan, pupuk kimia, dan bahan bakar minyak untuk mobil dan traktornya.(3)

Semua ini berakhir dengan runtuhnya blok Soviet dan Uni Soviet itu sendiri. Dalam waktu singkat, hal ini diikuti dengan hilangnya 80% perdagangan luar negeri Kuba dan munculnya kekurangan pangan yang parah – masa yang disebut Castro sebagai “periode khusus.”(4)

Ini adalah awal dari krisis pangan Kuba, sebuah periode di mana penduduknya rata- rata kehilangan sepertiga dari kalori harian mereka, pemerintah melembagakan program penghematan di masa damai untuk penjatahan makanan, dan sebagian besar penduduk Kuba mengalami kelaparan yang meluas dan tidak dapat dihindari.

Seiring dengan menguapnya impor makanan, Kuba kehilangan akses terhadap pakan ternak, pupuk, dan bahan bakar yang selama ini menopang upaya pertanian di pulau tersebut. Kelangkaan minyak menjadi begitu meluas sehingga membatasi produksi pestisida dan pupuk, membatasi penggunaan traktor dan peralatan pertanian industri, dan pada akhirnya menyita jaringan transportasi dan pendinginan yang diperlukan untuk mengirimkan sayuran, daging, dan buah ke meja-meja makan di seluruh wilayah. Tanpa pakan, pupuk, dan bahan bakar yang pernah menopang negara, sistem pertanian Revolusi Hijau Kuba secara efektif terurai.(5)

Tanggapan masyarakat sungguh luar biasa. Pada awal tahun 90-an, terjadi program kilat untuk melokalisasi dan memperluas produksi pangan, dan mengganti pertanian mekanis dengan input tinggi dengan metode produksi organik dan intensif tanah.

Pada awalnya, berjuang dengan sedikit pengetahuan dan tanpa pupuk, hasil panen mereka rendah, tetapi dengan memproduksi kompos dan media tanam organik lainnya, ditambah dengan memperkenalkan irigasi tetes, mereka mulai melihat peningkatan ….

Kualitas tanah ditingkatkan dengan campuran sisa-sisa tanaman, limbah rumah tangga dan kotoran hewan untuk menghasilkan lebih banyak kompos dan penyubur tanah. Tambahan sayuran dan buah segar yang disediakan dengan cepat meningkatkan asupan kalori penduduk perkotaan dan menyelamatkan banyak orang dari kekurangan gizi.

Pada tahun 2008, kebun-kebun pangan, meskipun berskala kecil, mencakup 8 persen lahan di Havana, dan 3,4 persen dari seluruh lahan perkotaan di Kuba, menghasilkan 90 persen dari seluruh buah dan sayuran yang dikonsumsi.(6)

Hasilnya adalah model ketahanan pangan yang luar biasa:

Pertanian perkotaan di Havana terjadi dalam berbagai skala, mulai dari taman balkon hingga ladang seluas beberapa hektar yang membentuk sabuk hijau Havana. Kebun-kebun kota di Havana biasanya menghasilkan makanan untuk konsumsi manusia dan hewan, meskipun struktur formal kebun yang sama juga mendukung produksi kompos, bahan bakar nabati, dan peternakan. Banyak dari kebun-kebun ini muncul secara oportunis dari lahan-lahan kosong dan rusak di dalam kota, mengeksploitasi hak pakai (lahan gratis yang disediakan pemerintah) untuk memanfaatkan ruang yang tersedia.

… Di sebuah atap rumah di kawasan El Cerro, seorang petani memelihara 40 marmut, enam ayam, dua kalkun, dan lebih dari seratus kelinci. Sistem seluas 68 meter persegi miliknya menggabungkan prinsip-prinsip permakultur loop tertutup, di mana ia menanam sayuran, mendaur ulang kotoran hewan organik, mengumpulkan air, dan mengeksploitasi sejumlah sinergi antar spesies. Dia telah membangun mesin sendiri untuk mengeringkan dan mengawetkan pakan, yang memungkinkannya untuk mengumpulkan kompos limbah yang melimpah dari pasar dan toko terdekat dan menyimpannya untuk masa paceklik. Usaha kecilnya di atap rumah menghasilkan daging untuk restoran dan pasar di daerah tersebut; ia adalah salah satu dari lebih dari seribu peternak kecil di Havana.(7)

Efisiensi seperti itu biasa terjadi pada pertanian perkotaan secara umum. Menurut Colin Ward, jumlah makanan yang diproduksi di kebun rumah di lingkungan yang baru dibangun di Inggris melebihi apa yang diproduksi di lahan yang sama saat masih berupa lahan pertanian.

Pertanian mekanis konvensional ala Amerika – seperti halnya kapitalisme secara keseluruhan – juga dikembangkan dengan menggunakan model pertumbuhan yang didasarkan pada penambahan input artifisial yang murah secara ekstensif.

Petani Amerika konvensional kaya akan lahan sampai-sampai mereka biasanya membiarkan sebagian besar lahannya tidak digunakan, bahkan dibayar oleh pemerintah untuk melakukannya. Karena alasan ini, apa yang disebut “pertanian” adalah investasi real estat yang terjamin seperti halnya operasi untuk memproduksi makanan.

Di negara bagian pertanian terbesar di Amerika, California, operasi agribisnis besar mendapatkan air irigasi bersubsidi dalam jumlah yang sangat besar dari bendungan yang dikelola pemerintah – bahkan ketika penduduk biasa di kota dipaksa untuk menjatah air.

Amerika Serikat juga sangat bergantung pada transportasi jarak jauh untuk mengirimkan makanan yang ditanam di perkebunan agribisnis skala besar kepada orang-orang yang mengkonsumsinya, yang jaraknya ratusan atau ribuan mil jauhnya.

Varietas benih yang disebut “hasil tinggi” dari Revolusi Hijau hanya lebih produktif atau lebih efisien dengan ketersediaan input dalam jumlah besar seperti pupuk sintetis dan air irigasi bersubsidi. Untuk alasan ini Frances Lappe menyebutnya “varietas dengan respons tinggi.”

Kapitalisme Amerika, termasuk di dalamnya pertanian, adalah – seperti “sosialisme” Soviet – sistem kekuasaan yang dipaksakan oleh negara.

Ketidakefisienan dari sistem seperti itu sudah cukup buruk, bahkan jika sistem tersebut tidak begitu rentan. Namun di atas semua itu, seandainya pertanian Amerika mengalami gangguan sistemik yang besar terhadap semua input bersubsidi yang sangat bergantung padanya, Amerika Serikat kemungkinan akan mengalami “periode khusus” tersendiri. Dan gangguan seperti itu tampaknya tidak masuk akal.

Negara-negara bagian Barat menghadapi kendala air yang parah, karena rekor kekeringan menghancurkan sungai-sungai yang menjadi sumber air irigasi. Selain ancaman jangka menengah dan panjang dari Peak Oil, pengalaman kami baru-baru ini dengan pandemi COVID dan larangan impor minyak Rusia menunjukkan bahwa pengiriman jarak jauh juga rentan terhadap guncangan pasokan jangka pendek. Dan pupuk dan pestisida sintetis telah menghasilkan efek umpan balik yang mengerikan. Ketergantungan utama pada pupuk kimia tidak hanya mengubah tanah menjadi tanah keras tak bernyawa, tetapi juga mengakibatkan pertumbuhan ganggang beracun di saluran air dan lautan. Pestisida membunuh musuh alami serangga hama dan merangsang perkembangan resistensi, sehingga racun yang digunakan sepuluh kali lipat lebih banyak tidak akan memberikan efek yang berarti. Pertanian monokultur berskala besar dan tanah yang gundul akibat pembajakan dan penggunaan herbisida menyebabkan hilangnya lapisan tanah atas secara besar- besaran.

Gabungkan semua hal ini, dan semuanya akan menghasilkan sistem pertanian yang sangat rapuh – mungkin tidak sebesar Kuba pada tahun 1990, tetapi akan semakin rapuh.

Upaya untuk melewati krisis keberlanjutan kapitalisme tahap akhir kemungkinan besar akan melibatkan pengerjaan ulang sistem pangan kita menjadi sesuatu yang direlokalisasi secara intensif, dan didasarkan pada hal-hal seperti daur ulang nutrisi loop tertutup, lanskap yang dirancang sesuai dengan Permakultur untuk pemanenan dan konservasi air hujan, dll. Dan sebagai contoh, kita tidak bisa melakukan hal yang lebih buruk daripada melihat masyarakat Kuba.


1 Roger Atwood, “Organik atau kelaparan: dapatkah model pertanian baru Kuba memberikan ketahanan pangan?” The Guardian, 28 Oktober 2017 <https://www.theguardian.com/environment/2017/oct/28/organic-or-starve- can-cubas-new-farming-model-provide-food-security>.

2 “Koperasi Pertanian Kuba: Wawancara dengan Federica Bono,” Pengorganisasian Ekonomi Akar Rumput, 20 Maret 2023 <https://geo.coop/articles/cubas-farming-cooperatives>.

3 “Pertanian Perkotaan Kuba Tunjukkan Cara Menghindari Kelaparan,” EcoWatch, 19 November 2019 <https://www.ecowatch.com/urban-farming- cuba-2641320251.html>.

4 Atwood, op. cit.

5 Carey Clouse, “Revolusi Pertanian Perkotaan Kuba: Bagaimana Menciptakan Kota yang Mandiri,” Architectural Review, 17 Maret 2014 <https://www.architectural-review.com/essays/cubas-urban-farming- revolution-how-to-create-self-sufficient-cities>.

6 “Pertanian Perkotaan Kuba Tunjukkan Cara Menghindari Kelaparan,” op. cit.

7 Clouse, op. cit.

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Spanish, Stateless Embassies
Los niños (trans) están bien

De Alex McHugh. Artículo original: The (Trans) Kids Are Alright, de 30 de octubre de 2018. Traducido al español por Vince Cerberus.

Recientemente, la administración Trump, a través del Departamento de Salud y Servicios Humanos, emitió un memorando preocupante sobre la identidad de género. En el memorando, el HHS aboga por una interpretación del género y el sexo que definiría el género como “ya sea masculino o femenino, inmutable y determinado por los genitales con los que nace una persona”. Esto haría retroceder la definición ampliada de género implementada por la administración Obama. Sigue una serie de medidas anti-trans por parte del presidente, incluidos sus intentos de prohibir a las personas trans en el ejército y la orientación de la administración a las escuelas para que apliquen políticas de baño diferenciadas por género.

Mucha gente está muy preocupada porque este ataque a la identidad en particular puede ser bastante peligroso para las personas trans que viven bajo ese régimen. Dean Spade expone algunas de las formas en que las leyes de identificación y las definiciones legales perjudican a las personas trans en Truthout:

Durante los últimos 16 años, he estado involucrado en esfuerzos para reducir la aplicación de categorías de género a las personas trans y a todos. Cuando comencé a hacer este trabajo en 2002, muchas agencias estatales y locales y regímenes administrativos federales que mantienen datos de marcadores de género sobre las personas no tenían políticas claras, o no tenían ninguna política en absoluto, sobre si alguien podía cambiar su marcador de género, o incluso en qué evidencia o documentación se basa el marcador de género en los registros o la identificación de alguien. Cuando las organizaciones legales trans comenzaron a surgir a principios de la década de 2000, trabajamos para identificar formas de reducir los daños que enfrentan las personas trans debido a la aplicación de las normas de género.

Como abogada especializada en pobreza que trabaja en Sylvia Rivera Law Project , vi este daño en la vida de mis clientes. Una clienta fue expulsada de la escuela cuando ella y su amiga aparecieron vestidas de mujeres, saliendo del armario ante sus compañeros y profesores. A otra clienta se le cancelaron sus beneficios de asistencia social cuando se presentó en su asignación obligatoria de “workfare” porque el supervisor la marcó como ausente, diciendo que no estaba “lista para trabajar” si se vestía como mujer. Otra clienta necesitaba ser internada en un refugio para víctimas de violencia doméstica, pero los refugios no la admitieron porque era trans. Un cliente fue condenado por un cargo de drogas y quería cumplir parte del mismo en el programa de tratamiento de drogas, pero el programa no lo aceptó porque era trans.

Entonces, las definiciones legales de género son ciertamente más que simples palabras para las personas trans. Pero no quiero centrarme mucho en este memorando porque no creo que realmente vaya a importar y no sé si el gran espectáculo de oponerse a él es centrar la energía y los recursos en la dirección correcta. Parte del problema es que Trump está haciendo esto justo antes de las elecciones. Supongo que está tratando de apaciguar a los conservadores evangélicos que podría haber perdido, pero eso no significa que no sea un movimiento político significativo destinado a señalar una oposición a los derechos queer en general, y a las personas trans en particular. El problema es que, al centrar el debate sobre este ataque a los derechos de los homosexuales en su pequeña estratagema electoral, mucha gente está siendo empujada hacia el cambio electoral como mecanismo para solucionar este problema.

Pero el problema de los derechos y la visibilidad de las personas trans es mucho más profundo que los decretos administrativos sobre cómo nos ve el Estado. Las personas trans se enfrentan a una amenaza mucho mayor en este momento y necesitamos recursos de resistencia centrados en eso. La iteración de los movimientos fascistas de este siglo parece ser significativamente antitrans, de una manera que ya ha llevado a que matones de extrema derecha ataquen a las personas trans, sin mencionar las acciones de la policía en todo el país. La actual alianza entre los extremistas fascistas y las fuerzas del orden estadounidenses es preocupante en todos los aspectos, y especialmente para las personas con identidades marginadas. Sólo puedo hablar de experiencias como persona trans, pero esta alianza ciertamente está aterrorizando a las comunidades de inmigrantes, comunidades negras, comunidades nativas y muchas otras de maneras igualmente extremas.

Entonces, entiendo el miedo y la ira por esta decisión, pero creo que es necesario que haya una respuesta mucho más considerada (y tal vez proporcionalmente extrema) a la creciente marea de fascismo en este país.

A qué nos enfrentamos

La aversión cultural hacia las personas trans que ha existido en muchas sociedades a lo largo del tiempo, con la que esta opresión política está estrechamente relacionada, es lo que debemos luchar ahora mismo. Y eso significa abordar el tema en todos los frentes y, en particular, crear cada vez más espacios para que las personas trans existan públicamente y sean tratadas civilizadamente. Resistir sólo el resultado final de la intolerancia anti-trans nos dejará con un ciclo continuo de reacciones violentas como hemos visto antes en este país. Como estamos viendo ahora mismo. Entonces, por mucho que haya una lucha por la política oficial y el papel que esto puede desempeñar en el acceso a los recursos y la atención, debemos pensar más allá de este decreto: debemos preguntarnos por qué el Departamento de Salud y Servicios Humanos tiene alguna Para empezar, joder, digamos en la identificación de género de alguien,

Afortunadamente, ya estamos contraatacando en este sentido. Las personas trans son muy buenas para seguir existiendo y creo que esta vez el memorando administrativo será un pequeño obstáculo en la próxima lucha por el espacio y los derechos. Las personas trans existen más visiblemente que nunca en los EE. UU. en este momento y este meme es indicativo del estado de ánimo en algunas partes de la comunidad trans en este momento:

Las personas trans han vivido con este tipo de miedo y aislamiento social desde siempre. Esto no es nuevo. Esto es jodidamente desafortunado, pero como cualquier persona trans te dirá, la posibilidad de no ser borrados legalmente se nos abrió recientemente. De hecho, el estado de Ohio , entre otros, todavía no permite la corrección de certificados de nacimiento para reflejar la expresión de género, sin mencionar la falta de opciones de identificación no binaria en la mayoría de los documentos oficiales. Y muchos requieren prueba de cirugía (cirugía costosa, a menudo no cubierta por el seguro) para cambiar todo tipo de documentos.

Y así hemos aprendido a aprovechar el espacio y a dejar claro que existimos simplemente siendo, y siendo más visiblemente. La creciente visibilidad de las personas trans y los problemas trans en los últimos años ciertamente ha sido una mezcla. Desde otros puntos de reacción hasta las representaciones mediáticas que dividieron a la comunidad queer, ha sido un camino difícil. Pero un área en la que los derechos trans han progresado de manera constante, y un área en la que no es fácil regresar a su estado anterior, es que ahora somos mucho más visibles. Entonces, negar la existencia de personas trans tiene un efecto mucho menos grave. Podemos mantener la lucha a la vista, pero tenemos que asegurarnos de que estamos librando las batallas correctas y centrándonos en los problemas más profundos.

“Los demócratas ayudarán”

Mierda. Entonces mencioné que mucha gente está respondiendo a esta noticia promocionando la votación de noviembre y tratando de que todos voten por el equipo azul. Esto es absolutamente ignorante de las formas en que los progresistas y el Partido Demócrata han menospreciado los derechos trans una y otra vez. Comencemos con Hillary Clinton.

No sólo ha seguido apoyando a su marido, que abusaba de sus internos, a pesar de ser un “ícono feminista”, sino que ella y el resto de los demócratas centristas, en el mejor de los casos, no estaban informados sobre los derechos queer, como cualquier republicano o de derecha. No fue hasta hace muy poco que los demócratas empezaron a hablar de los derechos LGBT de manera positiva, y la reversión que estamos discutiendo ahora solo se amplió en la última administración. Los demócratas y centristas recién comenzaron a hablar de labios para afuera sobre los derechos de las personas trans y es importante recordar que la continuación de este apoyo depende completamente de la opinión pública. La suposición de que después de este rápido cambio toda la transfobia haya abandonado el Partido Demócrata es ridícula y peligrosa. En encuestas autoinformadas, las opiniones de los demócratas sobre los derechos de las personas trans son ciertamente mejores que las de los republicanos, pero un tercio (34%) todavía no considera legítimas las identidades trans.

También podemos mirar al gobernador de Carolina del Norte, Roy Cooper. Como muchos demócratas centristas:

Cooper no se ha caracterizado por defender los derechos LGBT en su carrera. Proviene de la misma tradición política centrista y demócrata triangular que los Clinton, una tradición que produjo la homofóbica Ley de Defensa del Matrimonio , y el atrozmente racista proyecto de ley contra el crimen de 1994 y la reforma de la asistencia social de 1996. Como fiscal general de Carolina del Norte, solo dejó de defender la prohibición del matrimonio homosexual en el estado a partir de 2014 , y solo porque la prohibición de Virginia fue rechazada en un tribunal federal.

Así que está claro que no vamos a recuperar estos derechos (y conservarlos) poniendo nuestra fe en los demócratas y las organizaciones progresistas. Sólo un cambio verdaderamente radical es capaz de hacer que la vida de las personas trans en este país sea justa y cómoda. Y lo mismo ocurre con muchas personas marginadas.

La guerra en las calles

En cierto modo ya hemos ganado. Anteriormente, los derechos trans y el activismo trans fueron marginados incluso dentro de comunidades y organizaciones activistas radicales. Históricamente, las personas trans y otras personas queer han sido blanco de ataques políticos de todos los bandos, e incluso los movimientos de extrema izquierda han aplicado políticas anti-gays y anti-trans. Incluso el feminismo radical tiene ahora su propio tipo especial de transfobia que surgió de la aversión cultural general hacia las personas trans cuando el feminismo radical estaba despegando.

Hoy, sin embargo, una parte significativa de la extrema izquierda y muchos espacios activistas están abiertos e incluso centrados en los derechos y las experiencias trans. Parte de esto se debe a que la reacción que estamos experimentando ahora contra lo trans y lo queer ha pasado de una batalla más puramente cultural a una batalla todavía cultural pero también política con el regreso de la extrema derecha. En cierto modo, las personas de extrema derecha que apuntan a la trans en particular tienen en cuenta quiénes son sus enemigos. Al hacer de las vidas trans un punto de chispa político, los movimientos tanto de izquierda como de derecha se han centrado más en los derechos trans al nivel político. Esto apesta en muchos sentidos; por ejemplo, hace que sea agotador vivir como una persona trans política y tener tu identidad constantemente en el centro del debate, las amenazas y la ira. Pero ha significado que las personas trans tengan una visibilidad dentro de la izquierda radical que históricamente no estaba presente. Y eso es significativo.

Hoy en día, los activistas trans constituyen un contingente muy grande de activistas radicales en Estados Unidos. Los derechos trans a menudo, aunque no siempre, están centrados, junto con un apoyo similar a otras formas queer de identificación. Y significa que, a pesar de los ataques de la administración Trump, a pesar de la reacción violenta de idiotas de extrema derecha, a pesar de todo lo que las personas trans siguen enfrentando en este momento, estamos mejorando en aprovechar el espacio y los derechos junto con ello. Algo muy alentador en los últimos días ha sido ver cuánta gente se está movilizando contra esto.

Parte del nuevo trabajo que se está realizando en torno a cuestiones trans es muy bueno y todavía soy tentativamente optimista de que estamos construyendo algunas redes fuertes que estarán listas para seguir resistiendo la creciente ola de fascismo en este país, con reconocimiento legal o no. Pero no vamos a lograr eso votando por los demócratas o interactuando con un sistema electoral que ha negado nuestros derechos y nuestra existencia una y otra vez. El problema no es solo que Trump odia a las personas trans, sino que muchas personas en Estados Unidos también odian a las personas trans y quieren que no existamos. Sin embargo, hay muchas cosas que ayudarán. Aquí está Dean Spade nuevamente, sugiriendo formas de contribuir a la ayuda mutua:

¿Cómo es la ayuda mutua en este momento? Si sabemos que las mujeres trans son enviadas a prisiones para hombres, y que todos los presos trans son vulnerables a la violencia, la negligencia médica y el aislamiento, parece que convertirse en amigos por correspondencia de un preso trans a través de las listas proporcionadas por programa de amigos por correspondencia en prisión de Black and Pink. Convertirse en amigo por correspondencia de un prisionero puede reducir la probabilidad de que sea atacado, ayudarlo a tener apoyo emocional durante el ataque y ayudarlo a planificar y encontrar recursos para cuando sea liberado. Si sabemos que las políticas de la administración excluirán aún más a las personas trans de los refugios y programas de vivienda para personas sin hogar, podemos trabajar para crear programas comunitarios de vivienda compartida. Podemos formar grupos que planifiquen estadías en viviendas para personas trans que salen de prisión o que envejecen fuera de hogares de acogida, para ayudar a las personas a hacer la transición a una vivienda estable a medida que encuentran trabajo u obtienen acceso a beneficios para ayudar a abordar la falta de vivienda de las personas trans. La ayuda mutua también puede incluir programas de acompañamiento para que las personas no tengan que acudir solas a los tribunales, a las citas médicas o en transporte público. Podemos crear acciones para el cuidado infantil, fondos de fianza,

Además, el activista trans Noah Julian Zazanis elaboró ​​esta lista de “Cómo presentarse ante los camaradas trans” en Medium. Además del apoyo material y emocional para las personas trans, señala que oponerse a los transfóbicos también es una gran parte de ser un aliado. En una sección sobre “no plataformas”, sugiere que los aliados cis:

Negar a los transfóbicos una plataforma. Si están hablando cerca de ti, preséntate y grítalos. Gritar a los expertos y políticos anti-trans en los restaurantes.

Familiarízate con los argumentos anti-trans y aprende cómo acabar con ellos. Tómese el tiempo para aprender sobre los TERF y otras formas de transfobia popular.

Si tus amigos comparten artículos transfóbicos o difunden ideas anti-trans, infórmales. No dejes pasar la transfobia o la transmisoginia. Lo mismo ocurre con la familia, aunque, por supuesto, sólo tú conoces tu situación familiar y tu seguridad es primordial.

Y vale la pena considerar por qué hay tantos activistas trans trabajando y actuando en espacios radicales. Es porque reconocemos que exigir, rogar o votar para que el gobierno nos dé reconocimiento y derechos no va a funcionar. Hemos visto nuestras vidas y nuestros derechos pisoteados una y otra vez, a pesar de las promesas de los progresistas, sus partidos políticos y sus organizaciones corruptas . Necesitamos que aquellos que se consideran aliados nos ayuden a atacar la raíz. Necesitamos poner fin a todas las instituciones que ejecutan estas órdenes repugnantes y permitir que surjan. La justicia trans requiere un cambio radical.

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Italian, Stateless Embassies
La Proprietà è Violenza, Riduciamola al Minimo

Di Trevor Hauge. Originale pubblicato il 25 settembre 2023 con il titolo Property is Violence, So Let’s Keep It to a Minimum. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

“Il monopolio della terra… non è che l’imposizione da parte dello stato di diritti di proprietà terriera che non si riferiscono a una occupazione o coltivazione della terra… le persone non dovrebbero ricevere protezione dai loro consimili se non quando occupano e coltivano personalmente la terra.” – Benjamin R. Tucker, State Socialism and Anarchism

Ironicamente, il principio di non aggressione di tanti libertari di destra può giustificare molti casi diversi di aggressione. Murray Rothbard diceva: “nessuno, da solo o con altri, può aggredire un’altra persona o la sua proprietà.” Detto così ricorda la posizione di Tucker contro le invasioni e le costrizioni, ma all’atto pratico non potrebbe essere più lontano. Se vogliamo capire perché dobbiamo prima formulare alcuni concetti base di proprietà, stato e anarchia. Cosa significano questi termini? Vediamolo.

La proprietà implica la possibilità che una persona si serva della violenza, letale o meno, per evitare che qualcun altro usi ciò che è di suo uso personale. Io uso la mia macchina per muovermi, e se qualcuno dovesse tentare di prendermela, pochi, forse i pacifisti più impressionabili, oserebbero negare il mio diritto di difendermi contro il ladro. Quanta violenza usare è opinabile. Per una macchina, sono lecite le fratture, i tagli, o addirittura la morte? Molti direbbero che la reazione dovrebbe avere una violenza proporzionale alla violenza di cui il ladro è disposto a servirsi per prendere la mia macchina. Pochi direbbero che fare violenza contro chi cerca di privarmi di qualcosa che mi serve per vivere è immorale. Possiamo quindi concludere che un sostrato di violenza nella società è accettabile.

Quanto allo stato, è una cricca elitaria che ha il potere esclusivo di imporre la propria volontà su un determinato territorio e, per estensione, sulla popolazione che vive in quel territorio. La violenza dello stato esiste senza bisogno di consenso. Lo stato è definito proprio da questa combinazione di violenza e élite. In altre parole, lo stato è il monopolio della violenza su una certa popolazione e in un certo territorio da parte di una cricca elitaria.

L’anarchismo, infine, è ciò che si oppone a quel monopolio della violenza che va sotto il nome di stato, ciò che si oppone all’autorità. Come dice Proudhon nel suo Idée générale de la révolution au XIXe siècle, “Alla base della Rivoluzione c’è semplicemente questo concetto: NESSUNA AUTORITÀ.” Dunque, se vogliamo liberarci dell’autorità statale dobbiamo liberarci del monopolio della violenza. E per liberarci del monopolio della violenza, dobbiamo per forza limitare al minimo assoluto la proprietà, così che lo stato non possa rinascere.

Io credo che dobbiamo smettere di menare il can per l’aia. Dobbiamo smettere di parlare di proprietà per chiamarla col suo vero nome: violenza. La proprietà implica di per sé la minaccia della violenza. Se tu mi prendi qualcosa, o invadi il mio spazio, io, i miei vicini o, se esiste, lo stato, farà violenza contro di te. La proprietà è e resterà sempre inseparabile dalla violenza. Più si diffonde la proprietà e più serve violenza per difendere la proprietà. Una singola persona non può fisicamente difendere ciò che va oltre una certa dimensione senza l’aiuto di altre persone. Deve pertanto ricorrere a qualche autorità che usi la violenza al posto loro. Può farlo direttamente tramite le tasse e la polizia di stato, o indirettamente pagando una società di sicurezza, non fa differenza.

Da qui la domanda: come può un anarchico, che per definizione è contrario al monopolio della violenza statale, accettare il monopolio della violenza individuale? Ancora: cos’è lo stato se non un gruppo elitario di individui che detiene il monopolio della violenza su altri individui? Se a definire lo stato è il suo monopolio della violenza, un singolo individuo o un’impresa con lo stesso monopolio diventa indistinguibile dallo stato. Stessa cosa con nome diverso.

Per questo un anarchico che approva la proprietà assenteista e allo stesso tempo dice di voler rispettare il principio di non aggressione è un’incoerenza logica. La proprietà assenteista è proprio ciò che permette a una persona o ad un gruppo limitato di persone di detenere il monopolio della violenza su un’altra persona o su un gruppo di persone. Permette all’individuo di estendere il proprio potere al di là delle proprie mani, consegnandolo nelle mani di scagnozzi armati di manganelli, pistole e taser. Se domani si dovesse abolire lo stato per sostituirlo con un regime diretto fatto di proprietà assenteiste acquisibili all’infinito, come vorrebbero i sedicenti capitalisti libertari, si creerebbe nella pratica una serie di stati di polizia privati di proprietà dei più ricchi. Avremmo una moltitudine di stati.

È però del tutto coerente con la logica anarchica il fatto che una persona faccia ricorso alla violenza per far rispettare il suo possesso dell’unica casa in cui vive, o le cose che vi si trovano dentro, in virtù del principio dell’occupazione. Altrettanto coerentemente agisce una comunità quando ricorre alla forza per difendere il proprio diritto all’occupazione collettiva di un pezzo di terra, come nel caso dei neo-zapatisti che nel 1994 si opposero ad un tentativo di esproprio delle loro terre. Nel primo caso abbiamo un piccolissimo monopolio della violenza, dato dal possesso di non più di qualche ettaro di terra; il secondo caso è simile ma riguarda un gruppo di persone piuttosto che singoli individui. Tornando a Benjamin R. Tucker…

È un archista (sostenitore del potere) chiunque compia un’invasione, sia esso individuo o stato; è anarchico chiunque si opponga a un’invasione, che sia individuo o un’associazione spontanea. Un’associazione spontanea di persone che fa un atto di giustizia non è un invasore ma un difensore contro l’invasione, e tra le azioni difensive potrebbe comprendere la protezione degli occupanti di una terra. ~ Land Occupancy and its Conditions

Nessuno dei due casi citati comporta l’uso della violenza da parte di uno o più invasori mandati a difendere l’estrazione di ricchezza da parte di un proprietario terriero. Si fa ricorso alla violenza solo per assicurare la permanenza delle singole persone o dei gruppi di persone che risiedono in un certo territorio, non per impedire a chicchessia di andare a vivere in una casa disabitata o di appropriarsi di un pezzo di terra inutilizzato. In questo caso la violenza è rivolta contro chi vuole estrarre o espropriare ricchezza. Non è, insomma, una violenza di tipo “archista” o di stato.

Ma cosa succede quando qualcuno si arroga il monopolio della violenza su un’intera area, e dunque sulla popolazione che ci vive? O su una città intera? O una nazione? In questo caso, questo qualcuno rappresenta lo stato, inevitabilmente. Non importa se il territorio è stato acquisito a milionate o con i panzer. L’onnipresente minacciata violenza contro i poveracci è la stessa.

Pensateci la prossima volta che un locatore avanza pretese sulla casa data in affitto. Chiedetevi: qual è la vera natura delle relazioni tra due persone quando queste vengono private dei loro rispettivi titoli? L’inquilino con l’affitto paga la manutenzione della casa e almeno una parte del reddito del proprietario, e se paga in ritardo arriva la polizia. La relazione tra padrone di casa e inquilino non è forse una relazione tra invasore e vittima? Il padrone di casa, se ci fate caso, si comporta esattamente come lo stato quando esige le tasse, o come il picciotto che passa a riscuotere il pizzo.

Anarchico è dunque colui che lotta contro quei sistemi che si servono della violenza come strumento per invadere ed estrarre ricchezza, e non semplicemente per difendere ciò di cui una persona ha bisogno per vivere, o il luogo in cui vive, certi beni mobili o la vita dei suoi cari. Noi rifiutiamo l’idea che si possa usare la violenza per privare della casa e dei mezzi di produzione chi queste cose le usa. Noi odiamo la violenza che espropria e sfrutta. Pensiamo che l’unica violenza genuinamente compatibile coi principi di non aggressione, non costrizione, non invasione, o come volete chiamarli, sia la violenza diretta contro lo sfruttamento e l’esproprio.

Il principio di base è semplicissimo: il luogo in cui una persona vive o lavora rientra tra i suoi possessi. Rientra tra i suoi possessi di fatto anche l’azienda in cui lavora. Noi riconosciamo il diritto di usare la violenza in difesa di questi possessi quotidiani sulla base del principio che questi vengono utilizzati continuativamente. All’atto pratico, ciò limita al minimo assoluto il sostrato violento della società, ed evita l’emergere dello stato. In un simile regime non vedremmo più poliziotti che pestano gli scioperanti, che distruggono gli accampamenti dei senzatetto, o che armi in pugno sfrattano una donna incinta che non può pagare l’affitto. Questo genere di violenza invasiva cesserà di esistere.

Un ipotetico mondo anarchico sarebbe un regime in cui la possibilità di allungare le mani su qualcosa non riceverà il supporto di forze istituzionali, un regime in cui tutti condividono tutto, e l’unica violenza ammessa è la difesa personale di ciò che serve per vivere e nient’altro. Tutto il resto è, per definizione, una forma di statualità.

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Spanish, Stateless Embassies
La energía renovable no existe bajo el capitalismo

De pinnsvin buollit áidi. Artículo original: Renewable Energy Doesn’t Exist Under Capitalism, de 11 de marzo de 2023. Traducido al español por Camila Figueroa.

– Si el deseo configura las infraestructuras energéticas, ¿cómo construir una libido no extractiva?

“Pues lo que le ocurre a quien no quiere reconocer que la economía política es libidinal, es que reproduce en otros términos la misma fantasía de una región externalizada donde el deseo estaría al abrigo de toda transcripción traicionera en la producción, el trabajo y la ley del valor.” – Mark Fisher, El deseo postcapitalista.

La energía renovable no existe. A la escala industrial a la que se construye y mantiene continuamente la infraestructura energética para abastecer los deseos energéticos del Norte Global, la energía renovable no es realmente renovable. Las turbinas eólicas, los paneles solares y los paquetes de baterías que actualmente llamamos tecnologías renovables se componen de materiales no renovables como el litio, el cobalto, el cobre, el níquel y el agua[1]. Sin embargo, la expresión “energía renovable” proporciona a los tecnócratas, a los responsables políticos y a los capitalistas financieros el argumento perfecto para que se les permita seguir explotando y matando personas, destruyendo ecologías, ocupando y desestabilizando otros países y utilizando lo que queda del agua del mundo. Sirve a quienes se benefician actualmente de la violencia del capitalismo racial para sustituir la historia del carbón “sucio” por la historia de la energía “limpia”, todo ello mientras hacen todo lo que hacían antes, a veces a una escala intensificada y con horizontes y eventos de extracción renovados. Al crear una narrativa de sustitución moral, las condiciones de poder y dominación inscritas a través del paisaje energético global permanecen intactas -y de hecho se hacen menos dignas de una investigación crítica. Los deseos energéticos del Estado se reconstruyen como hechos inevitables, en lugar de como procesos dinámicos con múltiples puntos de intervención.

En este sentido, la energía renovable es un concepto con poder narrativo. Su argumento “por el bien común” es definitivamente atractivo: es tanto un mandato ético que moviliza un esfuerzo bélico para “salvar el mundo” mediante una “batalla sin cuartel” para construir tanta infraestructura eólica, solar y nuclear como sea posible desde el punto de vista gubernamental y privado, como una oferta de un futuro tecnológico esperanzador para el ciudadano de a pie. Sin embargo, la “energía renovable” está reforzando la misma dinámica violenta que los combustibles fósiles y está promulgando relaciones coloniales nuevas o renovadas para garantizar un suministro constante de energía para las personas que ya la tienen. La carrera por extraer litio -la tecnología clave para las baterías y los coches eléctricos- ya ha provocado enormes conflictos en Chile, Bolivia y Estados Unidos por el impacto ecológico y humano del proceso de extracción. En Nevada, el proyecto “Lithium Americas” especula con miles de millones de beneficios en litio. Está trayendo a la mesa a grupos de presión de la era Trump en su lucha contra ganaderos, grupos ecologistas y miembros de las tribus Fort McDermitt Paiute y Shoshone. Como informa el NYT, se “espera que la mina utilice miles de millones de galones de preciosa agua subterránea, contaminando potencialmente parte de ella durante 300 años, mientras deja tras de sí un gigantesco montón de residuos.”

La energía “renovable” sigue dependiendo de la extracción, la violencia y el imperialismo, pero sin el estigma político de los combustibles fósiles. No basta con esperar una “transición justa” para abandonar los combustibles fósiles. Intentar satisfacer las demandas energéticas actuales y futuras simplemente sustituyendo los combustibles fósiles extractivos por combustibles no fósiles extractivos no va a transformar las condiciones de violencia en las que vivimos. Si lo que queremos decir cuando hablamos de una “transición justa” es realmente interrumpir la violencia, debemos mantener una conversación sobre lo que hará falta para interrumpir la violencia de la infraestructura energética que, bajo coacción, elegimos colectivamente en cada momento.

El mito de las energías renovables es una narrativa que presenta la transición a las energías limpias como una solución a la violencia y la explotación inherentes al actual sistema energético mundial. Esta narrativa sugiere que al reemplazar los combustibles fósiles por energía eólica, solar y otras formas de energía renovable, podemos abordar los impactos ecológicos y sociales de la producción y el consumo de energía, y avanzar hacia un futuro más justo y sostenible. Sin embargo, como han señalado Mark Fisher y otros, esta narrativa es excesivamente simplista e ignora la naturaleza compleja y dinámica de los sistemas energéticos.
Uno de los principales problemas del mito de las energías renovables es que refuerza los supuestos y las ideologías del capitalismo y no cuestiona los factores subyacentes del deseo de energía. Como sostiene Fisher, nuestro deseo de energía está moldeado por la economía libidinal del capitalismo, en la que nuestras necesidades y motivaciones psicológicas y emocionales están determinadas por el consumo constante de bienes y servicios. Esta economía libidinal promueve la idea de que nuestras necesidades energéticas son naturales, inevitables e interminables, y que la única forma de satisfacerlas es mediante la explotación continuada de recursos no renovables y la opresión de las comunidades marginadas.

Para superar las limitaciones del mito de las energías renovables, tenemos que examinar críticamente los supuestos y las ideologías que sustentan nuestro sistema energético actual, y considerar formas alternativas de pensar y abordar nuestras necesidades energéticas. Esto puede implicar explorar nuevas tecnologías y prácticas que no se basen en la explotación de recursos no renovables, y desarrollar una comprensión más matizada y global del deseo energético que tenga en cuenta la naturaleza compleja y dinámica de los sistemas energéticos. Concienciando sobre el mito de las energías renovables y sus implicaciones para el futuro, podemos empezar a imaginar y construir un mundo más justo y sostenible.

Debemos rechazar los supuestos de crecimiento capitalista y demanda incesante de energía que los ingenieros utilizan para calcular las “futuras necesidades energéticas” del Norte Global. Si las “necesidades energéticas” que se nos dice que “tenemos” -de algún modo siempre crecientes, naturales e inevitables- se utilizan para justificar la continua ocupación y extracción de valor del Sur Global, es imperativo que cuestionemos la naturaleza natural, inevitable e interminable de esta necesidad. En lugar de preguntarnos cómo satisfacer las necesidades energéticas mediante “energías renovables”, es hora de preguntar cómo desestabilizar y eliminar la «necesidad» de energía en sí misma.

¿Qué es una necesidad energética? ¿Qué es un deseo energético? El deseo energético se refiere a las motivaciones psicológicas y emocionales que subyacen a la necesidad o el deseo de energía de un individuo o una sociedad. Puede incluir el deseo de la comodidad y el confort que proporciona la energía, así como el deseo de poder y control sobre las fuentes de energía. El deseo de energía puede estar influido por ideologías capitalistas que promueven el consumo de energía y la adquisición de tecnología alimentada por energía. También puede estar influido por normas culturales y sociales que dictan el uso y consumo aceptables de la energía.

Este es un momento para hacer una verdadera pausa y decidir recuperar nuestros deseos energéticos del Estado. Dejemos de ponérselo fácil al Estado y a otros actores del poder para postular la energía renovable como un bien social. ¿Cómo sería desafiar realmente lo que nos dicen que son nuestras necesidades energéticas, y desnudar y encarnar las necesidades energéticas de nuestras propias áreas y redes de relaciones?.

Aunque mis colegas sostienen que yo debería ofrecer algún tipo de solución tecnológica a este problema, Mark Fisher tal vez argumentaría que la búsqueda de una mejor tecnología energética no aborda los factores psicológicos y emocionales subyacentes del deseo de energía y, por lo tanto, no cuestiona fundamentalmente la violencia y la explotación inherentes al actual panorama energético mundial. En su lugar, Fisher probablemente fomentaría un examen más crítico de los supuestos y las ideologías que sustentan nuestro actual sistema energético, y una reimaginación de nuestra relación con la energía que no se base en la extracción, la violencia y el imperialismo. Esto puede implicar la exploración de formas alternativas de satisfacer nuestras necesidades energéticas que no dependan del modelo industrial actual y el desarrollo de nuevas tecnologías que no se basen en la explotación de recursos no renovables y la opresión. Que, tal vez, sea realmente lo que dicen mis colegas.

Sin embargo, mi argumento se aleja un poco del solucionismo a gran escala. Se trata del deseo, del cuerpo, de saber POR QUÉ queremos todas estas soluciones tecnológicas y para qué sirven. Se trata de tener más voluntad para decidir para qué necesitamos energía, exactamente, y luego determinar cómo potenciarla entre todos.

Para mí, ser capaz de entrar en contacto con el deseo de lo contrario requiere tanto la comprensión y el reconocimiento de cada uno de nuestro propio deseo libidinal por lo que tenemos actualmente, así como la voluntad de interrumpir y detener los procesos que están alimentando las infraestructuras energéticas industriales que tenemos actualmente (es decir, la rotura de máquinas).

Como escribe Fisher, “podemos afirmar, éticamente, que [queremos] vivir en un mundo diferente, pero libidinalmente, en el nivel del deseo, [estamos] comprometidos a vivir dentro del mundo capitalista actual… ¿existe realmente el deseo de algo más allá del capitalismo?”. La libido, si es “no sólo lo que queremos sino por qué lo queremos” está causada por los objetos, en cierto sentido. Así que también debemos estar atentos a nuestros objetos.

Debemos tomarnos en serio algunas cuestiones clave a medida que nos adentramos en terrenos diferentes. ¿Hasta qué punto quiere la gente infraestructuras energéticas capitalistas? A la inversa, ¿hasta qué punto la gente quiere el postcapitalismo y sus infraestructuras potenciales?.

No estoy diciendo que tengamos que abandonar todo lo que tenemos actualmente; de hecho, eso no es posible. Podemos “empezar con, trabajar con, los placeres del capitalismo, así como sus opresiones”. Ya tenemos un terreno que complace nuestra libido. Me gusta encender las luces con un interruptor cuando llego a casa. Me gusta encender mi estufa con su adorable pomo. Me gusta cargar mi portátil en cualquier rincón de mi casa. Etcétera. En lugar de un esfuerzo reaccionario por un primitivismo precapitalista; las “atracciones libidinales del capitalismo de consumo”, sugiere Fisher, necesitan “ser enfrentadas con un contra-libidio, no simplemente con un amortiguamiento anti-libidinal”.

¿Qué es una contra-libido en el ámbito de la energía y las infraestructuras? No puede ser un encuadre moralista del deseo individual como malo, que reificaría la idea de algo fuera y puro del Capital. En su lugar, tomando en serio dónde estamos, ¿qué podemos hacer juntos?

Sabemos que no fueron simplemente los barones del ferrocarril y lo que querían, sino en realidad el deseo del proletariado industrial el que ayudó a impulsar la revolución industrial, en su “disfrute de la disolución del viejo mundo” (Fisher). Entonces, ¿en torno a qué podríamos construir la libido mientras disolvemos este mundo actual de capitalismo racial? En lugar de argumentar que deberíamos construir energía solar para “salvarnos a todos”, ¿qué pasaría si ofreciéramos algo sexy y algo con una arena política? ¿Y si esta sensualidad surgiera del lugar en el que estamos?

Me estoy imaginando unos días especulativos en los que abordamos partes de nuestras vidas energéticas como Sean Roy Parker abordó partes de nuestras vidas alimentarias con “12 razones para no volver a comprar espinacas”. ¿Cuáles son las 12 razones para no volver a comprar un coche o un iPhone que no son primitivistas ni rechazan el placer?

12 razones para no volver a comprar espinacas

Diente de león
Malva
Acedera
Pamplina
Ortiga muerta
Lengua de cordero Llantén
Mielga
Cardo marino
Saúco
Gallina gorda
Trébol
Cleavers
*

Ahora ya no necesitamos la comida para alimentar a los recolectores la gasolina para conducir la cosechadora la gasolina para conducir la furgoneta la electricidad para refrigerar la furgoneta la electricidad para iluminar el almacén la gasolina para conducir la furgoneta la gasolina para pilotar el avión la comida para alimentar a los dependientes el combustible para conducir la furgoneta la electricidad para iluminar el supermercado la electricidad para refrigerar las espinacas la comida para alimentar a los apiladores la electricidad para escanear las espinacas la gasolina para conducirlas a casa la electricidad para refrigerar las espinacas.

Todo para ver cómo se pudren

Estoy soñando con algo donde mapear la infraestructura energética que tenemos (Power Tours).¿Cómo llega la energía hasta nosotros y desde dónde? ¿En qué parte de la tierra? Más allá de eso, podemos repasar colectivamente “Un día en la vida” y averiguar qué uso de la energía es sexy en cada una de nuestras vidas. Por ejemplo, a mí me parece sexy en mi vida poder salir de casa, coger el coche e ir a donde quiera. El poder de leer libros hasta altas horas de la noche. El poder de volar para ver a un amigo leer poemas en Nueva York. La capacidad de ver vídeos de YouTube sobre fieltro.

Quiero sentarme con mis amigos, hablar de nuestros deseos energéticos, tomar decisiones y reflexionar sobre cómo van.  Quiero inventar abundancia que no tengamos que comprar. Quiero construir energía solar con mis amigos, construir micro-hidroeléctricas, calcular cuánto necesitamos y lavar la ropa sólo a mediodía. Quiero hacer el trabajo de vivir pensando en nuestros deseos energéticos.

Nota

1. El biogás y los alambiques de etanol para biodiésel pueden ser viables para pequeñas comunidades a escala no industrial y anarquista.

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Indonesian, Stateless Embassies
Neoliberalisme, Koperasi, dan Pabrik Sosial

Oleh : Eric F. Teks aslinya berjudul Neoliberalism, Co-Production, and the Social Factory. Diterjemahkan kedalam Bahasa Indonesia oleh Sachadru

Dikutip dari  “Patience and Time: Timebanking and Self-Organizing Networks of Eldercare in Greater Portland, ME”

Memahami masalah di sekitar perawatan mengharuskan kita untuk melihat kembali dan lebih nasional daripada hanya Maine. Banyak dari para lanjut usia yang saya wawancarai sepertinya setuju dengan pandangan Emma [pseudonim] tentang pentingnya komunitas dan “jaringan perawatan,” berbagi kenangan akan masa-masa ketika komunitas lokal dan keluarga besar saling peduli satu sama lain melebihi kesejahteraan negara dan konsumsi pasar korporat. Lucy (pseudonim), yang berusia 69 tahun, merupakan salah satu pengorganisir inti dalam proyek Pertukaran Jam dan salah satu subjek wawancara saya, berbicara tentang bagaimana “masyarakat dulu sangat bekerja berdasarkan bantuan timbal balik, tetapi sejak munculnya kapitalisme modern dan terutama globalisasi, orang lebih terisolasi satu sama lain.” Demikian pula, Peter (pseudonim), yang berusia 64 tahun dan merupakan anggota lama Pertukaran Jam yang saya wawancarai, menjelaskan bagaimana

sekarang orang tidak tumbuh dan bekerja di tempat yang sama dengan tempat tinggal mereka. Jadi, kamu tahu, sepupu Freddy tidak lagi berada di kota sebelah. Dia berada di tiga negara bagian jauhnya. Jadi sekarang kamu tidak bisa lagi meminta sepupu Freddy datang dan memotong rumput karena kamu sakit atau kakimu patah.

Meskipun terdapat unsur “kacamata berwarna mawar” (terutama dari perspektif teori kritis ras) dalam penilaian ini, catatan sejarah membuktikannya dengan cara tertentu. Sebagai contoh, Roderick Long menulis bagaimana “di akhir abad ke-19 dan awal abad ke-20, salah satu sumber utama perawatan kesehatan dan asuransi kesehatan bagi kaum miskin pekerja di Inggris, Australia, dan Amerika Serikat adalah perkumpulan persaudaraan” atau “perkumpulan persahabatan” [1]. Maine khususnya berkembang melalui asosiasi sukarela seperti Maine State Grange, yang muncul setelah Perang Saudara dari Gerakan Klub Petani dan membantu petani pedesaan tidak hanya menemukan komunitas, mendiskusikan teknik pertanian baru, dan bahkan mendapatkan sumber daya pendidikan tetapi juga dapat menyediakan asuransi bagi anggotanya [2]. Jenis kelompok semacam ini bertahan hingga regulasi yang lebih besar dan ekonomi korporat yang berkembang menggantikannya. Perpindahan dari organisasi sukarela atau komunitas sebagai sumber perawatan kemudian dikuatkan selama ekspansi kesejahteraan New Deal sebagai tanggapan terhadap Depresi Besar (1929-1939), hanya untuk dihancurkan 50 tahun kemudian oleh pemerintahan Reagan (1981-1989).

Akibat dari pengabaian terhadap janji “kesejahteraan bersama” yang dijanjikan oleh negara telah diteorikan secara ekstensif oleh teori queer, feminis, dan disabilitas. Misalnya, Khiara M. Bridges mengamati bahwa neoliberalisme memposisikan “keluarga pribadi sebagai entitas yang menyediakan (dan diharapkan menyediakan) dukungan sosial yang pernah ditawarkan oleh negara pada momen politik ekonomi seb3elumnya” [3]. Dalam konteks perawatan lanjut usia, ini seringkali berbentuk anak dewasa atau pasangan yang lebih mampu secara fisik atau mental yang tidak mampu membayar perawatan di rumah pribadi atau tempat di panti jompo dan oleh karena itu terpaksa menjadi pengasuh penuh waktu bagi subjek perawatan tersebut. Banyak dari apa yang kita sebut sebagai perawatan lanjut usia terjadi di luar ekonomi ber-upah atau bahkan berwujud uang. Di satu sisi, hal ini mewakili sesuatu yang sangat luar biasa tentang manusia; bahwa kita peduli satu sama lain dan dapat melakukannya tanpa motif keuntungan (moneter). Ini adalah dasar kerja sama dari semua masyarakat yang David Graeber sebut “komunisme sehari-hari”. Organisasi Ekonomi Komunitas—berdasarkan karya ahli geografi ekonomi feminis J.K. Gibson-Graham—berpendapat, ini adalah bagian dari “gunung es” dari “ruang negosiasi yang benar-benar ada” yang berbeda dari ranah kerja upah dan tempat kerja otoritatif dari atas ke bawah [4]. Ruang negosiasi ini menawarkan kemungkinan untuk berpikir di luar hegemoni “dunia kapitalis” demi pandangan bahwa ada banyak ekonomi yang beragam yang ada secara bersamaan. Seperti yang mereka katakan:

Ketika ekonomi diartikan dalam istilah kapitalisme, dan ketika kapitalisme disajikan sebagai sesuatu yang merambah seluruh dunia, tampak bahwa hal itu harus disamakan dengan perjuangan anti-kapitalis yang setara yang diorganisasikan secara global. Ini mengurangi potensi lokal sebagai situs politik ekonomi. Mengatur ekonomi sebagai praktik yang terdiri dari berbagai praktik…

dapat membantu kita memikirkan bagaimana berbagai praktik ini “dapat berfungsi sebagai balok bangunan untuk ekonomi komunitas” [5].

Namun, baik Ekonomi Komunitas maupun Gibson-Graham tidak mengklaim bahwa hanya karena beberapa praktik tidak melibatkan upah atau bahkan bayaran tidak berarti itu secara otomatis terpisah dari logika ekstraktif ekonomi dominan, melainkan bahwa ada “tempat-tempat perjuangan ekonomi” yang beragam dalamnya di mana ekstraktif dan hierarki perlu terus-menerus dan sadar ditolak [6]. Salah satu cara terbaik, menurut pendapat saya, untuk mengkonseptualisasikan masalah yang

dihadapi oleh upaya untuk menolak elemen-elemen di luar ekonomi berupah adalah dengan cara yang diajukan oleh autonomis Italia Mario Tronti pada tahun 1962 dalam bentuk “pabrik sosial”; di mana

hubungan sosial diubah menjadi momen hubungan produksi, seluruh masyarakat berubah menjadi suatu artikulasi produksi, yaitu, seluruh masyarakat hidup sebagai fungsi pabrik dan pabrik memperluas dominasinya secara eksklusif ke seluruh masyarakat [7].

Di mana pada era Marx pabrik adalah ranah eksklusif proletariat industri, pada era globalisasi ekonomi, ekonomi AS tampaknya telah mengekspor pabrik ke luar negeri. Terutama di Maine, pekerjaan manufaktur telah cepat berkurang sejak tahun 1970-an; meninggalkan kota-kota seperti Lewiston dan Waterville dengan bangunan pabrik dan pabrik yang ditinggalkan sebagai fitur dominan lanskap urban mereka [8]. Namun, pabrik sebenarnya tidak menghilang. Sebaliknya, seperti yang diperdebatkan oleh Dennis K. Mumby, “kapitalisme tidak lagi puas hanya mengambil nilai surplus di titik produksi dari waktu kerja yang dibeli, tetapi semakin menangkap (keterikatan sosial) dari kehidupan sehari-hari dan mengubahnya menjadi nilai surplus” [9]. Di satu sisi, ini berarti “tindakan sosial” semakin diperdagangkan, bukan secara utama dalam arti bahwa mereka diperoleh melalui transaksi moneter tetapi bahwa mereka dimediasi oleh platform, perangkat, dll. yang dimaksudkan untuk menghasilkan keuntungan bagi orang lain. Di sisi lain, logika (dan yang paling penting adalah disiplin) pabrik, sejalan dengan pandangan Marxis bahwa mode produksi (sekarang fenomena global) mempengaruhi isi masyarakat, semakin membumikan dirinya dalam institusi budaya kita, hubungan antarpribadi kita, nilai-nilai kita, dan bahkan cara kita memahami kenyataan.

Pertimbangkan, sebagai perbandingan yang tajam antara kehidupan di dalam dan di luar (atau di antara) pabrik sosial, perlakuan terhadap para tua di banyak budaya non-industrialisasi. Tentu saja, generalisasi besar yang memuja Kearifan Lokal dan “non-barat” tidak akurat dan tidak membantu, tetapi benar-benar benar untuk mengatakan bahwa ada model yang lebih baik untuk bagaimana kita merawat para tua, dengan banyak diantaranya muncul di luar wilayah budaya Anglo-Amerika. Misalnya, beberapa komunitas Aborigin di Australia menempatkan para tua sebagai, mengutip penelitian partisipatif dari Lucy Busija dkk., “warga negara yang diandalkan komunitas untuk panduan dan yang posisinya dalam komunitas didasarkan pada” keterlibatan dalam komunitas, spiritualitas, kesejahteraan fisik dan emosional, dan kebijaksanaan yang diperoleh melalui pengalaman hidup” dan, sebagai hasilnya, para tua diperlakukan dengan sangat hormat [10]. Bandingkan ini dengan dominasi “model defisit penuaan” yang hegemonik, istilah yang diciptakan oleh psikolog Catherine Roland, yang mendominasi sebagian besar masyarakat “barat” dan berpendapat bahwa penuaan melewati titik tertentu selalu merupakan kerugian bersih karena dampaknya pada pikiran dan tubuh [11]. Stigma-stigma ini hanya diperburuk oleh globalisasi kapitalis, di mana hal ini mendasari narasi “tsunami abu-abu” di Amerika Serikat, yang, menurut [Ashton] Applewhite, menyatakan bahwa “penduduk yang menua membuatnya tidak mungkin untuk bersaing dalam ekonomi global. Sebaliknya, tenaga kerja muda, di sisi lain, menarik bisnis dan investor global” dan karena itu diperlukan untuk keunggulan bersaing [12]. Dengan cara ini, seluruh ekonomi domestik AS sedang ditarik untuk menjadi perusahaan yang bersaing di ekonomi dunia, dengan masalah efisiensi ekonomi menghukum usia dan kemampuan yang dapat ditelusuri kembali ke pabrik domestik abad ke-19 dan awal abad ke-20 di mana, seperti yang diperdebatkan oleh Robert McRuer, karena kebutuhan akan pekerjaan yang efisien dan berulang-ulang, “identitas berkebutuhan mampu diciptakan di ruang disiplin pabrik. Identitas publik baru itu, pada gilirannya, tampaknya memastikan bahwa disabilitas lebih menjadi perhatian di ranah pribadi atau domestik” [13].

Ranah “pribadi atau domestik” ini—biasanya terdiri dari unit keluarga nuklir—sering kali diwakili sebagai terpisah dari ekonomi kapitalis, tetapi pada kenyataannya bukan hanya cara bagi kapitalis untuk menghindari sebanyak mungkin menggunakan nilai surplus untuk merawat pekerja tetapi ini adalah unit ekonomi yang sangat penting dari mana pekerja baru diciptakan. Mengingat pentingnya ranah ini bagi fungsi seluruh masyarakat, seharusnya mengkhawatirkan bahwa pekerjaan rumah—terutama dilakukan oleh perempuan—hampir sepenuhnya tidak terkompensasi dengan cara yang mirip dengan pekerjaan lain. Salah satu artikel New York Times mengemukakan bahwa jika kompensasi diberikan, nilainya mencapai 1,9 triliun dolar pada tahun 2019 saja [14]. Tetapi, seperti yang diteorikan oleh feminis autonomis Italia Sylvia Federici,

dengan menolak pekerjaan rumah gaji dan mengubahnya menjadi tindakan kasih, kapital telah membunuh banyak burung dengan satu batu. Pertama-tama, ia mendapatkan banyak pekerjaan dengan harga yang hampir gratis, dan ia memastikan bahwa perempuan, jauh dari berjuang melawannya, akan mencari pekerjaan itu sebagai hal terbaik dalam hidup (kata-kata ajaib: “Ya, sayang, kamu adalah seorang wanita sejati”) [15].

Jika pabrik sosial memang mencoba menemb us semua aspek kehidupan, maka ibu rumah tangga yang didorong untuk melakukan pekerjaan tidak berbayar di pusat produksi keluarga, suatu fakta yang Federici dan feminis sosialis otonom lainnya berusaha jelaskan sejak tahun 1972 melalui Gerakan Upah untuk Pekerjaan Rumah Tangga mereka. Meskipun fokus lensa ini umumnya pada “tugas sebagai istri” dan perawatan anak khususnya, poin serupa dapat dibuat dengan pekerjaan perawatan tidak berbayar lainnya—termasuk perawatan lanjut usia—di mana ada harapan bagi anak dewasa, pasangan yang lebih mampu secara fisik, teman lansia lainnya, dan sebagainya untuk memikul beban perawatan tanpa kompensasi ketika para tua tidak lagi dianggap cukup menguntungkan atau efisien untuk pool tenaga kerja kapitalis.

Edgar S. Cahn—sering disebut sebagai “bapak pertukaran waktu”—mengemukakan argumen serupa mengenai keberadaan “ekonomi kedua” di luar ekonomi ber upah-uang-perusahaan yang tanpa itu ekonomi yang terakhir tidak akan mungkin berfungsi. Menurut Cahn, meskipun “setidaknya 40 persen dari semua aktivitas ekonomi terjadi di luar ekonomi pasar yang disebut,” GDP dan metrik ekonomi tradisional lainnya tidak dapat (atau tidak mau) mengukur dampak positif non-pertumbuhan seperti menjaga “lansia keluar dari panti jompo,” “pengasuhan anak (yang bukan perawatan berbayar), perawatan lansia (yang disediakan oleh keluarga dan kerabat), pekerjaan sukarela, pekerjaan komunitas,” dan lainnya. Namun, “sistem operasi saat ini—keluarga, masyarakat lingkungan—berada dalam kondisi buruk,” dan semakin tidak mampu “melakukan fungsi dasar seperti mentransmisikan nilai-nilai, merawat anak-anak, menyediakan dukungan, menjaga keamanan, menciptakan konsensus, menjaga anggota, berbagi sumber daya terbatas.” Cahn mencapai kesimpulan yang serupa dengan Federici dan feminis otonom lainnya mengenai solusi untuk masalah ini dengan berpendapat untuk kompensasi bagi pekerjaan tidak berbayar tetapi bukan melalui upah, tetapi melalui pendekatan yang disebutnya “koperasi,” yang “berkata: Bayar untuk apa yang kamu dapat dengan berkontribusi sebanyak yang kamu bisa. Ini berarti, tidak ada lagi perjalanan gratis. Tetapi juga berarti, Kami menghargai apa yang dapat kamu kontribusikan; dan kami tidak menyamakan apa yang kamu tawarkan dengan seberapa banyak uang yang dapat kamu bayar” [16].

Referensi terhadap “tidak ada lagi perjalanan gratis” pada awalnya mungkin terdengar seperti retorika konservatif palsu yang menekankan kemandirian palsu, tetapi intinya bukanlah bahwa orang tidak pantas mendapat perjalanan tetapi bahwa seseorang harus memberikan perjalanan tersebut dan harus diberi kompensasi untuk tenaga kerja tersebut. Paradoks dari pabrik sosial adalah bahwa ketika pekerjaan tidak berbayar, seperti “perjalanan gratis,” menuntut kompensasi, Mumby menunjukkan bahwa ini mengarah pada situasi di mana

Uber, Lyft, Airbnb, dan banyak perusahaan berbasis platform serupa menangkap aktivitas sehari-hari seperti berbagi perjalanan dan menyewa tempat tidur untuk menguangkan mereka. Apa yang dulu merupakan tindakan sosial antara kenalan telah menjadi transaksi ekonomi yang dimediasi oleh platform digital yang didasarkan pada penciptaan nilai ekonomi [17].

Oleh karena itu, pendekatan Cahn lebih jauh daripada tuntutan gaji untuk mengakui pekerjaan tidak berbayar, dan menganjurkan kompensasi langsung dalam “ekonomi kedua” itu sendiri, dengan demikian memperkuat infrastruktur komunitas tersebut. Ini melawan masalah di atas atau apa yang disebut Cahn sebagai “kolonisasi” ekonomi tersebut oleh ekonomi uang kapitalis yang semakin “mengambil alih fungsi yang sebelumnya dilakukan oleh keluarga, kelompok kekerabatan, tetangga, dan lembaga non-pasar” sambil berasumsi “kontribusi dan dukungan yang berkelanjutan” dari jaringan dan lembaga yang digeser [18]. Jadi bagaimana Anda mencoba kompensasi ini tanpa uang negara kapitalis? Bagi Cahn, jawabannya adalah pertukaran waktu.

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1. Roderick Long, “Bagaimana Pemerintah Menyelesaikan Krisis Perawatan Kesehatan: Asuransi Kesehatan yang Berfungsi — Sampai Pemerintah ‘Memperbaikinya’,” Formulations 1, no. 2 (Musim Dingin 1993-1994): 16, diakses pada 13 April 2023, http://www.freenation.org/a/F/1.2.pdf.

2. Stanley R. Howe, “Meningkatkan Nasib Petani: Grange di Maine,” The Courier 34, no. 1 (2010)], diakses pada 13 April 2023, https://www.bethelhistorical.org/legacy-site/THE%20COURIER,%20Vol.%2034,%20No.%201%20%282010%29.pdf.

3. Khiara M. Bridges, “Refleksi: Komitmen untuk Perubahan,” 2013, dalam Feminist Aktivis Etnografi: Kontrapoin terhadap Neoliberalisme di Amerika Utara, ed. Christa Craven dan Dána-Ain Davis (Lanham, MD: Lexington Books, 2013), 131.

4. David Graeber, “Komunisme,” 2010, dalam Ekonomi Manusia: Panduan Warga, oleh Antonio David Cattani, ed. Keith Hart dan Jean-Louis Laville (London, UK: Polity Press, 2010), diakses pada 13 April 2023, https://theanarchistlibrary.org/library/communism.

5. “Penelitian dan Praktik Ekonomi Komunitas,” Community Economies, diakses pada 13 April 2023, https://www.communityeconomies.org/about/community-economies-research-and-practice.

6. Ibid.

7. Mario Tronti, “Pabrik dan Masyarakat (1962),” Operaismo dalam Bahasa Inggris, terakhir diubah pada 13 Juni 2013, diakses pada 13 April 2023, https://operaismoinenglish.wordpress.com/2013/06/13/factory-and-society/.

8. “Pekerjaan Manufaktur: Tren, Isu, dan Prospek,” Departemen Tenaga Kerja Maine, Pusat Riset dan Informasi, terakhir diubah pada Juli 2012, diakses pada 13 April 2023, https://www.maine.gov/labor/cwri/publications/pdf/ManufacturingJobsTrendsIssuesandOutlook.pdf.

9. Dennis K. Mumby, “Menggagas Perjuangan dalam Pabrik Sosial,” Teori Organisasi 1 (April 2020): 2, diakses pada 14 April 2023, https://www.researchgate.net/publication/341226490_Theorizing_Struggle_in_the_Social_Factory.

10. Lucy Busija et al., “Peran Sesepuh dalam Kesejahteraan Masyarakat Aborigin Australia Kontemporer,” The Gerontologist 60, no. 3: 514, diakses pada 14 April 2023, https://academic.oup.com/gerontologist/article/60/3/513/5222719.

11. Catherine Roland, “Mengalahkan Model Kekurangan dalam Penuaan,” Psychology Today, terakhir diubah pada 9 Juni 2015, diakses pada 14 April 2023, https://www.psychologytoday.com/us/blog/resilience-and-reframing/201506/defeating-the-deficit-model-aging.

12. Ashton Applewhite, This Chair Rocks: Manifesto Melawan Usia (Celadon Books, 2019), 48, epub.

13. Robert McRuer, Teori Cacat: Tanda Budaya Queer dan Disabilitas (New York, NY: NYU Press, 2006), 88.

14. Gus Wezerek dan Kristen R. Ghodsee, “Tenaga Kerja Tidak Dibayar Wanita Bernilai $10,900,000,000,000,” New York Times, terakhir diubah pada 5 Maret 2020, diakses pada 14 April 2023, https://www.nytimes.com/interactive/2020/03/04/opinion/women-unpaid-labor.html.

15. Sylvia Federici, Upah Melawan Pekerjaan Rumah Tangga (Bristol, UK: Power of Women Collective & Falling Wall Press, 1975), 2, diakses pada 14 April 2023, https://files.libcom.org/files/Federici-Silvia-Wages-Against-Housework.pdf.

16. Edgar S. Cahn, Tidak Ada Lagi Orang-orang Buangan: Imperatif Co-Production (Washington, DC: Essential Books, 2000), 48-49, 54, 57.

17. Mumby, “Menggagas Perjuangan,” 2.

18. Cahn, Tidak Ada Lagi, 114-115.

Portuguese, Stateless Embassies
Mas o que há de errado com a desigualdade?

De Gary Chartier. Artigo original: What’s Wrong with Inequality?, de 22 de janeiro de 2016. Traduzido para o português por Gabriel Camargo.

Caso você acredite nos analistas, pode acreditar que preocupações acerca da desigualdade em nossa sociedade apenas são produto de invejosos ou ignorantes econômicos. Essa é mais uma razão para não acreditar neles.

O fato de alguém possuir mais riqueza que eu não me coloca em uma posição pior. A economia não é algo com uma quantidade fixa, com alguém pegando uma maior parte necessariamente por deixar uma menor para os outros: ela é crescente, dinâmica, e com potencial de melhorar a situação de todos.

Mas rejeitar os maus argumentos contra a desigualdade como se fossem os únicos deixa os críticos se safarem com muita facilidade. Os verdadeiros problemas relativos à desigualdade social têm a ver com suas fontes e com suas consequências.

Riqueza demais advém da injustiça. No início da América, a Coroa Inglesa, bem como os posteriores governos revolucionários, se declararam os donos de vastas extensões de terra não ocupadas, negando sua legítima obtenção por indivíduos que nela empregariam suas forças de trabalho, além de roubarem terras indígenas de seus legítimos donos, dividindo-as entre políticos e seus amigos. As legislaturas tomaram terras por decreto para a construção de ferrovias. Tomaram propriedades adjacentes às linhas férreas—propriedades altamente cobiçadas por seu valor comercial—e as entregaram a companhias ferroviárias. Ainda hoje, cidades roubam terras utilizando relíquias legais que consideravam tudo como propriedade do rei—as transferindo baratinho para incorporadores (como Donald Trump).

É ruim o bastante quando a desigualdade é fruto do roubo, mas os privilégios tornam o prolema ainda pior.

Em uma economia de mercado livre de privilégios—um livre mercado—você obtém sucesso servindo os interesses dos outros, dando a eles o que demandam. Defensores do status quo comumente apontam para esse fato como forma de justificar os que fizeram sua fortuna na economia atual. Segundo os analistas, mesmo os detentores de riqueza roubada devem continuar a satisfazer as demandas alheias, ou seus concorrentes os tiram do mercado.

Contudo, a economia atual está recheada de inúmeros privilégios. Barreiras comerciais e subsídios direcionam lucros para empresas com boas conexões às custas dos consumidores. Regras para licenciamento profissional ajudam a criar e manter cartéis cujos membros podem cobrar muito mais do que poderiam de outra forma—especialmente em serviços vitais como cuidados médicos. Direitos de propriedade intelectual, falsos e artificiais criados pelo governo, dão a alguns a liberdade de dizer aos outros o que podem ou não fazer com suas reais e tangíveis propriedades, enquanto concentram riqueza nas mãos de poucos e restringem o acesso à informação. Contratos governamentais não competitivos—especialmente em setores como o da defesa, que parecem ser zonas desprovidas da necessidade de prestação de contas—dramaticamente elevam os lucros. Bancos gigantescos e megacorporações, como a General Motors, são protegidas das consequências de suas próprias escolhas ruins; resgatadas por meio do dinheiro dos pagadores de impostos.

Não apenas isso: privilégios servem para criar e manter a pobreza. Os códigos de construção que afunilam contratos para as grandes empresas capazes de atender todas as demandas regulatórias negam oportunidades às pessoas comuns de criar suas próprias moradias. O resultado é que muitos são forçados ao aluguel, enquanto outros tantos se tornam desabrigados. As mesmas regras de uso da terra que concentram a riqueza nas mãos dos proprietários ao protegerem o valor de seus imóveis impedem simultaneamente que outras pessoas encontrem moradias mais acessíveis. As mesmas regras de licenciamento que protegem profissionais bem relacionados negam simultaneamente serviços mais baratos e o que, de outra forma, seriam oportunidades de trabalho viáveis para as pessoas.

A desigualdade de riqueza frequentemente advém da injustiça. Frequentemente também a gera. Isso porque possibilita os detentores de grande riqueza influenciar o processo político. Estratégias que vão desde lobbying até o puro suborno defendem os interesses dos ricos enquanto captam novos favores para manter sua posição de privilégio. Enquanto esses favores forem mantidos, também será a capacidade de perpetuação da desigualdade.

O verdadeiro problema com a desigualdade não é a existência de diferenças numéricas ou ganhos e perdas relativos a uma suposta quantidade fixa de riqueza. No mundo real, o problema que, com razão, enfurece as pessoas comuns—incluindo tanto os manifestantes do Occupy quanto os integrantes do Tea Party—está enraizado no roubo, no privilégio e no favoritismo político.

Podemos confrontar esses problemas enquanto acabamos com a pobreza estrutural que abala nossa consciência sem sucumbir à política da inveja ou acreditar em falácias econômicas. A solução é retificar o roubo passado onde for possível—expropriando ou ladrões de seus ganhos ilegítimos. É acabar com os privilégios que empobrecem muitos, enquanto concentram riqueza nas mãos de poucos. É acabar com o poder do governo de criar e impor esses privilégios—o poder que incentiva o favoritismo e perpetua a desigualdade injusta.

Remediando a violência, acabando com privilégios e com a habilidade dos governos de interferir na economia resolverá—de forma definitiva—o real problema da desigualdade.

Commentary
The Climate Denial Machine’s Fake Statistics Just Keep On Coming

In a previous column, I examined the way Reason’s Ron Bailey (and the hack climate “scientists” he showcases) have toyed with GDP statistics in an attempt to downplay the harm from climate change. It looks like Ron and his buddies have some competition in the “Lies, Damned Lies, and Statistics” category — it’s coming from Bjorn Lomborg (also a favorite at Reason).

Lomborg (whom Reason bills as a statistician), like Bailey, is one of those “skeptical environmentalists” whose whole shtick is admitting that anthropogenic global warming is real, but not big enough of a deal to actually do anything about. Lomborg’s approach is to put reducing greenhouse gas emissions on the back burner (pun intended), and focusing instead on increasing “climate resilience” — which, you probably won’t be surprised to learn, involves lots and lots of economic growth and profit for big business.

That’s Lomborg’s consistent framing in both the Copenhagen Consensus Conference and in the research output of his think tank, the Copenhagen Consensus Center. As he stated in an interview with his hagiographer Ron Bailey:

I think the main point of [my book The Skeptical Environmentalist] was to challenge our notion that everything is going down the drain, and I don’t see any reason to revise that. We are in general moving in the right direction, and it’s important to say mankind solves a lot of problems. We also create new problems in the process of solving old problems, but typically they’re smaller than the old ones we fix, which is why we move ahead on virtually all material indicators. 

He also told Reason in 2008:

At the end of the day, this is about saying, Yes, global warming is real. It’s often massively exaggerated, which is why we need smarter solutions…. Let’s pick them smart, rather than stupidly. And also, let’s remember that they are many other problems in the world that we can fix so much cheaper and do so much more good….If this is really a question about doing good in the world, then let’s do real good-and not just make ourselves feel good about what we do. 

So if you’re fond of Steven Pinker’s panglossianism, the gonzo techno-optimism of Herman Kahn, and so-called “effective altruism,” you’ll probably love the Copenhagen Consensus.

When it comes to reducing global warming itself, and not just the severity of its symptoms, geoengineering is the “most cost-effective” approach. Now, unlike a lot of environmentalists, I don’t reject geoengineering — particularly things like orbital sunshades that don’t involve large-scale chemical pollution of the biosphere — on principle or out of hand, particularly as last-ditch options to prevent an existential catastrophe. (Although Lomborg mentions “marine cloud whitening — spewing clouds of aerosolized seawater into the atmosphere — as the primary alternative in the video linked above, he speaks favorably elsewhere of blocking sunlight with sulfur dioxide as another possibility.)

But there’s a big difference between being open to something as a last resort, and confidently promoting it as the “most cost-effective” solution, when there are so many unknowns on the cost side of the ledger. It strikes me as pretty hubristic — to say the least — from someone whose biggest fans are the sort of libertarians who usually go on about “unintended consequences.” As the Rational Wiki article on Lomborg points out: 

Geo-engineering is largely seen as a last-ditch solution because pumping the atmosphere full of massive amounts of sulfur as Lomborg favors may have loads of unintended consequences and doesn’t deal with several problems created by increased carbon dioxide levels such as ocean acidification (the project tends to omit these considerations in its reports).

In fairness to Lomborg, he does advocate large-scale investment in low-carbon energy technologies. But he contrasts this approach to what Ron Bailey, speaking from the amen corner, calls “draconian and poverty-inducing cuts in greenhouse gas emissions.” 

Now, I have to say this is perplexing, coming from an avowed free market libertarian like Bailey. What we have right now is a system in which greenhouse gas emissions are, in effect, massively subsidized. On federal land — either stolen from Indigenous peoples or preempted successively by the Spanish, French and/or Mexican, and finally by the U.S. government — extractive industries are given privileged access. Land is condemned for fossil fuel pipelines via eminent domain. Pipelines and extraction sites are indemnified against liability for spills and other pollution, earthquakes, etc., beyond a very low level. The United States fights foreign wars to guarantee access to foreign fossil fuel reserves for American industry, and the Navy — by far the largest capital expense in the so-called “defense” budget — has the primary peacetime mission of keeping the sea lanes safe for oil tankers and other shipping at taxpayer expense.

Even Nick Gillespie, not everyone’s beau ideal of a critical thinker, acknowledged the issue as problematic when he admitted the dependence of fossil fuel pipelines on eminent domain. But Bailey’s commentary on pipelines is, without exception, breathlessly enthusiastic.

The standard libertarian position is that subsidies are actually “poverty-inducing,” because they distort price signals and shift the investment of resources into less productive uses. Lomborg himself noted that (as of 2017) wind and solar were still being only slowly adopted because they still weren’t cheap enough relative to fossil fuels. But that’s a two-sided comparison. If sustainable energy technology isn’t yet cheap enough relative to fossil fuels, that’s not only because the new technology hasn’t yet sufficiently lowered its costs; it’s also because fossil fuels, on the other side of the equation, are artificially cheap. By free market libertarian logic, the most efficient — and least poverty-inducing — approach would be for fossil fuels to fully internalize all the positive externalities created by the state subsidies enumerated above. Then there would be less need to subsidize alternative energy R&D. Bailey’s characterization of reduced greenhouse emissions as “poverty-inducing” sounds a lot like Bastiat’s candle makers demanding the sun be put out.

But all of this is just by way of background. The thing that prompted this column was a misleading infographic Lomborg posted on Facebook, summarizing data from his article “Welfare in the 21st century: Increasing development, reducing inequality, the impact of climate change, and the cost of climate policies” (Technological Forecasting and Social Change, July 2020). The gist of it, as he summarizes in his Facebook post, is that “about 98% fewer people died in 2022 than a hundred years ago from climate-related natural disasters like floods, droughts, storms, and wildfires…. Over the past hundred years, annual climate-related deaths have declined by more than 98%.”

Lomborg’s graph probably appears more frequently in online right-libertarian polemics than anything since the equally stupid “World Population Living in Extreme Poverty, 1820-2015 graphic that’s been circulating for years. The leading places it shows up are “Human Progress” (a Cato subsidiary), the Wall Street Journal, and the Foundation for Economic Education. Vivek Ramaswamy, the living personification of obnoxious techbrohood, quoted it in a recent 2024 GOP presidential candidates’ debate — the gold standard for Stoopid.

Let’s start with the data itself. What does Lomborg even count as “climate-related” deaths? Apparently not people who die in actual heat waves. There were 60,000 heat-related deaths in Europe alone during Summer 2022 — the highest death toll since the 70,000 in Summer 2023 — and Lomborg’s total for all climate-related deaths, for the whole world, doesn’t even appear to hit the 10,000 mark on his graph. In South Asia, low heat-related death counts under far more extreme conditions raised suspicion of undercounting; an estimate based on excess mortality, which requires months of data analysis to produce, would likely have resulted in a figure of many thousands. This reasoning is borne out by the fact that the 2015 heat wave resulted in 2000 deaths in Pakistan’s Sindh province alone.  In the United States, in Maricopa County Arizona alone, reported heat-related deaths this year had reached 180 as of September 6. This was likely an undercount, considering last year’s total was revised upward to 450 at the end of the summer. Heat-related deaths, again, are prone to undercount. “If there are comorbidities — heart disease, obesity, mental illness — heat might not make it on the list.” 

And in poorer areas — the very places likely to have higher death rates because of vulnerable populations without air conditioning and other means of dealing with extreme heat — the undercount is likely to be exacerbated because of inadequate government resources. As Zoya Tierstein notes

properly diagnosing a death as climate-related requires time, training, and resources that many of the nation’s roughly 3,500 health departments don’t have. While Maricopa County carefully combs through every suspected heat-related death that occurs in the county during Arizona’s long summer, it’s an outlier in that respect.

This is equally true of deaths from heat-related disasters like hurricanes.

It’s hard to get a full picture of the true number of mortalities connected to a given disaster in real-time. The full death toll often isn’t revealed until weeks, months, even years after the event occurs. And an unknown fraction of deaths often slide by undetected, never making it onto local and federal mortality spreadsheets at all. For example, a recent retrospective study found the number of people who died from exposure to hurricanes and tropical cyclones in the U.S. in the years between 1988 to 2019 was 13 times higher than the federal government’s official estimates. 

But even stipulating to the validity of Lomborg’s statistical claims, the inferences he draws from them don’t — to put it mildly — display a whole lot of intellectual rigor. His argument basically boils down to this: “Despite one degree Celsius increase in temperature since the beginning of the Industrial Revolution, climate-related deaths have fallen by 98% over the past century. So there is no basis for predicting a billion excess deaths from another degree or more increase over the coming century.” 

In other words, he’s extrapolating a past century’s trends another century into the future, on the tacit assumption that nonlinear phenomena, tipping points, and positive feedback loops don’t exist. Given the nature of the phenomena in question, and actual climate news over the past decade or so, that’s an extremely unjustifiable assumption to make. 

Consider: The New York Times reported in January that the previous eight years were the eight hottest on record. Since then, 2023 has broken the record for hottest ever. At 1.5 Celsius degrees cumulative temperature increase, five different climate tipping points become likely; two of them in particular — the collapse of the Antarctic and Greenland ice sheets, and alteration of the Gulf Stream ocean current — will have absolutely catastrophic non-linear effects in a very short time period. Hundreds of millions or billions of people live in areas that will be flooded by ice sheet collapse. Other tipping points, like methane emissions from thawing permafrost, involve positive feedback cycles that by definition are non-linear. What’s more, there are more recent findings that “tipping points and cascades are already occurring, not at 1.5 or 2 degrees Celsius of warming, but right now” — suggesting that “many positive feedbacks are not fully accounted for in climate models.”

Meanwhile, the maximum theoretical limit of human heat tolerance is a wet bulb temperature of 95 Fahrenheit — that is, at 100% humidity — for six hours. As these conditions prevail in more and more areas of the world for extended periods, and local temperatures exceed the limits of human survival, we can expect a dramatic difference between death rates before and after.

This kind of sophistry isn’t limited to Lomborg’s treatment of climate-related deaths; he’s used the same argument regarding sea level rise: “Lomborg compares the observed past rise with average projections for the future.”

So even if the data is valid — which it is not — without the critical capability to interpret it, it’s worthless. 

But shoddy data and incoherent logic or not, you can expect to continue seeing this mindless graph over and over from the Usual Suspects. Jason Hickel has repeatedly debunked the Extreme Poverty infographic, but that doesn’t stop it being endlessly circulated as indisputable fact by people with a cargo cult understanding of “science.” Lomborg’s graphic is equally worthless, but in the end that doesn’t matter. There’s a reason Lomborg is popular with the Foundation for Economic Education, Ramaswamy, and Ron Bailey and the Reason gang — and truth has nothing to do with it.

Spanish, Stateless Embassies
El llamado a la acción de la generación perdida

De Keith Taylor. Artículo original: The Lost Generation’s Call To Action, del 20 de enero de 2012. Traducción al español de Vince Cerberus.

Estados Unidos es un país de individualismo rudo. — ¡Me gané mi dinero! — ¡La libre empresa es la base de la grandeza estadounidense! — No muevas el barco. – Sigue el juego. — No te quedes atrás. – Dejarse llevar. — La política debe promover la seguridad del mercado. — ¡¿Por qué los pobres no consiguen trabajo?! — Levántese con sus propios medios. – Cosechas lo que siembras. — ¡Si trabajaran duro, el mercado los recompensaría!

¿Es esto en lo que se ha convertido el sueño americano?

¿Dónde está la inspiración? ¿Dónde está la aspiración a una meta más elevada, un avance de la humanidad más allá del trabajo inútil? La Gran Recesión está forzando un cambio sistémico. El sistema actual, situado sobre los cimientos del excepcionalismo estadounidense, parece vacío: la ilusión sustentada por miles de millones de dólares en publicidad destinada a encubrir la realidad. Tenemos grandes petroleras destruyendo todo un ecosistema en el Golfo. La industria nuclear es más peligrosa que nunca. Las grandes firmas financieras como Goldman hicieron un Robin Hood al revés y le quitaron a Peter (usted) para pagarle a Paul (la clase de CEO). Las empresas de capital buitre compran cadenas minoristas enteras, las cortan hasta los huesos y luego las lanzan al mercado para obtener grandes ganancias; así es como un  candidato presidencial ganó millones. A pesar de la retórica para sentirse bien, todos sabemos que el sistema actual ofrece poca inspiración para nuestro futuro compartido. Como solía decir el gran comentarista social George Carlin:

Los dueños de este país saben la verdad: se llama el sueño americano porque hay que estar dormido para creerlo.

Los propietarios de este país gastan miles de millones en darles a los propagandistas (algunos los llaman cabezas parlantes, otros expertos) cómodos anuncios de televisión en horario de máxima audiencia para regurgitar fragmentos de sonido producidos por grupos de expertos como la Heritage Foundation, financiada por corporaciones. Estos propagandistas explican las hipocresías de sus amos corporativos y reprenden a cualquiera que se oponga a su agenda de grandes cantidades de dinero. Este es su juego, manipulado para soportar un conjunto de reglas en constante cambio, todo a nuestra costa. Tan obsesionados están con conservar su poder, que los dueños de este país han demostrado que están dispuestos a arruinar toda la economía global para conservar su dominio, un punto que quedó muy claro en el reciente debate sobre el techo de la deuda.

Los medios de comunicación están haciendo su parte para culpar a la clase baja,  etiquetando  a este grupo como la  Generación Perdida Estadounidense . La gran mayoría de las personas dentro de la Generación Perdida nunca tendrá la influencia política necesaria para alcanzar el sueño americano de múltiples mansiones, autos veloces y fiestas de cumpleaños repletas de estrellas (una existencia hueca, si me preguntas). El 99% más pobre de Estados Unidos enfrenta un futuro incierto con perspectivas laborales limitadas debido a tecnologías cada vez más automatizadas que pertenecen a unos pocos. Es más, tampoco podemos acudir al gobierno en busca de ayuda, ya que la clase empresarial ha disminuido la capacidad del gobierno para mitigar las crisis económicas provocadas por los propietarios de las democracias occidentales.

¿Qué puede hacer toda una generación de personas?

Puede que sea cierto que somos una Generación Perdida, pero no está escrito en piedra. Las proclamas de los think tanks sólo son ciertas si continuamos por este camino de dependencia diseñado por los dueños de nuestra democracia.

Los baby boomers que nos precedieron supuestamente se criaron en una época de prosperidad incomparable. El movimiento sindical era fuerte y las clases políticas llegaron a un gran acuerdo con una serie de movimientos de protesta: sigamos siendo ricos y les daremos un estilo de vida estable de clase media. La ilusión es que el sistema político y económico era un sistema de consenso compartido, regulado democráticamente para satisfacer las necesidades de las masas y al mismo tiempo proporcionar espacio para que los marginados alcanzaran el “sueño americano”.

Pero este sistema nunca fue nuestro para compartirlo. Fue modificado por quienes tenían conexiones políticas para mantener a la gente complaciente.  La Seguridad Social, Medicare, los cupones de alimentos y otros programas de seguro social han evitado que muchas personas mueran, pero no han detenido el sufrimiento de muchas; el resultado es, en el mejor de los casos, un sistema de prevención de crisis. De hecho, desde sus inicios, la red de seguridad social fue desmantelada estratégicamente por las clases propietarias.

Los propietarios nunca han seguido las reglas como lo hacemos el resto de nosotros. Los propietarios hacen todo lo posible para utilizar portavoces en el gobierno y los medios de comunicación para enmarcar su  capitalismo del desastre  como alguna forma de reforma populista cuando en realidad es sólo otro paso atrás hacia los días más oscuros de la industrialización, donde la gente vivía sus vidas en beneficio de los barones ladrones en ciudades industriales propiedad de corporaciones.

Una mirada superficial al doble discurso es a la vez reveladora y alarmante. Los políticos estadounidenses se refieren cariñosamente a los directores ejecutivos corporativos como “creadores de empleo”, imbuyendo una reverencia casi divina por la riqueza de los políticamente privilegiados para obstaculizar las críticas al despilfarro excesivo generado por los ingresos fiscales de las familias monoparentales y las personas mayores de la clase trabajadora sin pensiones en tiendas de cajas.

Los inversores de Wall Street consideran cada vez más los programas de seguro gubernamentales obligatorios en los que todos pagamos (como el seguro de desempleo o la Seguridad Social) como otra fuente más de ingresos estables. Estos programas son deslegitimados por grupos de expertos como la Heritage Foundation, llamados bienestar  en lugar de  seguro por los medios de comunicación para hacer creer a la gente que son dádivas excesivas a  elementos criminales , luego son “reformados” para hacer que el programa de seguro sea menos efectivo, lo que final e inevitablemente defiende que nuestros queridos “creadores de empleo” tomen el control y corrijan el sistema.

A menudo se argumenta que los propietarios de las empresas estadounidenses se preocupan por sus comunidades locales y las personas que trabajan para ellas. La ironía es que cada vez que surge una iniciativa para hacer que las corporaciones que cotizan en bolsa (y públicamente privilegiadas por los estatutos corporativos, ya que ahora son de responsabilidad limitada y se cuentan como “personas”) operen en interés de la sociedad en general, se oponen a  ella . Las corporaciones transnacionales están estructuradas por la ley (y defendidas por la cultura pop) para extraer riqueza localmente y consolidar esa riqueza dentro de círculos poblados por directores ejecutivos, miembros de juntas directivas y accionistas sin tener en cuenta sus comunidades anfitrionas (aquí creo que el término parásito es apropiado).

La lección es simple. Con la misma facilidad con la que las clases propietarias crearon su programa social o su auge económico, pueden quitárselo. 

Mi abuela, dependiente de Medicare, se quedaría sin atención médica que garantice su vida si se aprobara el actual plan presupuestario del republicano, una bofetada a las personas mayores a nivel nacional que pagaron por esta atención a lo largo de toda una vida de trabajo. Nada menos que el Foro Económico Mundial –en el  Informe de Riesgo Global de 2011– ha llegado tan lejos como para señalar que una falla global endémica de la gobernanza está dando como resultado una amplia disparidad, inseguridad alimentaria y comunidades en riesgo de sufrir shocks sistémicos crónicos, una crisis persistente provocada por sobre nosotros por estos barones ladrones modernos con esteroides. Esta no es sólo una crisis de Estados Unidos, sino de todo el mundo.

Debemos aceptar la realidad de que las empresas estadounidenses están del lado de las empresas estadounidenses. La América corporativa no es tu amiga. A diferencia de usted, los dueños de este país carecen  de empatía , tienen  personalidades casi destructivas y  no son tan caritativos como podría pensar.

No podemos volver a los viejos enfoques, enfoques que son fácilmente cooptados a través de procesos políticos centralizados. La escala de centralización significa que sólo pueden acceder al sistema aquellos que estén dispuestos a donar para campañas políticas y contratar a políticos jubilados y sobrepagados que se hacen pasar por cabilderos. En lugar de ello, debemos abrazar un movimiento que se ha estado construyendo bajo nuestros pies, un movimiento que pone el poder en nuestras manos no mediante la revolución, sino mediante la subversión. Nosotros, esta Generación Perdida, no tenemos la tarea de tener esperanzas, sino de crear.

Construir de nuevo dentro del caparazón de lo viejo: el movimiento empresarial cooperativo.

No necesitamos a los dueños.

El mensaje es claro: debemos romper con nuestra dependencia de los dueños de nuestras democracias. En lugar de ello, debemos crear una visión social competitiva que satisfaga las necesidades materiales y espirituales de la mayoría. No queremos una “economía alternativa”. Necesitamos   una economía competitiva, que le dé algo humano a este parásito corporativo derrochador y pesadoDebemos construir un sistema que no nos puedan arrebatar quienes quieren seguir siendo nuestros dueños.

Cómo llegar allí no es realmente tan difícil como parece. Personas en todo el mundo, desde Túnez hasta Siria y Chile, por nombrar algunos, se niegan a ser una Generación Perdida y a tomar posesión de sus propias vidas.

Se ha escrito mucho sobre el movimiento empresarial social, liderado por pensadores como el creador de las microfinanzas, Muhammad Yunus ,  del Grameen Bank. Y sin duda, Yunus ha trabajado para crear una gran cantidad de actividad empresarial y autosuficiencia en el empobrecido Bangladesh. Sin embargo, la noción de negocio social es la idea de “nosotros ayudarlos”. Hay una autoridad sutil incrustada en la conceptualización del modelo de negocio social que se siente como más del mismo desarrollo que genera dependencia, una especie de caridad que viene desde arriba.

Lo que necesitamos es menos caridad, más solidaridad.

Ningún otro modelo institucional exhibe el ideal de solidaridad que el modelo empresarial cooperativo.

La estructura de las cooperativas (como regímenes de propiedad común) está construida para infundir democracia en todas las facetas de nuestras vidas. La democracia no está reservada a una votación única durante la semana laboral (en Estados Unidos, a ese proceso lo llamamos elecciones presidenciales). En cambio, las cooperativas están diseñadas intencionalmente para ser administradas por quienes las usan y son propietarios (dudo que esto sea lo que quiso decir cuando Karl Rove acuñó el término “ sociedad de propiedad ”). Los  Pioneros de Rochdale diseñaron cooperativas  a propósito   para trabajar juntas de manera sistémica, impactar a sus comunidades, construir la sociedad civil y educar a las masas sobre el modelo de negocio cooperativo.

Esto no es utópico. Este es un arranque comunitario. Esto es lo que puede suceder cuando las personas se organizan en torno a necesidades específicas con un propósito compartido.

Las cooperativas afectan globalmente las vidas de miles de millones de personas. La notable Mondragón, una federación de trabajadores en España, es el ejemplo al que se hace referencia con mayor frecuencia y, de hecho,  es bastante impresionante . Las más de 100 cooperativas de trabajadores producen de todo, desde alimentos hasta microprocesadores, generando más de 20 mil millones de dólares en ingresos anualmente. Pero hay otro modelo cooperativo que considero ideal en esta era de corrupción y colusión entre las empresas y el Estado.

Las  cooperativas sociales  de la Emilia-Romaña italiana se formaron en parte para circunnavegar al corrupto gobierno italiano y brindar servicios sociales críticos en toda la región. A los burócratas conectados con la mafia se les negó el dinero de los impuestos y se encargó a las cooperativas sociales que los proporcionaran a través de una serie de mecanismos. De la entrada de Wikipedia sobre cooperativas sociales:

Las cooperativas sociales se definen jurídicamente de la siguiente manera:

● el objetivo es el beneficio general de la comunidad y la integración social de los ciudadanos.

● las cooperativas de tipo A prestan servicios sanitarios, sociales o educativos.

● los del tipo B integran a personas desfavorecidas en el mercado laboral. Las categorías de desventajas a las que se dirigen pueden incluir discapacidad física y mental, adicción a las drogas y al alcohol, trastornos del desarrollo y problemas con la ley. No incluyen otros factores de desventaja como raza, orientación sexual o abuso.

● varias categorías de partes interesadas pueden convertirse en miembros, incluidos empleados remunerados, beneficiarios, voluntarios (hasta el 50% de los miembros), inversores financieros e instituciones públicas. En las cooperativas de tipo B, al menos el 30% de los miembros deben pertenecer a grupos destinatarios desfavorecidos.

● la cooperativa tiene personalidad jurídica y responsabilidad limitada

● votar es una persona, un voto

● no se puede distribuir más del 80% de las ganancias, el interés se limita a la tasa del bono y la disolución es altruista (no se pueden distribuir activos)

Cuando hablamos de empoderamiento y satisfacción de las necesidades de las comunidades locales, el modelo de cooperativa social va muy lejos camino hacia esos criterios. ¿Pero debemos detenernos ahí? ¿Podemos pensar en grande y podemos pensar mejor?

Construyendo un nuevo modelo en Estados Unidos.

Los dueños de nuestra democracia han hecho poco para construir verdaderamente una comunidad o contribuir a un cambio social positivo. Los salarios proporcionados por nuestros propietarios son una cosa, pero la propiedad de nuestra democracia es completamente diferente.

Las cooperativas han demostrado una inmensa capacidad para operar como vehículos de cambio social. Pero ¿qué pasa con un movimiento cooperativo basado en un énfasis comunitario?

La economía cooperativa de Estados Unidos se compone de aproximadamente 30.000 empresas, propiedad de consorcios de consumidores, trabajadores y productores. Hay más de 300 tiendas cooperativas de comestibles, miles de cooperativas de crédito, 900 cooperativas eléctricas y cientos de servicios públicos. En conjunto, estas cooperativas emplean a decenas de miles de personas y producen más de 600 mil millones de dólares en ingresos anuales sólo en Estados Unidos. Eso no es un cambio tonto.

Ahora imaginemos un gobierno de los Estados Unidos que no favorece las tiendas minoristas que acaban con los negocios y en cambio ayuda a los pequeños y medianos empresarios a trabajar colectivamente para construir la próxima generación de cooperativas, concretamente eliminando las leyes que inducen privilegios otorgadas a las grandes corporaciones. Los gigantes corporativos tendrían que operar dentro de una verdadera economía de mercado en contra de las empresas orientadas a la comunidad. Pero eso no es suficiente. Las cooperativas necesitan una ayuda debido a los siglos de privilegios que las corporaciones han recibido de sus asociaciones gubernamentales.

No deberíamos pedir exenciones fiscales, ni siquiera subsidios directos, sino que las corporaciones deberían seguir pagando por el sistema que han manipulado durante tanto tiempo a través de su sistema tributario estándar con deducciones mínimas. Las cooperativas sociales dentro de los Estados Unidos deberían recibir una designación especial para realmente empoderar a esta forma de empresa comunitaria para que florezca y fomente una profunda riqueza comunitaria.

Una cooperativa social no pagaría impuestos federales, pero retendría esa parte de los impuestos para su uso dentro del sector de cooperativas sociales. La cooperativa social retendría el monto total de sus impuestos federales para tres propósitos.

Primero, la mayoría de los impuestos retenidos se reservarían para servicios sociales orientados localmente. Al hacerlo, se eliminaría del proceso la inflación del sistema federal de impuestos y redistribución. Una mayor eficiencia mejoraría la naturaleza específica de los programas sociales, creados y administrados por los miembros propietarios de la cooperativa social (tales sistemas podrían combinarse con otras cooperativas sociales, coordinarse en asociación con programas universitarios de trabajo social para aprovechar las habilidades). conjunto desarrollado por profesores de larga data para mejorar los resultados de la inversión social).

En segundo lugar, los impuestos retenidos podrían destinarse a la capacitación profesional para necesidades reales. El sistema actual invierte dinero en programas de capacitación laboral a corto plazo creados y dirigidos a las necesidades de las grandes corporaciones (la corporación que lo contrata hoy puede despedirlo mañana cuando se acabe el subsidio). Las cooperativas sociales podrían capacitar a las personas tanto en habilidades laborales básicas para los verdaderamente desfavorecidos como en las habilidades necesarias para un tipo diferente de sociedad, como la resolución de conflictos y la toma de decisiones por consenso. De esta manera, la capacitación en habilidades se convierte en desarrollo de capacidades y contribuye a la sociedad civil al empoderar a las personas para comprender mejor cómo funcionan los sistemas sociales y qué se necesita para acceder a ellos y cambiarlos. Todos se convierten en expertos cuando todos están incluidos en alguna parte del proceso de propiedad.

En tercer lugar, el resto de los impuestos retenidos se agruparía en un fondo de préstamos rotatorio con la única intención de hacer crecer más cooperativas sociales y proporcionar capital crítico para expandir las cooperativas sociales existentes. En este escenario, las 30.000 cooperativas que operan actualmente en los EE. UU. podrían permanecer bajo los estatutos fiscales actuales o pasar al sistema de cooperativa social. De todos modos, el modelo de cooperativa social incentivaría la educación, la cooperación entre cooperativas y el desarrollo comunitario, tres de los siete principios cooperativos de Rochdale. Esto contribuiría en gran medida a que algunas cooperativas de larga data actúen realmente como cooperativas y construyan un movimiento social verdaderamente competitivo.

Imagínese si quiere una cooperativa social de comestibles. ¿Está desempleado y necesita asistencia alimentaria? Su cooperativa social de alimentación podría administrar la ayuda alimentaria en forma de cupones de alimentos en colaboración con el gobierno estatal. ¿Qué pasa si no calificas para recibir cupones de alimentos, pero estás en quiebra (sucede con frecuencia)? La cooperativa social de comestibles podría intercambiar alimentos subsidiados por mano de obra voluntaria en la tienda de comestibles u otra cooperativa social local con la que esté asociada. De esta manera, los miembros propietarios de las cooperativas sociales cuidan de su propia comunidad no a través de la caridad, sino a través de diversos grados de solidaridad. El motivo de lucro se reemplaza por el motivo de solidaridad.

Esta es la verdadera descentralización. La necesidad de que las regiones rurales y urbanas empobrecidas se ganen el favor de los políticos (por nimiedades para sobrevivir y vivir un día más) se reduciría drásticamente bajo el modelo de cooperativa social. Los lugares de trabajo pueden extender la promesa de la democracia a la fábrica y conectarla con la sala de juntas mediante la  fusión de la propiedad de los trabajadores  también. Los trabajadores serían tratados como propietarios, como parte del proceso de gestión en un sistema empeñado en el emprendimiento amplio, el pensamiento crítico y la acción cívica como el motor principal, no sólo el afán de lucro inferior.

¿Qué pasa con las cuestiones de accesibilidad a la tecnología avanzada? Hace mucho tiempo que las comunidades cedieron su capacidad de producción a grandes corporaciones y empresas estatales, lo que significa que cada comunidad en Estados Unidos depende de la experiencia de unos pocos para fabricar, transportar y distribuir las necesidades de muchos. Estos sistemas están envueltos en leyes de propiedad intelectual que hacen más para impedir la innovación y la competencia que para garantizar a un empresario un retorno de su invención. No es difícil ver cómo la falta de información, sumada a la escasez de recursos como combustibles fósiles, minerales metálicos y agua potable, erige una barrera sustancial a la acción colectiva.

La información como fuerza multiplicadora del cambio.

A pesar de lo que nos dicen los políticos y expertos, los dueños de nuestra democracia realmente no tienen mucho que aportar, ya sea empleos, servicios sociales críticos o incluso conocimientos.

No los necesitamos.

Grupos de todo el mundo están innovando vías tecnológicas para abordar estos problemas de manera abierta. El código abierto  es un proceso mediante el cual el abastecimiento de un producto o proceso está abierto a la difusión pública. Cuanto más abierto sea un producto o proceso, más fácil será el acceso a los esquemas, lo que significa que los procesos se pueden agilizar y los voluntarios pueden mejorar rápidamente los productos. Una vez que se abre la fuente de información, la tecnología se puede mejorar e implementar de  maneras  nunca antes imaginadas.

Combine el modelo cooperativo con el creciente poder del intercambio de información de código abierto y verá un verdadero multiplicador de fuerza para un renacimiento comunitario moderno. La innovación de código abierto entonces se centra más en construir su comunidad que en buscar grandes ganancias.

Mi estado natal, Illinois, está repleto de talleres de maquinaria a pequeña escala, generalmente encargados de producir herramientas o piezas especiales para fábricas de marcas globales como Caterpillar o ADM. Quién puede decir que estos talleres de maquinaria a pequeña escala no podrían especializarse en productos especializados para el consumo regional, creando así nuevos mercados para bienes y mejorando la capacidad de producción local. Los talleres mecánicos podían producir de todo, desde tornillos hasta interruptores de luz, secadoras de ropa, cortadoras de césped y  automóviles . De hecho, esta capacidad podría incluso redirigirse a  la fabricación de máquinas que fabriquen las máquinas  (para una inspiración particular, los redireccionaría al trabajo revolucionario que se está realizando en  Factor E Farm ).

Estos talleres mecánicos podrían federarse para crear economías de escala óptimas. La federación podría contratar un equipo de ingenieros para dirigir la innovación operando sitios web dedicados al avance de líneas de productos y tecnologías de código abierto, involucrando así a una comunidad global de innovadores que contribuyan a un anillo web compartido de desarrolladores.

Un sistema así no tiene por qué implicar sacrificios, ni siquiera en términos estéticos. Estamos viendo avances adicionales en la tecnología que hacen posible no sólo producir las necesidades diarias estándar en su propio garaje, sino también hacerlo con atención al diseño y al estilo. Hay  grupos  dedicados a  la ropa de código abierto. ¿Necesitas muebles? ¿Qué tal si te pones en contacto con tu cooperativa de carpintería local y les pides que fabriquen un  mueble de diseño  que hayas descargado online? ¿Quieres iniciar una cooperativa con informática automatizada? Por supuesto, puede consultar con  los técnicos informáticos de su cooperativa  sobre  las opciones informáticas de código abierto.. ¿Preocupado por la sostenibilidad de su huella energética? Hay comunidades de personas que trabajan en  energías renovables de código abierto y la tecnología no hace más que mejorar.  Cuanta más gente se involucre, más rápido se producirá la innovación.

Las comunidades de todo el mundo están más preparadas para aprovechar el código abierto de lo que se podría pensar. De hecho, muchos países en desarrollo son en realidad focos de tecnología de fabricación de alta gama. Empresas como Nike, Adidas e incluso Apple no fabrican sus propios productos; subcontratan a fabricantes de todo el mundo. De hecho, estas empresas  intimidan cada vez más a las nuevas empresas  que infringen patentes ridículamente amplias. Al unirnos en forma cooperativa, podemos proteger mejor a estas nuevas empresas de la mano dura de ese tipo de intimidación corporativa que hace más para acumular ganancias que para mejorar la sociedad.

Apple, por ejemplo, está produciendo hardware de última generación con software elegante, claro, pero en realidad no fabrica sus computadoras; Apple  subcontrata  empresas en ciudades industriales de  Taiwán, Corea del Sur y China continental . Nike utiliza la fabricación textil computarizada en Indonesia. GM y Boeing producen componentes para sus automóviles y aviones en todo el mundo (el enfoque dogmático de Boeing hacia la subcontratación ha  perjudicado los resultados  más que ayudado).

La infraestructura existe en todas partes para que podamos crear economías regionales abundantes y hacerlo de manera sostenible. En lugar de una economía de tira y afloja basada en fuertes desembolsos publicitarios y en el consumo gubernamental de excedentes de producción, terminamos con una economía de tira y demanda más dinámica impulsada por necesidades orientadas a lo regional. Las engorrosas cadenas de suministro justo a tiempo  serían cosa del pasado. Atrás quedará la gran cantidad de desperdicio proveniente de la sobreproducción de bagatelas de plástico baratas, que luego serían reemplazadas por bienes más duraderos a la entera disposición de los miembros propietarios de una economía cooperativa sólida.

Sin duda, la clase propietaria se quejará de cuestiones de eficiencia, utilizando palabras de moda tan vacías como libre empresa y robo de propiedad intelectual. La reducción de la carga del afán de lucro, la disminución de la contaminación del transporte regionalizado y la limitación de los residuos no serán suficientes para sofocar las “críticas constructivas” de los propietarios políticamente conectados. De hecho, en sus argumentos contra la ineficiencia de tales economías localizadas, pasan por alto un gran componente de sus costos generales; Pago del CEO y rentabilidad para los accionistas. Imaginemos el aumento de los costes generales de nuestros productos simplemente por tener la infraestructura corporativa que paga a los directores ejecutivos de las empresas automotrices moribundas 20 millones de dólares en compensación. En una cooperativa, desaparecerían los accionistas, los administradores de fondos de cobertura y los burócratas que exigen la maximización de ganancias. El diferencial salarial bajaría, y otros excesos (jets privados cualquiera) serían cosa del pasado. Ya no reinaría supremo el que tuviera más dinero; En una cooperativa, no importa cuánto dinero uno contribuya, cada miembro singular obtiene sólo un voto.

Nos tenemos el uno al otro. Los dueños quieren necesitarnos. Es hora de que digamos que no los necesitamos.

Conclusión.

Podemos y debemos tener un nuevo sistema. Ningún sistema será jamás utópico, pero podemos estar de acuerdo en que al menos puede ser mejor… mucho mejor.

Mi mensaje es este:  no los necesitamos. Podemos y debemos tener un sistema en el que cada comunidad elabore su propia solución. Si liberamos la capacidad creativa y colaborativa de cada comunidad, podremos liberarnos de los dueños de este país y sus ciclos desastrosos de economías de auge y caída que hacen poco para elevar a esta Generación Perdida.

Somos el cambio que estábamos esperando. No él, definitivamente no ellos, pero ciertamente nosotros. Podemos construir un sistema mejor basado en los mejores ángeles de la humanidad.

Ese es el llamado de esta Generación Perdida.

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Stigmergy - C4SS Blog
Call for Commentary on Palestine and Israel

Assumably, many of you are following the news out of Palestine and Israel. I’ve honestly had trouble keeping up. Not because I’m busy, but because it’s difficult to think about what’s happening and because most commentary on the matter has been, frankly, dogshit.

If there was ever a time when anarchist voices were needed, now is one of those times. I’m writing today to ask for nuanced commentary that respects all humanity. 

Our commitment to human life, self-direction, and peace is unique, and this past week has made that painfully clear. I know we will not all agree on the particulars. The policy recommendations, the cause and effect analyses, the moral lessons. 

But I know we can do better. I know we can say something that is neither apologetics for an apartheid state nor an excuse for indiscriminate violence as a resistance tactic. 

I trust y’all and I hope we can offer some kind of corrective to the violent, tyrannical thinking behind most of the commentary that’s been published on this horror from all sectors basically everywhere. We stand against Hamas, against the state of Israel, and against bombings, borders, rapes, and war.

With love and solidarity,
Alex

Italian, Stateless Embassies
Neoliberalismo, Produzione Condivisa e Fabbriche Sociali

Di Eric F. Originale pubblicato il 19 luglio 2023 con il titolo Neoliberalism, Co-Production, and the Social Factory. Traduzione di Enrico Sanna.

Per capire i problemi che ci circondano dobbiamo dare uno sguardo al passato, considerando l’insieme più che il particolare. Molti dei vecchi con cui ho parlato sembravano concordare con Emma (nome di fantasia) sull’importanza della comunità e delle “reti assistenziali”, tutti ricordavano con nostalgia i tempi in cui per comunità e famiglie estese l’aiuto reciproco veniva prima dello stato sociale e dei consumi. Lucy (altro nome di fantasia), sessantanovenne, una delle principali organizzatrici del programma Hour Exchange, una delle persone con cui ho parlato, mi spiegava che “la società era molto impegnata in questa sorta di mutuo soccorso di base. Ma con il moderno capitalismo, e soprattutto con la globalizzazione, le persone hanno cominciato a isolarsi.” E poi c’era Peter (altro nome di fantasia), sessantaquattrenne, socio di lunga data di Hour Exchange, che mi diceva come

oggi la gente non cresce e lavora nello stesso posto in cui vive. Mio cugino Freddy, per dire, non è più nel paese qua accanto. È tre stati più in là. Se, poniamo, ti rompi una gamba o stai male, non puoi più chiamarlo per farti dare una mano in casa.

Anche se a tratti vedono il passato attraverso “lenti rosa” (soprattutto razziali), queste testimonianze sono doppiamente confermate dalla storia. Roderick Long, ad esempio, spiega come “[t]ra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, una delle fonti principali di assistenza e assicurazione sanitaria tra i poveri inglesi, australiani e statunitensi veniva dalla fraternal society” o “friendly society”[1]. Il Maine in particolare aveva una ricca tradizione di volontariato, come testimonia la Maine State Grange, nata dal Farmers’ Clubs Movement dopo la guerra civile, che non solo forniva alla popolazione contadina un luogo d’incontro, l’occasione di discutere di nuove tecniche agricole e di avere un’istruzione, ma poteva anche offrire un’assicurazione ai soci.[2] Queste associazioni rimasero in piedi finché non furono messe fuori gioco da normative emanate ad alti livelli e dall’allargamento dell’economia aziendale. L’associazionismo volontario e comunitario come fonte di assistenza subì un primo colpo sotto il New Deal con il massiccio allargamento dello stato sociale in risposta alla Grande Depressione (1929-39), ma fu solo cinquant’anni dopo che subì lo smantellamento ad opera dell’amministrazione Reagan (1981-89).

I risultati di questo abbandono della presunta promessa di “benessere comune” dello stato sono stati ampiamente analizzati da teorici queer, studiosi della disabilità e femministe. Come Khiara M. Bridges, che spiega come il neoliberalismo consideri “la famiglia un’entità che fornisce (e deve fornire) quel sostegno sociale fornito dallo stato in momenti politici precedenti”.[3] Nel caso dell’assistenza agli anziani, sono spesso i figli maggiori, o i più capaci, o le mogli ancora capaci che, non potendo permettersi di pagare una badante o un ospizio, sono costretti ad assistere a tempo pieno gli anziani di casa. La maggior parte di chi presta assistenza in questo modo lo fa senza un salario regolare se non gratis. Per certi versi, è commovente: assistere gli altri senza essere spinti dalla ricerca di un profitto (monetario). È questa la base cooperativa di tutte quelle società che David Graeber definisce “comunismo quotidiano”. Secondo l’associazione Community Economies (che si basa sulle teorie delle geografe economiche e femministe J.K. Gibson-Graham), il fenomeno è la punta di un “iceberg” fatto di “spazi reali di negoziato” distinti dal lavoro salariato e a struttura gerarchica.[4] In questi “spazi di negoziato” è possibile pensare fuori dall’egemonia di un “mondo capitalista”, vedere il mondo come un insieme di economie diverse coesistenti. Loro la spiegano così:

Quando l’economia è impostata in termini capitalistici, e quando si dice che il capitalismo si sta diffondendo in tutto il pianeta, si pensa subito che occorre una corrispondente lotta anticapitalista globale. Questo riduce il potenziale del locale come luogo della politica economica. Se invece pensiamo all’economia come a qualcosa costituito da un insieme di prassi diverse…

capiamo come queste prassi diverse “possono diventare i mattoni elementari delle economie comunitarie”[5].

Ma né Community Economies né Gibson-Graham dicono che siccome certe prassi non comportano l’uso dei salari o dei pagamenti questo non significa che sono avulse alla logica estrattivista della forma economica dominante, dicono invece che “la lotta economica avviene in siti diversi”, ed è qui che l’estrazione di ricchezza e il potere gerarchico devono essere costantemente e consciamente combattuti.[6] Io credo che uno dei modi migliori di vedere il problema rappresentato dai tentativi di opporsi agli elementi esterni all’economia salariata sia quello proposto nel 1962 dall’autonomista italiano Mario Tronti con la sua “fabbrica sociale”, in cui

la relazione sociale diventa un momento della relazione di produzione, la società intera è un’articolazione della produzione, ovvero esiste come parte funzionale della fabbrica, così che la fabbrica estende il suo dominio esclusivo alla società intera.[7]

Se ai tempi di Marx la fabbrica era l’ambito esclusivo del proletariato industriale, nell’era della globalizzazione economica la fabbrica è stata trasferita oltreoceano dall’economia statunitense. A partire dagli anni Settanta, i posti di lavoro in fabbrica, soprattutto nel Maine, sono diminuiti rapidamente. In città come Lewiston e Waterville il panorama è dominato da fabbriche abbandonate.[8] Ma la fabbrica in sé non è scomparsa. Come dice Dennis K. Mumby, “ora il capitalismo non si limita più ad estrarre plusvalore nel luogo di produzione dal lavoratore salariato, ma sempre più spesso cattura la (libera) socialità della vita quotidiana per trasformarla in plusvalore”.[9] Da un lato, questo significa che gli “atti sociali” sono sempre più mercificati, non tanto perché vengono acquistati con transazioni monetarie ma perché sono mediati da piattaforme, dispositivi e altro pensati per generare profitti che vanno ad altre persone. Dall’altro lato, la logica (e soprattutto la disciplina) della fabbrica, secondo il pensiero marxista per cui il modo di produzione (che oggi è un fenomeno globale) influisce sul contenuto della società, permea progressivamente le istituzioni culturali, le relazioni, i valori e anche il modo di vedere la realtà.

Se vogliamo avere un’idea della forte differenza che esiste tra la vita dentro e fuori dalla fabbrica sociale, pensiamo a come si accudiscono i vecchi in molte culture preindustriali. Certo, trasformare in un feticcio le culture indigene, in genere “non occidentali”, non aiuta ed è un errore, ma è verissimo che esistono sistemi migliori dei nostri per assistere i vecchi, e generalmente si trovano fuori dalla sfera anglo-americana. In Australia, ad esempio, certe culture aborigene, lo dico citando una ricerca di Lucy Busija e altri, vedono nei vecchi “una guida per la comunità, persone la cui posizione si basa sull’impegno per la comunità, lo spirito, il benessere fisico ed emotivo e la saggezza accumulata in una vita di esperienze”. Da qui il grande rispetto per loro.[10] Per contro, secondo il “modello deficitario d’invecchiamento” (termine coniato dalla psicologa Catherine Roland) che domina gran parte delle società “occidentali”, oltrepassare una certa età rappresenta una perdita netta per via del degrado mentale e fisico.[11] E la globalizzazione capitalista non ha fatto altro che accentuare il pregiudizio, da cui il concetto, diffuso negli Stati Uniti, di “tsunami grigio”. Che significa, come spiega [Ashton] Applewhite, che “l’invecchiamento della popolazione rende impossibile la competizione sul panorama economico mondiale. Perché imprese e investitori globali vanno dove c’è forza lavoro giovane” che costituisce un vantaggio competitivo.[12] È così che tutta l’economia interna degli Stati Uniti diventa un’impresa in concorrenza con l’economia mondiale, con gli anziani e i disabili penalizzati perché economicamente inefficienti, una logica che risale alle industrie locali a cavallo tra Ottocento e Novecento quando, come spiega Robert McRuer, occorrevano persone efficienti che facessero lavori ripetitivi, cosa che portò “le fabbriche a classificare le persone sulla base delle capacità lavorative. Classificazioni che finivano per considerare le persone poco capaci un problema da risolvere nello spazio domestico”.[13]

Questo “spazio privato o domestico”, spesso composto da un nucleo famigliare, è solitamente considerato uno spazio separato dall’economia capitalista. In realtà, oltre a dare la possibilità ai capitalisti di evitare di usare il plusvalore per assistere i lavoratori, la famiglia è anche l’unità economica che crea nuovi lavoratori. Vista l’importanza della famiglia per il funzionamento dell’intera società, dovrebbe preoccupare il fatto che il lavoro domestico, svolto soprattutto da donne, non sia retribuito come una qualsiasi occupazione simile. Secondo il New York Times, solo nel 2019 il suo controvalore sarebbe stato di 1.900 miliardi di dollari.[14] Come spiega la femminista italiana Silvia Federici,

[n]egando un compenso al lavoro domestico e trasformandolo in atto d’amore, il capitale ha preso molti piccioni con una fava. Ma soprattutto scarica un sacco di lavoro sulle spalle delle altre e arriva a fare in modo che le donne, che raramente si ribellano, ci vedano la realizzazione della propria vita (“la donna ideale”).[15]

Oggi che la fabbrica sociale cerca di pervadere tutti gli ambiti dell’esistenza, sono le casalinghe ad essere spinte verso il lavoro non retribuito in quello che è il centro produttivo famigliare, una realtà che dal 1972 è oggetto di riflessione da parte della Federici e di altre femministe socialiste che hanno dato vita al movimento Wages for Housework. Anche se qui l’attenzione è rivolta ai ruoli di moglie e madre in particolare, lo stesso ragionamento può essere applicato a qualsiasi attività assistenziale non retribuita, compresa l’assistenza agli anziani, perché ci si aspetta che l’assistenza degli anziani, quando questi non sono più abbastanza efficienti per il lavoro capitalista, ricada sui figli, sul coniuge se è capace, sugli amici coetanei o su altre persone.

Edgar S. Cahn, “padre della banca del tempo”, intende qualcosa di simile quando parla di “seconda economia”, esterna all’economia salariata monetizzata aziendale, senza la quale la seconda economia non potrebbe funzionare. Secondo Cahn, “almeno il 40% di tutta l’attività economica avviene fuori dalla cosiddetta economia di mercato”. Il pil e altri indicatori economici non tengono conto (apposta, forse) dell’impatto di attività extra-crescita come: “assistere chi non può stare in una casa di riposo”, “allevare i figli (attività non retribuita), assistere gli anziani (a carico della famiglia), fare volontariato” e altro. Ma questo “sistema operativo, incentrato sulle famiglie e il quartiere, è in cattive condizioni”, riesce sempre meno a “svolgere funzioni di base come la trasmissione dei valori, la crescita dei figli, l’offerta di aiuto, il mantenimento della sicurezza, il consenso, la salute e la condivisione di risorse limitate.” La conclusione di Cahn ricorda quella della Federici e di altre femministe autonome: il problema potrebbe essere risolto compensando il lavoro non retribuito ma non tramite un salario, bensì con quella che Cahn definisce “co-produzione”, ovvero: paghi per quello che che ottieni contribuendo quanto puoi. Niente prestazioni gratuite. Qualcosa del tipo: apprezziamo il tuo contributo, che non necessariamente dev’essere proporzionale al denaro che puoi permetterti di pagare”.[16]

L’espressione “niente prestazioni gratuite” a prima vista ricorda l’autosostentamento dei conservatori, salvo che qui non si dice che l’assistenza gratuita non deve esistere ma che quel qualcuno che la fa deve ricevere una ricompensa. Il fatto paradossale della fabbrica sociale è che quando si dice che le “prestazioni gratuite” devono essere ricompensate si arriva a una situazione tale per cui

Uber, Lyft, Airbnb e molte altre piattaforme simili intercettano cose come la condivisione dell’auto o di una camera e monetizzano tutto. Quello che un tempo era un atto sociale tra conoscenti è diventato una transazione economica mediata da una piattaforma che ha come fine la creazione di valore economico.[17]

Cahn va oltre la richiesta di un salario che riconosca il lavoro non retribuito; vuole una compensazione immediata ma senza uscire dall’ambito della “seconda economia”, rafforzando così le infrastrutture della comunità. Così si evita il problema citato, ovvero quella che Cahn definisce una “colonizzazione” di questi ambiti economici da parte dell’economia monetaria capitalista tramite “una progressiva sussunzione delle funzioni precedentemente svolte dalla famiglia, dagli amici, dal vicinato e da istituzioni extra mercato”, dando però per scontato che le reti e le istituzioni i cui compiti vengono sussunti continuino ad operare.[18] Ma dove trovare le risorse per ricompensare le prestazioni offerte in questa “seconda economia”? La risposta, per Cahn, è la banca del tempo.

Note

1. Roderick Long, “How Government Solved the Health Care Crisis: Medical Insurance that Worked — Until Government ‘Fixed’ It,” Formulations 1, no. 2 (Winter 1993-1994): 16, accessed April 13, 2023, http://www.freenation.org/a/F/1.2.pdf.

2. Stanley R. Howe, “To Improve the Farmer’s Lot: The Grange in Maine,” The Courier 34, no. 1 (2010)], accessed April 13, 2023, https://www.bethelhistorical.org/legacy-site/THE%20COURIER,%20Vol.%2034,%20No.%201%20%282010%29.pdf.

3. Khiara M. Bridges, “Reflection: Committing to Change,” 2013, in Feminist Activist Ethnography: Counterpoints to Neoliberalism in North America, ed. Christa Craven and Dána-Ain Davis (Lanham, MD: Lexington Books, 2013), 131.

4. David Graeber, “Communism,” 2010, in The Human Economy: A Citizen’s Guide, by Antonio David Cattani, ed. Keith Hart and Jean-Louis Laville (London, UK: Polity Press, 2010), accessed April 13, 2023, https://theanarchistlibrary.org/library/communism.

5. “Community Economies Research and Practice,” Community Economies, accessed April 13, 2023, https://www.communityeconomies.org/about/community-economies-research-and-practice.

6. Ibid.

7. Mario Tronti, “Factory and Society (1962),” Operaismo in English, last modified June 13, 2013, accessed April 13, 2023, https://operaismoinenglish.wordpress.com/2013/06/13/factory-and-society/.

8. “Manufacturing Jobs: Trends, Issues, and Outlook,” Maine Department of Labor, Center for Workforce Research and Information, last modified July 2012, accessed April 13, 2023, https://www.maine.gov/labor/cwri/publications/pdf/ManufacturingJobsTrendsIssuesandOutlook.pdf.

9. Dennis K. Mumby, “Theorizing Struggle in the Social Factory,” Organization Theory 1 (April 2020): 2, accessed April 14, 2023, https://www.researchgate.net/publication/341226490_Theorizing_Struggle_in_the_Social_Factory.

10. Lucy Busija et al., “The Role of Elders in the Wellbeing of a Contemporary Australian Indigenous Community,” The Gerontologist 60, no. 3: 514, accessed April 14, 2023, https://academic.oup.com/gerontologist/article/60/3/513/5222719.

11. Catherine Roland, “Defeating the Deficit Model of Aging,” Psychology Today, last modified June 9, 2015, accessed April 14, 2023, https://www.psychologytoday.com/us/blog/resilience-and-reframing/201506/defeating-the-deficit-model-aging.

12. [Ashton Applewhite, This Chair Rocks: A Manifesto Against Ageism (Celadon Books, 2019), 48, epub.]

13. Robert McRuer, Crip Theory: Cultural Signs of Queerness and Disability (New York, NY: NYU Press, 2006), 88.

14. Gus Wezerek and Kristen R. Ghodsee, “Women’s Unpaid Labor is Worth $10,900,000,000,000,” New York Times, last modified March 5, 2020, accessed April 14, 2023, https://www.nytimes.com/interactive/2020/03/04/opinion/women-unpaid-labor.html.

15. Sylvia Federici, Wages Against Housework (Bristol, UK: Power of Women Collective & Falling Wall Press, 1975), 2, accessed April 14, 2023, https://files.libcom.org/files/Federici-Silvia-Wages-Against-Housework.pdf.

16. Edgar S. Cahn, No More Throw-Away People: The Co-Production Imperative (Washington, DC: Essential Books, 2000), 48-49, 54, 57.

17. Mumby, “Theorizing Struggle,” 2.

18. Cahn, No More, 114-115.

Indonesian, Stateless Embassies
Gangster Terbesar dan Terburuk

Oleh: David S. D’amato. Teks aslinya berjudul “The Biggest, Baddest Gang in Town.” Diterjemahkan ke dalam Bahasa Indonesia oleh Ameyuri Ringo.

Aku tinggal di Chicago, dimana kekerasan oleh polisi telah menjadi hal biasa yang terjadi setiap harinya, terutama menyasar komunitas kulit hitam, menghancurkan hidup dan keluarga mereka. Para elit kulit putih yang ku kenal kebanyakan tinggal di lingkungan elit, di dalam gedung-gedung tinggi di pusat atau pinggiran kota yang aman dari kekerasan namun kerap terpapar berita mengenai kekerasan, sehingga seringkali dengan mudah menyalahkan keberadaan gangster atas berbagai kekerasan yang terjadi. Namun sebenarnya ada satu geng jalanan Chicago lain yang paling kejam, dengan ciri khas baju biru dan jumlahnya lebih banyak dibandingkan kota-kota lain, dan tidak ada satupun orang yang membicarakannya.

Pembahasan mengenai kekerasan oleh polisi kerap kali dibingkai dalam dikotomi yang memisahkan antara “polisi baik” dan “polisi jahat”, yang mereduksi munculnya pertanyaan mengenai bagaimana kita dapat menangani kasus-kasus yang ada. Dalam pola pandang seperti ini, kekerasan polisi dilihat sebagai fenomena kecil, kejadian yang jarang terjadi dan lebih sering diakibatkan oleh faktor “oknum”. namun tidak melihat pada kelemahan yang ada dan melekat pada lembaga kepolisian itu sendiri. Cocokkan beberapa hal dengan hal lain, dengan teori something, dan “selesai.”

Namun sejatinya kekerasan polisi hanya memiliki sedikit hubungan dengan keunikan karakter dari setiap individu polisi. Sebaliknya, hal ini merupakan gejala dari kerapuhan struktural yang menciptakan sistem kerja yang buruk dan memungkinkan para polisi untuk tidak dihukum saat melakukan pelanggaran, membuatnya berada layaknya diluar sistem hukum yang mengikat kita semua. Mereka semakin termiliterisasi dan bermusuhan dengan masyarakat yang harusnya mereka lindungi, lembaga kepolisian sebagai institusi lah yang menjadi akar masalah sebenarnya. Permasalahan mengenai polisi tidak bisa direduksi dengan hanya masalah mengenai polisi baik atau jahat, sama halnya dengan berbagai masalah politik, yang tidak bisa diselesaikan hanya dengan mengatasi politisi jahat dan baik.

Lembaga kepolisian melakukan monopoli, yang berarti mencurangi konsumennya, sesuatu yang telah dijelaskan oleh Benjamin Tucker sebagai “memberikan racun sebagai ganti dari nutrisi.” Sebagai pelaku monopoli, kepolisian dilindungi oleh hukum yang ada dari berbagai kemungkinan kompetisi, yang merupakan satu-satunya cara yang efektif untuk memastikan mereka tidak dapat mengeksploitasi dan merugikan konsumennya, masyarakat yang mereka “lindungi dan layani”. “Negara”, menurut Tucker, “ mengambil keuntungan dari monopoli atas pertahanan untuk melakukan kekerasan alih-alih perlindungan.” Dan pelanggannya harus membayar hak istimewa atas perbudakan diri mereka sendiri.

Anarkis pasar percaya bahwa perlindungan dari kejahatan merupakan komponen penting dari masyarakat bebas. Sayangnya, kepolisian justru melakukan lebih banyak kejahatan dibanding yang mereka hentikan, membunuh lebih banyak orang dibandingkan jumlah polisi yang terbunuh, sehingga mereka justru mengganggu kita semua, layaknya kekuatan asing yang tengah menjajah. Dengan mempersenjatai para petugas polisi di kota kita dengan berbagai senjata militer, telah menjauhkan mereka dari prinsip akuntabilitas, dan membuat berbagai pelanggaran mereka dilihat sebagai prestasi dan keberanian dari “pahlawan tanpa tanda jasa”, kita sebenarnya tengah menciptakan kebiadaban dan kekerasan yang akan terus berulang.

Budaya pemujaan terhadap militer dan keamanan nasional oleh masyarakat Amerika telah mengubah pola pandang masyarakat dalam memandang kepolisian, memalingkan kita dari budaya Amerika yang begitu menjunjung tinggi kebebasan sipil. Kita sekarang hanya pasrah pada intimidasi, penilangan, pelecehan, penggeledahan, dan penangkapan tanpa alasan. Kita tidak hidup di “negara bebas” – dan memang sebenarnya sudah lama tidak. Polis bukan lah pelindung kita, melainkan merupakan alat penindas yang biadab, instrumen kelas yang dimaksudkan untuk menjaga masyarakat agar tetap terkendali, tenang, tidak banyak bertanya, dan melakukan apapun yang diperintahkan.

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Spanish, Stateless Embassies
“La historia de un pronóstico” de Laurance Labadie

De Eric F. Artículo original: Laurance Labadie’s “The History of a Prognostication” del 25 de marzo de 2023. Traducido al español por Camila Figueroa.

Historia de un pronóstico

En 1886, a petición del editor de North American Review, [Benj]. R. Tucker escribió su famoso ensayo, “State Socialism and Anarchism; How far they agree, and wherein they differ[;”] el artículo, aunque pagado, no fue publicado, quizás por miedo, a causa del “asunto Haymarket”. El editor declaró voluntariamente que era el artículo más hábil que había recibido durante su dirección. Más tarde apareció en “Instead of a Book” de Tucker; y ha sido publicado muchas veces como panfleto en diferentes idiomas.

En 1911, Tucker escribió una posdata al ensayo, en la que decía que las crecientes concentraciones de riqueza hacían que la solución anarquista del problema social, aunque fuera la única solución, fuera excesivamente más difícil de aplicar.

En 1926, enmendó esta última posdata, para desacuerdo y desesperación de sus discípulos, diciendo que las concentraciones habían llegado a tal extremo que, aunque pudiera inaugurarse, la banca libre por sí sola no bastaría para romper el poder monopolístico del capital.

Tucker era un observador atento de los acontecimientos mundiales. El 22 de julio de 1930 escribió a su amigo Clarence Lee Swartz una carta de la que el siguiente es un párrafo.

“Le envío una copia de un nuevo libro, de gran importancia a mis ojos. . . Scenes de la Vie Future, de Georges Duhamel. Tal vez no le guste; puede que incluso le enfade, porque el autor, en su impetuosidad, olvida a menudo su propio propósito y comete una injusticia con América. En mi opinión, el libro podría haberse titulado mejor “Escenas de una muerte que se aproxima, Estados Unidos encabezando la procesión”. Al leer el libro, hay que tener en cuenta que el verdadero ataque de Duhamel es a la época en que vivimos y que la loca carrera de Estados Unidos nos permite visualizar. El asunto de mi famosa ‘Posdata’ ahora se hunde en la insignificancia; el obstáculo insuperable para la realización de la Anarquía ya no es el poder de la confianza, sino el hecho indiscutible de que nuestra civilización está agonizando. Podemos durar todavía un par de siglos; por otra parte, una década puede precipitar nuestro final. Como dijo Clemenceau: “Quizá queden aún algunos negros vagando por el Congo”. La edad oscura, seguro. El monstruo, el Mecanismo está devorando a la humanidad”.

Esto fue antes de la Segunda Guerra Mundial y del lanzamiento de la bomba atómica. Han pasado treinta años. El proceso indicado ha continuado sin cesar. Los gobiernos se han vuelto más totalitarios. No sólo se ha multiplicado el poder destructivo de la propia bomba, sino que se han producido en mayores cantidades y se están perfeccionando los medios para lanzarlas. Incluso la referencia de Clemenceau al Congo, tan extrañamente profética, parece estar a punto de pasar de moda.

La causa de la tendencia histórica hacia la degeneración y la aniquilación es el gubernamentalismo y la existencia de Estados nacionales. La mayoría de las acumulaciones de basura etiquetadas como “conocimiento” sociológico [siguen] alimentando a cucharadas a las nuevas víctimas en lugar de ser relegadas al montón de basura. Sólo una teoría social ha resistido durante poco más de un siglo de su existencia, y ha sido reivindicada, el anarquismo. ¿Es un caso de demasiado poco y demasiado tarde?

Comentario- Eric Fleischmann

“Pronóstico: El acto de pronosticar, predecir o presagiar acontecimientos futuros mediante signos presentes; un presagio; una predicción”. Este artículo se publicó en 1967 en los números 3 y 4 del volumen 23 de la revista A Way Out, de la Escuela de la Vida. Según mi actualización, no he anotado las pequeñas correcciones ortográficas y gramaticales. No obstante, he utilizado paréntesis siempre que ha sido posible (aunque he perdido mis notas, por lo que es posible que no se tengan en cuenta todos los cambios).

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Stateless Embassies, Turkish
Deleuze, Guattari ve Piyasa Anarşizmi

Yazar: Edmund Berger. Orijinal makale: Deleuze, Guattari and Market Anarchism. Yayınlanma Tarihi: 23 Ocak 2017. Tercüman: Tuba.

1. Deleuze, Guattari, İvmelenme

Bir süredir hem akademik hem de aktivist çevrelerde Deleuze ve Guattari hakkında çok konuşuluyor. Bazen asılsız alayların nesnesi olurlarken (Richard Barbrook gibi gelenekçi sosyalistler tarafından “kutsal aptallar” olarak ilan edildiler), bazen de açıkça hiç de eleştirel olmayan övgülerden faydalandılar (teorilerinin her konuda uygulanabilirliğine dikkatinizi çekerim). Neoliberal kapitalizmin gizli ajanları (Slavoj Zizek’in da suçladığı gibi) ve küreselleşme çağında (1990’larda ortaya çıkan ulusötesi alter-küreselleşme hareketine göre) devrimin taktikçileri olarak yaftalandılar. Kozmik oluşumun neşeli, hippi kutlayıcıları; kaos ve karmaşıklık teorisinin öncüleri (Manuel DeLanda) ve belki de en keyiflisi, komplo ve olumsuzluktan beslenen “çılgın, kara komünizm”in yazarları (Andrew Culp) olarak anıldılar. Nick Land de neoreaksiyona yönelmeden önce, Kapitalizm ve Şizofreni başlıklı iki bölümlük çalışmalarının ilk cildi olan Anti-Oedipus’u “bir felsefe kitabından ziyade bir mühendislik el kitabı, istila kanalları açarak mekanik bilinçdışını hacklemek için bir yazılım araçları paketi” olarak tanımlamıştı.i

Tam anlamıyla nokta atışı olanlardan son derece ihtilaflı olanlara kadar uzanan çok sayıda farklı yorumla, günümüz dünyasındaki güç dinamiklerini aydınlatmak için onların eserlerine bakmak kaçınılamaz bir çıkmaz gibi görünebilir. Tek tip düşüncenin mecmuası olan akademi tarafından ele geçirilmeleri bu sıkıntıyı daha da artırıyor. Yine de benim kanaatim, Deleuze ve Guattari’nin (bundan sonra onlara D & G diyeceğim) bugün bize sunacağı çok şey olduğu ve Benjamin Tucker’ın “anarşist sosyalist” -ya da bugünün tabiriyle- “sol piyasa anarşizmi” olarak tanımladığı şeye benzer bir gelecek vizyonuna giden yolu işaret eden sol teorinin yıllıklarında radikal bir kırılma (ya da onların dilinde bir şiz) teşkil ettiği yönündedir.

D & G’nin politik uygulamasının, şiddetle anti-kapitalist olsa bile, piyasa anarşizmiyle örtüştüğü iddiası pek çok kişiyi rahatsız edecek ve kuşkusuz “ivmecilik” suçlamalarına yol açacaktır. Son on yılın en önemli siyasi sapkınlığı olan ivmecilik -çok sayıda ve sıklıkla çelişkili şekillerde kullanılan muğlak bir terim- Anti-Oedipus’un önemli bir pasajında ortaya çıkmaktadır. D & G, 1960’lardaki isyanlar sırasında solun kapitalizmin üstesinden gelmedeki başarısızlığının ve ‘Üçüncü Dünyacıların’ milliyetçi kapitalizme yönelmesinin ardından, doğru “devrimci yolun” gerçekten de “(piyasanın hareketiyle) daha da ileri gitmemiz gereken bir yol” olabileceğini öne sürerler. Süreçten çekilmek yerine daha da ileri gitmeyi, “süreci hızlandırmayı” savunurlar, ve Nietzsche’nin de dediği gibi: “Bu konuda henüz hiçbir şey görmedik.”ii

İvmecilik suçlaması sakınılması gereken bir suçlama değil, aksine kucaklanması gereken bir suçlamadır, ancak bunun için incelikli bir çözümleme yapılmalıdır. Nüanstan yoksun yüzeysel okumalar; D & G’nin düşüncelerini en iyi ihtimalle tek seferlik bir düşünce, en kötü ihtimalle de global piyasalaşma, düzensizleşme ve serbestlik retoriğiyle o dönemde ortaya çıkan neoliberal kapitalizmin eleştirel olmayan bir kabulü olarak değerlendirmiştir. İvmeciliğin bu sonuncusuyla özdeşleştirilmesinden kaçınılmalıdır (aynı zamanda ivmeciliğin devlet merkezli teknolojik gelişmeyle daha yakın zamanda ilişkilendirilmesinden de); bunun yerine, doğası gereği ‘anarşist-sosyalist’ olan, piyasaları kullanan ve mevcut koşullara karşı dizginlenemez bir antagonizm içinde işleyen bir ivmecilik ihtimaline bakalım. Bunu yapmak için, D & G’nin çalışmalarında piyasaların kapitalizme karşı konumlandırılmasının izini sürmeliyiz. Aşağıda, elbette kapsamlı bir inceleme olmamakla birlikte, bunun üstünkörü bir incelemesi yer almaktadır. Ancak öncelikle, D & G’nin, bireysel ve beraber olarak, politik olana karşı kendi duruşlarına baksak iyi olacak.

II. Marksist mi, Anarşist mi, İkisi Birden mi, Yoksa Hiçbiri mi?

D & G’nin teorileri için, aşırı sol bir yönelim dışında, kesin bir siyasi eşik belirlemek oldukça zor bir iştir. Foucault, Baudrillard ve ‘post-yapısalcılık’ sorunsalı altında bir araya getirilen diğerleri gibi, D & G de anarşistler, özellikle de isyancı, komünist ve post-sol akımlarda yer alanlar tarafından sıklıkla anılmaktadır. Ancak anarşist olarak statüleri konusundaki tartışmalar yıllar boyunca devam etmiştir.

1970’lerin İtalya’sındaki sınırda anarşist Autonomia hareketiyle bağları olan Guattari, projesini “otonom-komünist-anarşist” olarak tanımlasa da ne kendisinin ne de Deleuze’ün anarşist düşüncenin tarihi üzerine söyleyecek pek bir şeyi yoktu. Deleuze’ün konferansçıları Proudhon’a atıfta bulundular, ancak bu hiç şüphesiz Marx’ın The Poverty of Philosophy’sindeki yalancı Proudhon’du (bu talihsiz bir durumdur, çünkü Proudhon’un The Philosophy of Progress’te ayrıntılı olarak açıkladığı kendi akış ve oluş ontolojisi Deleuze’ünkini açıkça öngörmektedir). Diğer yandan, The Logic of Sense’de Deleuze, Max Stirner’e geçerken atıfta bulunur; egoistten doğrudan etkilenip etkilenmediğini söylemek zor olsa da Saul Newman her ikisinin felsefeleri arasındaki çok sayıda örtüşen noktaları ayrıntılarıyla ortaya koymuştur.iii

Elbette anarşizme yakınlığı belirleyen şey fikirler tarihiyle olan ilişki ya da yapılan benzetmeler değildir. Anarşist ve yarı-anarşist gruplarla (Otonomistler aracılığıyla Guattari, Foucault tarafından kurulan hapishane karşıtı aktivist bir ağ olan Prisoner Information Group aracılığıyla Deleuze) olan teğet ilişkiler bir yana, D & G tarafından önerilen felsefenin anarşistlerin çok iyi bildiği konum ve önermelerle dolu olduğu açıktır. İkili diğer şeylerin yanı sıra devleti, kapitalizmi, SSCB’yi, faşizmi, polisi, demokrasiyi, ırkçılığı, sömürgeciliği, vergileri ve hatta nostaljiyi, yönetimselliği ve yerleşik kimlikleri reddetmektedir.

D & G ne ölçüde Marksist olarak kabul edilebilir? Marx’ın onların çalışmalarında -özellikle de devrimci öğretisini Nietzsche ve Marx’ın bir bileşimi olarak kuran Anti-Oedipus’ta- önemli bir konuma sahip olduğu yadsınamaz. Deleuze ile işbirliğinden yirmi yıl önce Guattari, savaş sonrası Fransa’sının iki büyük entelektüel eğiliminin ortasında yer alıyordu: varoluşçuluk ve Marksist komünizm. 1940’ların sonlarında, kendisi de militan Troçkistlerden oluşan Uluslararası Komünist Parti’nin Dördüncü Enternasyonal’inin Fransa seksiyonunun önde gelen isimlerinden biriydi. 1950’ler boyunca daha özgürlükçü bir komünist pozisyona doğru kayacak, diğer radikallerle birlikte çalışacak, Sovyetler Birliği’nin devlet yapısına dair ayrıntılı eleştiriler yazacak ve Fransız komünist siyasetinin ana akımında Stalinistlere karşı örgütlenecekti. 1964’te bu sol muhalefet kendini Maocu olarak tanımlamaya başladığında, Guattari onlardan koptu ve öğrenci hareketinin anarşik kesimlerine doğru ilerlemeye başladı.

Öte yandan Deleuze bu tür politikalardan kaçınmıştı. Sartre’ın tutkulu bir okuyucusu olmasına rağmen, varoluşçuluk ona pek çekici gelmiyordu, Marksizmin ortodoks biçimleri de öyle. Hayatının sonlarına doğru kendisini bir Marksist olarak tanımladı (“Felix Guattari ve ben Marksist olarak kaldık, belki de iki farklı şekilde”),iv ve öldüğü sırada Marx üzerine bir monografi yazmaya hazırlanıyordu. 1992’deki “Postscript on the Societies of Control” gibi geç dönem metinleri kendini Marksist olarak tanımlıyordu, ancak bu çok esprili bir Marksizmdi: Direniş kavramları kısaca ortaya çıktığında, fabrikaları ele geçiren proletarya değil, bilgisayar ağlarına “korsanlık ve virüslerin sokulması” söz konusuydu.v Ve kendini Marksist olarak tanımlayan birinin Marksist bir metin yazarken Marksist bir tarih teorisine benzer bir şey kullanması beklenirken, Deleuze’ün gelişim vizyonu sınıf mücadelesine değil, teknolojik gelişime odaklanıyordu. Referans noktası Marx yerine, Marksizmle ilişkisi tartışmalı ve karmaşık bir figür olan Foucault’tu.vi

Kapitalizm ve Şizofreni’nin alt başlığının da işaret ettiği gibi, “Marksizmin çok esprili bir türü” muhtemelen Anti-Oedipus’u tanımlamanın en iyi yoludur. Jean-Francois Lyotard’ın daha sonra iddia edeceği gibi, kitap görünürde Marksist kalmaya çalışabilir, ancak inkar edilemez bir şekilde varyant -ya da daha doğru bir ifadeyle mutant- bir formdur. Lyotard’a göre, “kitabın sınıf mücadelesi, işçinin destanı ve partisinin işlevi konusundaki sessizliği”, “bizzat Marx’taki ve giderek daha da kötüsü Marksistlerdeki vicdan azabından” arındırılmış bir post-Marksizm (ya da anti?) yaratılmasına yardımcı olmaktadır.vii Bu vicdan azabının doğası ne olabilir? Lyotard’a göre bu, piyasa süreçlerinin dinamikleri içindeki unsurlara -yani yerleşik olanın temellerini sarsma yeteneğine- kapılmaktan dolayı duyulan bir suçluluk ya da tiksinti hissidir: “Deleuze ve Guattari’nin önerdiği Kapital figürü içinde Marx’ı büyüleyen şeyi kolayca fark edebiliriz: kapitalist sapkınlık, kanunların, dinlerin, ahlakın, ticaretin, eğitimin, yemek kültürünün, konuşmanın altüst edilmesi…”

III. Kapitalin Perde Arkası

Komünist Manifesto’dan bu yana Marx, genellikle coşkulu ve şairane imgeler kullanarak dikkatimizi kapitalizmin olumlu yönlerine çeker; kapitalizm bir yandan eski iktidar biçimlerini istikrarsızlaştırırken diğer yandan da ‘modernleşme’ süreçlerini gerçekleştirir. Ünlü pasajda söylendiği gibi, “tüm katı, hızla donmuş ilişkiler”, “eski ve saygıdeğer önyargılar ve görüşler silsilesiyle birlikte süpürülüp atılır, yeni kurulanların hepsi kök salmadan önce köhneleşir. Katı olan her şey eriyip havaya karışır, kutsal olan her şey kirletilir ve insan sonunda yaşamının gerçek koşullarıyla ve kendi türüyle olan ilişkileriyle aklıselimle yüzleşmek zorunda kalır.” İşte bu nedenle D & G, kapitalist ilişkileri tanımlamak için uçuş çizgisi, deterritorializasyon ve dekode etme gibi terimler kullanmaktadır: “Uçuş çizgisi” çünkü yeniye doğru yılan gibi kıvrılan bir arzu yörüngesini takip eder; “deterritorializasyon” çünkü şeyleri sıkıştıkları yerden çıkarır ve dolaşımlarına izin verir; ve “ dekode etme” çünkü kodları, yani geleneğin, kimliğin, kültürün ve diğer dayatılan değer sistemlerinin katılıklarını yıkar.

Ancak bu, kapitalizmin gerçekliğinden oldukça uzak değil midir? Marx, bir tarafta ekonomik dolaşım ve sömürünün iç içe geçmesi ile diğer tarafta sömürü ve şiddetin iç içe geçmesi arasında bir şekilde bir rota çizebilmiştir – yine de nihayetinde projesinin çoğunun altını oymaya yardımcı olan bir dizi eleştirel tutarsızlığın kurbanı olmuştur, bu ister (Kevin Carson’ın Studies in Mutualist Political Economy’deviii  ortaya koyduğu gibi) devlet ve piyasa arasındaki kafa karışıklığı, ister Hindistan’daki İngiliz emperyalizmine verdiği çirkin ve Avrupa-merkezci destek, isterse de tarih felsefesinin özündeki kapitalist gelişme ve özgürleşme arasındaki muğlak ilişki olsun (Bolşevik devriminden sonra izlenen yolların şekillenmesine yardımcı olan tartışmalar).ix

D & G bu tutarsızlıklardan ve belirsizliklerden bir kaçış sunar, ancak bu, kapitalizmin Marksist analizinin doğasını ve bununla birlikte bu analizin işaret etmeyi amaçladığı devrimci hedefleri değiştiren bir kaçış yoludur. Dikkat edilmesi gereken nokta, kapitalizmde ‘olumlu’ olarak tanımlanan unsurların – uçuş hatları, deterritorializasyon, dekode etme – aynı zamanda özgürleştirici siyasetle ilişkilendirilen şeylerin ta kendisi olduğudur. Dünyaya karşı faşist olmayan bir isyan başlatmak – ki Anti-Oedipus gibi bir kitabın amacı da budur – yeni biçimlerin ortaya çıkma olasılığını kırmak için eskiye karşı isyan etmektir. Deleuze ve Guattari’ye göre bu süreci motive eden arzunun kendisidir, tıpkı bir uçuş hattı boyunca hareket etme, deterritorializasyon ve dekode etme girişimlerini güdüleyenin arzu olması gibi. Benzer şekilde, deterritorializasyon ve dekode etme gibi güçler, daha önce var olmayan yeni arzuları devreye sokar. Deleuze ve Guattari’nin arzu anlayışı üretkendir ve (Sigmund Freud ve Jacques Lacan’ın daha önceki psikanalitik söylemlerinde önerilen) arzu köklü eksiklik kavramlarının aksine aşırılığa ve sirkülasyona meyillidir.

Bu, kapitalizmin arzunun kendisinin ifadesi olarak tanımlanabileceği anlamına mı gelmektedir ki bu öneri, kaba liberteryenlerin ve “anarko”-kapitalistlerin abuk sabuk sözlerine oldukça benzemektedir? Pek sayılmaz. D & G kapitalizmin sadece bir sistem olarak değil, sürekli gelişen bir süreç olarak anlaşılmasını savunmaktadır. Bu süreç yalnızca piyasanın mübadele kalıplarından süzülen arzunun bir yansıması değil, içkin iktidar ve tahakküm ilişkilerine karışmış bir dizi toplumsal ilişkidir. İktidar ilişkileri ne kadar esnek olursa olsun, her zaman temelinde bir tür katı ve sabit temele, kurallarının işlediği bir bölgeye ihtiyaç duyar. O halde, kapitalist girişimcilik ve dolaşımın sergilediği patlayıcı yaratıcılık unsurları – başka bir deyişle piyasa süreçlerinin kendileri – bu güce karşı duracak gibi görünmektedir, ancak öyle değildir. Çünkü D & G, deterritorializasyon ve dekodlamanın kapitalist sürecin yalnızca yarısı olduğunu ve karşılıklı reterritorializasyon ve yeniden kodlama süreçleriyle birleştiğini savunmaktadır. Dahası, reterritorializasyon ve yeniden kodlama, sistemin kendisi için bir tür ‘istikrar mekanizması’ olarak sunulmakta ve bunlar olmaksızın kapitalizmin kendisi sona ermektedir. Uzun bir alıntı yapmak gerekirse,

…kapitalizm sürekli olarak bu (dağılmaya yönelik) eğilime karşı koyar, onu sürekli olarak engeller, aynı zamanda da serbestçe dizginlenmesine izin verir; sürekli olarak kendi sınırına ulaşmaktan kaçınmaya çalışır, aynı zamanda da bu sınıra doğru yönelir. Kapitalizm her türlü artık ve yapay, bireysel, hayali ya da sembolik bölgeselliği kurar ya da onarır, böylece elinden geldiğince soyut nicelikler açısından tanımlanmış kişileri yeniden kodlamaya, yeniden kanalize etmeye çalışır. Her şey yeniden ortaya çıkar ya da tekerrür eder: Devletler, uluslar, aileler. Kapitalizmin ideolojisini “şimdiye kadar inanılan her şeyin rengarenk bir tablosu” yapan da budur… Kapitalist makine, akışlardan artı değer elde etmek için onları ne kadar deterritorialize eder, kodlarını çözer ve aksiyomatize ederse, hükümet bürokrasileri ve kanun ve düzen güçleri gibi yardımcı aygıtlar da yeniden reterritorialize etmek için ellerinden geleni yapar ve bu süreçte artan değerden giderek daha büyük bir pay alırlar. x

Kapitalizmin kendini sürdürmek için bir devlete ihtiyaç duyması yeni bir bulgu değildir (yukarıdaki paragrafta yer alan hiçbir şey de değildir). Marx’ın en iyi yazıları, modern devletin evriminin kapitalizmin doğuşunda nasıl temel bir rol oynadığını inanılmaz ayrıntılarla ortaya koyarken, Benjamin Tucker’ın mükemmel analizi, devlet eyleminin kapitalizmi engellemek yerine onu nasıl inşa ettiğini göstermiştir. Michel Aglietta ve Bob Jessop gibi isimlerin yer aldığı post-Marksist Regulation of School, düzenleyici sistemlerin kapitalizmin ilişkilerini ‘yeniden üretmesine’ nasıl izin verdiği üzerine çok sayıda çalışma yapmıştır. D & G’nin burada tanımladığı şey, bu çeşitli analizlerle örtüşmektedir, ancak çok özel bir işlevle ilgilenmektedirler: devletin, bu serbest bırakmadan kar elde eden varlıkları sürdürmenin bir aracı olarak serbest bırakılan güçlerde giderek daha da büyüyen unsurları ‘ele geçirme’ veya ‘yakalama’ şekli. Bu kulağa biraz ezoterik (ve özellikle geleneksel ekonomik söylemler karşısında mantığa aykırı) gelse de, bu süreç aşağı yukarı kapitalizm ve devletin sürekli ortak üretimi tarafından ‘yeniden üretilen’ güç ilişkileri ağlarının bir tasviridir.

D & G bu kavramı iki temel kaynaktan almaktadır. Bunlardan ilki, Foucault tarafından yürütülen ve 1970-1971 yıllarında College de France’da “bilme arzusu” üzerine verdiği bir dizi dersin bir parçası olarak sunulan para incelemesidir. Bu derslerde Foucault, antik Yunan’da ‘sabit para’nın – doğal olarak ortaya çıkan ‘kendiliğinden para’nın aksine devlet tarafından dayatılan para – nasıl tüm toplum için düzenleyici bir mekanizma olarak işlediğini göstermektedir. Yunan toplumunda para “aşırılığı, tamahkarlığı, çok fazla şeye sahip olmayı önler… Ama aynı zamanda aşırı yoksulluğu da önler… “xi Foucault’ya göre vergilendirme, sabit paranın işlevinin temel bir yönüdür ve evriminde bir sapma ya da vicdansız bürokratlar tarafından sonradan uygulanan bir şey değildir. Bunun yerine, bir sınıflar taksonomisi yaratabilecek, sınıf yapılarının (öncelikle alt sınıflar tarafından tahakkuk ettirilen borç ve vergi parasının üst sınıflara yukarı doğru akışı yoluyla) yapılarında nispeten katı kalmasına yardımcı olabilecek ve ekonomik çıkarların doğal kapsamlarının ötesine genişletilmesi için gerekli kamu çalışması projelerini kolaylaştıracak bir şey olarak vergilendirme düşünülerek yaratılmıştır. Modern çağa baktığımızda, D & G şöyle yazıyor: “Amerikalıların New Deal’dan sonra keşfettiklerini Yunanlılar da kendi yöntemleriyle keşfettiler: ağır vergiler iş dünyası için iyidir… Kısacası, para – paranın dolaşımı – borcu sonsuz kılmanın aracıdır. “xii

İkinci kaynak, Paul Baran ve Paul Sweezy’nin Monopoly Capital adlı kitaplarında ortaya koydukları neo-Marksist Monthly Review ekolünün görüşüdür. Marksist ortodoksinin birçok temel ilkesini (kar oranının düşme eğilimi gibi) çiğnedikleri için Marksizm tarihinde tartışmalı olan Baran ve Sweezy, esas olarak 1880’lerden 1960’lara kadar uzanan dönemde giderek artan ‘örgütlü kapitalizm’ ile ilgileniyorlardı. Kapitalist gelişmenin bu aşaması, ekonomik gücün küçük bir avuç firmada yüksek düzeyde merkezileşmesi ve aralarındaki piyasa faaliyetinin en iyi şekilde tekelci rekabet olarak tanımlanabilmesiyle belirgindi. Baran ve Sweezy, böyle bir sistemin, çok fazla üretim fazlası yaratarak ve paranın ekonomi içindeki dolaşımını yavaşlatarak ekonomiyi durgunluğa sürüklediğini savunmaktadır. Böylece devlet, refah programları, altyapının yenilenmesi, askeri harcamalar ya da vergi mükellefleri tarafından finanse edilen devlet girişimlerinin diğer herhangi bir ‘üretken’ biçimi yoluyla ekonomiye ‘enerji pompalamak’ için fazla üretimi ve sermayeyi emerek boşluğu doldurmaya gelir. Baran ve Sweezy, para üzerine çalışmalarında biraz Foucault’ya benzer bir şekilde şunları öne sürmektedir:

…büyük ölçekli hükümet harcamaları ekonominin kapasiteye çok daha yakın çalışmasını sağladığından, kişisel artığın büyüklüğü üzerindeki net etki hem olumlu hem de büyüktür… Büyük işadamları için devlet harcamaları daha fazla etkin talep anlamına gelir ve bu harcamalarla ilgili vergilerin çoğunu tüketicilere ya da geriye dönük olarak işçilere kaydırabileceğini hisseder. Buna ek olarak… vergi sisteminin her türden özel çıkar grubunun ihtiyaçlarına göre özel olarak uyarlanmış incelikleri, spekülatif ve talih kuşu kazançları için sonsuz fırsatlar yaratmaktadır. Sonuç olarak, Amerikan egemen sınıfının belirleyici kesimi, devlet harcamalarının yararlı doğasına ikna olmuş bir inançlı olma yolunda ilerlemektedir.xiii

D & G bu görüşlerini “kapitalist” veya “sosyal aksiyomatik” olarak adlandırdıkları daha genel bir olguya genişletmektedir. Kapitalizmin işleyişi için gerekli olan mekanik bir süreç olan bu aksiyomatikler, yerinden edilen veya deşifre edilen her şeyin devlet-kapitalizm topluluğuna geri yönlendirildiği araçlardır. Bu sadece parasal akışların vergilendirme yoluyla devlet tarafından ele geçirilmesi ya da çok daha önce kendiliğinden para birimlerinin sabit parayla kodlanması yoluyla mübadele ve dolaşımın kendisinin ele geçirilmesi için değil, aynı zamanda muhalif biçimlerin iktidar mantığına geri kazanılması ve benimsenmesi gibi şeyler için de geçerlidir. “Kapitalizmde sürekli olarak daha fazla aksiyoma doğru bir eğilim vardır” diyor D & G, A Thousand Plateaus’da. “Birinci Dünya Savașı’nın sona ermesinden sonra, dünya buhranı ve Rus devriminin ortak etkisi kapitalizmi aksiyomlarını çoğaltmaya, ișçi sınıfı, ișsizlik, sendikal örgütler, sosyal kurumlar, devletin rolü, dıș ve iç pazarlar, Keynesyen ekonomi ve New Deal ile ilgili yeni aksiyomlar icat etmeye zorladı. İkinci Dünya Savaşı’ndan sonra yeni aksiyomların yaratılmasına ilişkin örnek vermek gerekirse: Marshall Planı, yardım ve borç verme biçimleri, para sisteminde dönüşüm…“xiv

Açıkça görüldüğü üzere, birbiriyle ilişkili bu kavram ve modellerin – reterritorializasyon, rekodlama, aksiyomların eklenmesi/çıkarılması – merkezinde devletin kendisi yer almaktadır. D & G’nin kapitalizm anlayışı, sermaye, mallar, insanlar ve hatta arzu gibi her şeyin sürekli üretken olan akışlar içinde hareket ettiği hidrolik bir sistem gibidir. Ancak bu sistemin merkezinde, sistemin işlemesini sağlayan bir düzenleyici vardır: “Devlet, devletin polisi ve ordusu devasa bir üretim karşıtı girişim oluşturur, ancak üretimin kalbinde yer alır ve bu üretimi koşullandırır.”xv

IV. Devlete Karşı

A Thousand Plateaus’ta bu dinamikler devlet aygıtları ve savaş makineleri arasındaki bir mücadele olarak yeniden şekillenir. Anti-Oedipus’ta farklı, deterritorialize ve dekode edilmiş hareketler ve güçler “göçebe” niteliklere sahip olarak ele alınır; “savaş makinesi” bu analizin bir sonraki aşamasıdır ve işlevlerinin daha uzlaşmaz ve çatışma odaklı yönlerine odaklanır. Diğer bir deyişle, savaş makineleri tam olarak adlarının ima ettiği şeyi yapar ve bu savaşın hedefi devletin kendisidir (D & G burada Pierre Clastres’in bazı yerli toplumların devleti püskürtmeyi toplumsal yarı-düzenlerinin mantığı haline getirme biçimini analiz eden antropolojik çalışmasından yararlanıyordu). Savaş makinelerinin pek çok farklı biçimi vardır: yakınlık grubunuz bir savaş makinesidir, agorist bir savaş makinesidir, sokak çeteleri ve korsanlar, hatta belirli türden ticari örgütler. Tüm savaş makineleri olumlu değildir: karanlık şiddet yanlısı, kabileci, hatta faşizan olabilirler. Bu konuda çok şey söylenebilecek olsa da, burada bizi ilgilendiren savaş makinesinin belirli ekonomik işlevlerle olan özel birleşimidir.

D & G’ye göre savaş makinesinin karşısında, farklı hareketi ele geçiren ya da kendine mal eden ve onu kendisinin bir parçası haline getiren devletin bir işlevi olan “ele geçirme aygıtı” vardır. Böyle bir güç, reterritorializasyon, rekodlama ve aksiyomatik muamelesine rahatlıkla uymaktadır; gerçekten de D & G, ele geçirme aygıtını, Lewis Mumford’un büyük, devlet tarafından organize edilen ve kendisine bağlı insanları düzenleyen ve disipline eden ‘sosyo-teknik’ sistem için kullandığı terim olan “megamachine” ile özdeşleştirmektedir.xvi Daha da önemlisi, megamachine ile belirli ekonomik ve siyasi olgular ve mekanizmalar arasında bir başka ilişki kurmaktadırlar: yakalama aparatı “üç şekilde işlev görür…: rant, kar ve vergilendirme.” D & G’nin bize söylediğine göre bu şema, Marx’ın sermaye ilişkilerinin toplumsal ilişkilere dönüşme biçimini tanımlamak için kullandığı ünlü “üçleme formülü “nün yeniden yorumlanmasıdır. D & G’nin yaklaşımını Marx’ınkinden farklı kılan şey iki yönlüdür: birincisi, kapitalizmin saf ekonomik mantığını değil, devleti olayların merkezine yerleştirmesi; ikincisi, artık kapitalizmin nasıl toplumsal bir ilişki haline geldiği değil, devletin yetki alanı dışındaki şeylerin bu çeşitli güç ilişkilerine nasıl dahil olduğu sorusudur. “Bir üretim tarzını varsayan devlet değildir” diye belirtiyorlar, “tam tersine, üretimi bir ‘tarz’ haline getiren devlettir.”xvii

Vergilendirme hakkında zaten epeyce şey söyledik, bu nedenle ele alınması gereken şey rant ve kârdır. Vergilendirme açıkça devletin işleviyle ilişkili olsa da, kapitalist piyasa ekonomisinin iki temel unsuru olan rant ve kârın devletin işlevlerinden kaynaklandığı iddiası birçokları için kesinlikle hatalı görünebilir. Ancak, geleneksel ekonomik söylemlerde bile çok az kabul gören, mübadele ve dolaşım sistemleri ne kadar açık olursa, uzun vadede kar birikim oranlarını koruma kapasitesinin o kadar düştüğü anlayışını göz önünde bulundurun. Piyasa sistemlerine serbestçe girebilme ya da tüm ilişki kümelerini bu sistemlerden çıkarabilme kapasitesiyle birlikte, belirli aktörlerin piyasada aşırı bir paya sahip olma becerisi savunulamaz hale gelir – işte tam da bu nedenle, yerleşik iktidar yapılarının bu yersizyurtsuzlaştırıcı dalgaya karşı kendilerini korumaları için devlet tarafından verilen ve dayatılan tekellere güvenmek gerekli hale gelir.

Aynı şey, en azından kapitalist sistemde, devlet tarafından desteklenen ve standartlaştırılmış unvanlar biçiminde sunulan özel mülkiyet haklarına bağlı olan rant için de söylenebilir. Belki de rant ile devlet arasındaki ilişki, devletin eski mülkiyet sistemlerini parçalayarak ekonomik, sosyal ve siyasi elitlere faydalı bir dolaşıma sokmadaki yadsınamaz rolü göz önüne alındığında, devlet ile mülkiyet arasındaki ilişkiden daha da açıktır. Devletin yokluğunda ortaya çıkacak rant krizini en iyi Robert Anton Wilson özetlemiştir: “Elbette, Avusturyacı fikirler insan davranışlarında etken olarak var olduğundan, bu fikirlerle kandırılan insanların en azından bir süre daha özgürlük içinde bile rant ödemeye devam edeceklerini kabul ediyorum. Ancak bir süre sonra, Tuckerite komşularının bu sahtekarlığa boyun eğmediğini gözlemlediklerinde, akıllarının başlarına geleceğini ve kendi seçtikleri ‘sahiplere’ haraç ödemeyi bırakacaklarını düşünüyorum… Ben kendim, polisin… ‘kör alet başına tartışma’ yoluyla tahsil etmek için hazır olduğu noktadan sonra bir gün bile rant ödemem.”xviii

Peki bu üçlü ele geçirme, vergi, rant ve kâr mekanizmalarında ele geçirilen savaş makineleri kim ya da nedir? D & G, Marksizmin yıllıklarında ‘küçük burjuva’ olarak reddedilecek figürleri tartışmak için önemli miktarda zaman harcıyor: zanaatkârlar, zanaatkârlar, taş ustaları, metalürjistler, tüccarlar vb. Bu figürlerin varlığı elbette köylü – ve daha sonra proleter – sınıfların sömürülmesi tablosunu ortadan kaldırmaz, ancak D & G’ye göre, “varlıkları tamamen yerel bir Devlet aygıtı tarafından biriktirilen bir artıya bağlı olmadığı için” göçebe ve özerk doğaları, onları devletten kaçan ve ona saldıran yeni siyasi düşünme ve eylem biçimlerini önceden şekillendirmek için çekici kılmaktadır. Metalürjinin tarihsel gelişimine atıfta bulunan D & G, devletin ekonomileri tekelleştirme ve iktidar statükosunu koruma güdüsünün, bu aktörlerin ele geçirilmesini alt sınıfların sömürülmesine bağladığını vurguluyor: “Devletin aşırı kodlaması, hem zanaatkar hem de tüccar metalürjistleri katı sınırlar içinde, güçlü bürokratik kontrol altında, tekelci dış ticaretle egemen sınıfın hizmetinde tutar, böylece köylülerin kendileri Devletin yeniliklerinden çok az yararlanır.”xix

Bu dinamiklerin daha güncel bir örneği, 1) tamircilerin ve bilgisayar korsanlarının bilgi-iletişim teknolojisinde paradigma değiştiren yenilikler üretmesi; 2) bu yeniliklerin daha sonra devletin fikri mülkiyet yasalarını uygulaması ve büyük, çok uluslu şirketlere hizmet etmesi altında ele geçirilmesi; ve 3) bu gelişmelerden kaynaklanan başka yeniliklerin engellenmesi olabilir. Dolayısıyla, Bin Yayla’daki zanaatkârlar, ustalar ve metalürjistler üzerine düşünceler ile daha önce atıfta bulunulan “Kontrol Toplumları Üzerine Dipnot”taki korsanlık ve bilgisayar korsanlığı üzerine düşünceler arasında doğrudan bir devamlılık olduğunu öne sürebiliriz.

Sonuçta elimizde olan şey, bu çeşitli izlere geri dönüp baktığımızda, bir tarafında devlet, kapitalizm ve bu oluşumların içinden geçen çok ölçekli iktidar ekolojisinin yer aldığı tartışmalı bir alan, bir çatışma alanıdır. Diğer tarafta ise özerk hareket, dinamik değişim ve dolaşım, arzunun yönlendirdiği yaratıcı ekolojiler. Birincisi, ikincisini kendisi için hammadde haline getirir, arzuyu, yaratıcılığı, geleneksel bölgelerden, sınırlardan ve sınırlardan kaçma ve onları aşma dürtüsünü (istikrarsızlaştırmak var olan en temel arzu değil midir?), çeşitli mekanizmaları ve aygıtları aracılığıyla daha algılanamaz tahakküm biçimlerini destekleyen bir şey haline getirir. Bunlardan en korkuncu, bu ekolojilerin, kopuş yanlısı pek çok kişiyi basitçe içe kapanmaya ve sözde karşı çıktıkları sistemleri desteklemeye geri dönmeye zorlamasıdır. Kapitalizmden kurtuluş çoğu zaman aynı şeyin sosyal demokrat varyantlarına geri çekilmekle eş anlamlıdır ki bu da kapitalizmden kopuş değil, devletin tüm güçlerini kullanarak onu güçlendirmektir. Kan ve toprak kimliği ve estetik unsurlar konusunu bir kenara bıraktığımızda, sosyal demokrat devletin bu temel mekanizmalarının faşist devletten ne kadar farklı olduğunu dürüstçe görebiliriz? Bunu akılda tutarak, Anti-Oedipus’taki meşhur ivmeci pasaja geri dönelim, umarım bu noktada yeni bir hal alır:

Devrimci yol hangisidir? Bir tane var mı? – Samir Amin’in Üçüncü Dünya ülkelerine tavsiye ettiği gibi, faşist “ekonomik çözümün” tuhaf bir şekilde yeniden canlandırılmasıyla dünya pazarından çekilmek mi? Ya da tam tersi yönde ilerlemek olabilir mi? Daha da ileri gitmek, yani pazarın hareketinde, dekode etme ve deterritorialization? Çünkü belki de akışlar, son derece şizofrenik bir karaktere sahip bir teori ve pratik açısından henüz yeterince deterritorialize edilmemiş, yeterince deşifre edilmemiştir. Süreçten çekilmek değil, daha ileri gitmek, “süreci hızlandırmak”, Nietzsche’nin de dediği gibi: “Bu konuda gerçek şu ki henüz hiçbir şey görmedik.”

Burada söz konusu olan, küresel düzeyde işleyen mübadele ve dolaşım sistemlerinin egemen iktidar ekolojilerinin ve bunların kaçınılmaz olarak yöneldiği kaba gaddarlığın -faşizmin- altını nasıl oyabileceğine dair militan, solcu (hatta post-solcu) bir vizyon değil midir? Aslında bu, neoliberal küreselleşmeye ya da kapitalist dünya pazarının atılımına gizli bir övgü değildir; devlet ve kapitalizmi ortak, modüler ve tepkisel bir bütün olarak birbirine bağlı güçler olarak görmelerini takiben, ‘neoliberalleşme’ ve beraberinde gelen her şey (‘özelleştirme’, ‘deregülasyon’, ‘tasarruf’, ‘yapısal uyum’ gibi kaypak sloganlar) aksiyom ekleme ve çıkarma süreçlerinin bir sonraki açılımından başka bir şey değildir. Pozitif bir sol-kanat anarşist ivmelenmecilik, politik faaliyetlerinin ufkunu aksiyomatiklerin ötesinde, bu ekolojileri parçalayan bir gelecek uzamında konumlandırmalıdır. Bu, arzunun soyut bir kolektivite düzeyinde değil, “moleküler” düzeyde işlediği bir gelecektir.

Bütün D & G pratiğinin Eugene Holland tarafından tanımlandığı gibi bir tür “serbest piyasa komünizmi” ile ilgili olduğunu söylemek son derece yanlış olacaktır.xx Bununla birlikte, piyasalar ve özgürleşme arasındaki ilişkinin çalışmalarının büyük bölümünde önemli olmadığını iddia etmek de aynı derecede yanlış olacaktır (akademik olsun ya da olmasın pek çok solcu yorumcunun yaptığı gibi). Ortaya çıkarılan her türlü piyasa anarşisti unsur, onların daha geniş kapsamlı kaygılarıyla -gelecek, küresellik, arzuların sonuna kadar serbest bırakılması, tüm dışsal ve içsel iktidar dinamiklerinin çözülmesi, vb. ile ilişkilendirilmelidir. Yakın zamanda vefat eden Mark Fisher’ın tanımladığı gibi, D & G’nin hızlanmacılığı “kapitalizmin kendisinin uzak tutmak zorunda olduğu belirli eğilimleri hızlandırmakla ilgiliydi… bu eğilimler hızlandırıldığında, kapitalizmin dayandığı standart öznellik, yaşam ve çalışma biçimlerinin ötesine geçeriz.”xxi


i. Nick Land “Machinic Desire”. Nick Land, Robin Mackay, and Ray Brassier Fanged Noumena: Collected Writings, 1987-2007 Urbanomic, 2012, sf. 326

ii. Gilles Deleuze and Felix Guattari Anti-Oedipus: Capitalism and Schizophrenia Penguin Classics, 2009, sf. 239-240. Bu kısmın Nietzscheci boyutları, ki D & G’nin söyleminin içerimlerini gerçekten kavramak için elzemdir, bu sayfalarda ele alınabileceğinden çok daha fazlasıdır. İlgilenen okuyucuyu Obsolete Capitalism Acceleration, Revolution, and Money in Deleuze and Guattari’s Anti-Oedipus Rizosfera, 2016’ya yönlendiriyorum.

https://www.academia.edu/29794467/Acceleration_Revolution_and_Money_in_Deleuze_and_Guattaris_Anti-OEdipus

iii. Saul Newman “War on the State: Stirner and Deleuze’s Anarchism” Anarchist Studies Issue 9, 2001 https://theanarchistlibrary.org/library/saul-newman-war-on-the-state-stirner-and-deleuze-s-anarchism

iv. Gilles Deleuze and Antonio Negri “Control and Becoming: Gilles Deleuze and Antonio Negri” Futur Anterieur Issue 1, Spring, 1990 http://www.uib.no/sites/w3.uib.no/files/attachments/6._deleuze-control_and_becoming.pdf

v. Gilles Deleuze “Postscript on the Societies of Control” October, Issue 59, 1992 https://cidadeinseguranca.files.wordpress.com/2012/02/deleuze_control.pdf

vi. Foucault’nun analiz tarzı ve iktidar anlayışı Marx’ınkinden oldukça farklıdır ve sonuçta ortodoks Marksizme benzeyen her şeyden uzaklaşır. Bu, Foucault’nun Marx’tan parça parça almadığı anlamına gelmez. Foucault, “disiplin toplumunun” yükselişi ve yayılması üzerine yaptığı ünlü çalışmasında zaman zaman Marx’a atıfta bulunur ve Marx’ın teşhis ettiği şekliyle kapitalizmin yükselişinin, insanların bedenlerini üretken kılmak için onları düzenleme ve alıkoyma biçimlerine bağlı olduğunu öne sürer. “Aslında iki süreç -insanların birikimi ve sermayenin birikimi- birbirinden ayrılamaz; hem onları ayakta tutabilecek hem de kullanabilecek bir üretim aygıtı gelişmeden insanların birikimi sorununu çözmek mümkün olmazdı; tersine, insanların kümülatif çokluğunu yararlı hale getiren teknikler sermaye birikimini hızlandırdı.” Discipline and Punish: The Birth of the Prison Vintage Books, 1995, sf. 221

vii. Jean-Francois Lyotard “Energumen Capitalism”, in Robin Mackay and Armen Avanessian #Accelerate: The Accelerationist Reader Urbanomic, 2014, sf. 183, 182

viii. Kevin Carson Studies in Mutualist Political Economy 2004, sf. 119 – 128

ix. Marx ve Vera Zasuluchi arasında 1881 yılında gerçekleşen karşılıklı yazışmalara bakınız: https://www.marxists.org/archive/marx/works/1881/zasulich/index.htm. Bu yazışmaların bir konusu da Rusya’daki devrimci Marksistler arasında kapitalizmin – ve sanayi kapitalizminin beraberinde getirdiği büyük ölçekli modernleşme süreçlerinin – komünizmin kurulması için gerekli olup olmadığına dair yapılan tartışmalardı.

x. Deleuze and Guattarri Anti-Oedipus, sf. 34-35

xi. Michel Foucault Lectures on the Will to Know: Lectures at the College de France, 1970-1971, and Oedipdal Knowledge Picador2014sf. 142

xii. Deleuze ve Guattari Anti-Oedipus, sf. 197. D & G’nin borcu ele alışı oldukça karmaşıktır ve buradaki makalenin kapsamını aşmaktadır. Bununla birlikte, borcun mübadele ve dolaşımdan kaynaklanan bir şeyin aksine, geleceği ipotek altına almanın bir aracı olarak egemen iktidar yapıları tarafından bireye yapılan bir “yazıt” olarak nitelendirildiğini söylemekte fayda var. Borç teorilerine kısa bir giriş için S.C. Hickman’ın Social Ecologies blogundaki iki bölümlük makaleye bakınız: “Deleuze ve Guattari: Borç Teorisi” (https://socialecologies.wordpress.com/2015/06/15/deleuze-guattari-theory-of-debt/) ve “Deleuze ve Guattari: Borç Üzerine Daha Fazla Not” (https://socialecologies.wordpress.com/2015/06/16/deleuze-guattari-further-notes-on-debt/)

xiii. Paul Baran and Paul Sweezy Monopoly Capital: An Essay on the American Economic and Social Order Monthly Review Press, 1966, sf. 150-152

xiv. Deleuze and Guattari A Thousand Plateaus, sf. 462

xv. Deleuze and Guattari Anti-Oedipus, sf. 235

xvi. Genel bir inceleme için Lewis Mumford The Myth of the Machine Vol. 1: Technics and Human Development Harcout 1967; ve The Pentagon of Power: The Myth of the Machine Vol. 2 Harcout, 1974. Deterritorial Investigations bloğumdaki “Orders of Technics: Considerations on Lewis Mumford” adlı makalem de Mumford’un teorilerini, Ralph Borsodi ve Kevin Carson gibi sol-özgürlükçü ve piyasa anarşisti pozisyonlarla bağlantılarını özetliyor ve hafif bir eleştiri sunuyor: https://deterritorialinvestigations.wordpress.com/2016/12/04/orders-of-technics-considerations-on-lewis-mumford/

xvii. Deleuze and Guattari A Thousand Plateaus, sf; 429

xviii. Eric Geislinger, Jane Talisman, and Robert Anton Wilson “Illuminating Discord: An Interview with Robert Anton Wilson” New Libertarian Notes September 5th, 1976https://theanarchistlibrary.org/library/various-authors-illuminating-discord-an-interview-with-robert-anton-wilson

xix. Deleuze and Guattari A Thousand Plateaus, sf. 450

xx. Bkz Eugene W. Holland Nomad Citizenship: Free Market Communism and the Slow-Motion General Strike University of Minnesota Press, 2011. Deleuze ve Guattari’nin ve ikinci dereceden sistem teorisinin (ki bu teorilerle büyük ölçüde ilişkilendirilebilir) etkisi altında Holland, “serbest piyasa ve komünizm terimlerini bu şekilde birleştirmenin, kapitalist piyasaları gerçekten özgür kılmak için dönüştürmek üzere komünizm kavramının seçilmiş özelliklerini kullanmak ve aynı zamanda komünizmi dönüştürmek ve onu devletle ölümcül bir dolaşıklıktan kurtarmak için komünizm kavramının seçilmiş özelliklerini kullanmak” olduğunu açıklamaktadır. (sf. xvi)

xxi. Mark Fisher “Touchscreen Capture: How Capitalist Cyberspace Inhibits Accelerationism” International Conference on Radical Futures and Accelerationism, 2016 https://voicerepublic.com/talks/01-mark-fisher-touchscreen-capture-how-capitalist-cyberspace-inhibits-acceleration

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Commentary
The Not-So-Funny Joke of Progressive “Decolonization”

When it comes to how we handle the history of colonization, a choice between gestures of recognition on the one hand, or widespread social ignorance and non-recognition of past atrocities on the other, is no choice at all—the former is obviously preferred. So, politicians making speeches, passing motions, creating holidays, and so on to recognize and acknowledge Indigenous peoples subjected to atrocities, such as in Canada, shouldn’t be viewed with total cynicism. These things can provide a useful function and have positive social and cultural effects. 

However, the problem is that for many progressive circles and those that represent them, gestures and symbolism is where that road ends. They leverage radical terms like “decolonization” to describe what is often just moral signaling and performance by non-Indigenous people to make themselves and other non-Indigenous people feel better about the creation of colonial institutions and structures of domination generations ago—all while leaving much, if not all, of today’s perpetuation and maintenance of the same colonial cornerstones untouched and unchanged. The result is a very watered-down end-goal-is-really-just-reform-and-not-really-decolonization flavor of “decolonization” that barely scratches the surface of the spiritual and generational trauma visited upon Indigenous peoples.

A good illustration of the inherent stupidity of progressive “decolonization” was provided by Canadian Prime Minister Justin Trudeau in 2016. While still within his post-election honeymoon phase, Trudeau said his government would review federal laws and policies to “decolonize” Canada and its relations with Indigenous peoples.

The term “Orwellian” is overused. But it does warrant an honorable mention here. Like Orwell often demonstrated, you can disrupt a strong signal of truth, plain fact, and/or logic by simply changing a clear term to an obtuse one—bombing and killing becomes precision strike and neutralization. Or, one can make a certain term mean something not-so-certain—The Democratic People’s Republic of North Korea is an autocratic dungeon. So, unless Justin Trudeau meant he wanted to dedicate his tenure to erasing any institutional or ceremonial ties the Canadian state has to England, dismantling everything about the state of Canada and it’s governing structures at every jurisdictional level, and resigning from his own newly-defunct position—all to return governance of the lands back to indigenous peoples and their means of self-governance —it really does seem Orwellian for the prime minister of a settler-colonial state to be talking about decolonization. 

Of course, that’s not what he meant. As an article featured by Canada’s public broadcaster written by an Anishinaabe author correctly points out—with perhaps just a hint of contempt, though we’ll never know—“the term decolonization can mean many different things, leaving the term’s meaning up to the person using it.” In Trudeau’s case, what he and his progressive political crew meant by “decolonization” was something more like the way he qualified it:

It basically means looking at the impacts of the wide swath of federal laws and legal frameworks to remove and to eliminate the elements that, instead of providing justice and opportunity, and opportunities for reconciliation, have been impediments for opportunities for growth and success of indigenous communities across the country [Emphasis mine].

That certainly sounds nice, but what’s extremely telling is how the prime minister also “stressed” that “the government was not planning to focus on re-opening the constitution to pursue those objectives.” So, not to worry everyone! There’s nothing on the table that really gets to the heart of certain arrangements with Indigenous peoples and the structures imposed upon them. The Canadian settler-colonial state will remain intact, mostly as designed over a century and a half ago. Government workers will enjoy a paid statutory holiday, and we’ll also play around with the name of government departments to make them potentially less offensive.

If we want words and the way we use them to have plain meaning, then a call to pursue “decolonization” in a way that makes already-existing processes, departments, and efforts more efficient by way of integrating Indigenous peoples and their needs better into the system doesn’t seem to be worthy of the name—rather, a more accurate description would be to say this is a call for improved or more humane colonization. After all, deforestation means clearance and removal of forest from a certain area, not pruning and maintaining trees or uprooting some in favor of planting others.

The purpose of progressive appropriation of a powerful term—like so many other appropriations by progressives—is to sugarcoat mild, end-goal reform with radical end-goal flavoring and aesthetic. In other words, it’s playing with radical language—pandering, really—with no real intention of pursuing radical end-goals. And, even if Trudeau and his fellow progressives could scrape enough competency together to execute their version of “decolonization”—and, many say they can’t even manage that—let’s be absolutely clear: Indigenous peoples would still be left with the same institutional arrangements, power dynamics, and contexts of domination that have been the root cause of countless injustices across multiple generations.

So goes the joke of progressive “decolonization” and their appropriation of radical language in general. They talk out of both sides of their mouths: one side adamantly decries the injustice inherent in current structures, while the other side either willingly or begrudgingly admits that serious structural change or removal of poisonous power dynamics is simply not on the agenda. All while prioritizing getting and keeping power in the very system they decry.

Progressive hypocrisy is a problem in and of itself, but it also has an insidious effect on the spectrum of debate and discussion. To witness progressive “decolonization,” you don’t have to look too far into many areas of Canada—especially urban ones—to see an event (e.g., a college graduation) that kicks off with a land acknowledgement. Nor do you have to look too hard to find that urban-progressive socially conscious type paying lip-service to the atrocities visited upon Indigenous peoples by the English and French empires and by settlers. However, again, lip-service, gestures, and symbols recognizing the creation and imposition of colonial institutions is one thing—facing the fact that those same institutions are alive, well, being perpetuated, and in many cases being strengthened, and doing something about it, is another. 

Slapping “decolonization” as a label on these performative and pandering apologies helps people feel as if they’re taking some sort of radical political position or participating in radical action when they’re really just filling in one square of their age-of-progressive-awareness-and-moral-signaling bingo card. 

That’s why speeches, motions, and holidays are often easy for so many in the public to digest. It’s relatively straightforward for a person with a decent moral compass to at least acknowledge the crimes of the past and point out the wrongdoing of others—namely, people long dead and gone. Yet, anything beyond mild reform or smoothing out the harder edges of the state and its oppressive institutions is generally a no-go zone for mass public appeal and circle-jerking. Going further requires a serious look at what’s happening today, and that’s hard to accept because it necessarily implicates those living with and benefiting from today’s institutional norms and injustices with some level of responsibility.  

Indeed, if colonization and the creation of settler-colonial institutions was unjust, then it follows that a basic level of honesty and responsibility requires going beyond mere apologies for the past. We must get to the heart of how colonization continues today, and what decolonization really means if we’re to take the word seriously. But, as is the usual story with progressives, if they were to be more plain-spoken about what they really meant and stop feigning radical notions, it would be a recipe for self-delegitimization. It turns out you don’t get into positions of power by delegitimizing yourself. So, if you want power, you need to ensure your own versions of radical words, like “decolonization,” are in play, and use those versions to guide policy and the public mind. 

In that sense, one can understand why hypocritical bait-and-switch rhetorical tactics are used. Perhaps the more important question, then, is what’s worse: the fact that progressives use the tactic, or the fact that so many in academia, the media, and the public intellectual sphere help them along as they do it.

Spanish, Stateless Embassies
No existe tal cosa como un tirador pasivo

De Spooky. Artículo original: There’s No Such Thing as a Passive Shooter, del 8 de mayo de 2023. Traducido al español por Vince Cerberus.

En Estados Unidos tenemos un problema con las armas. Esto no quiere decir en absoluto que el problema sea tan simple como “hay demasiados” o “es demasiado fácil obtenerlos legalmente”, pero la presencia de un problema distinto localizado aquí en este país es innegable, y se ha estado volviendo cada vez peor. Se podría argumentar que el tema es la relación entre educación y armas de fuego, y de hecho voy a resaltar esto más adelante en este artículo, aunque dudo que la mayoría de los comentaristas estén adecuadamente equipados cuando abordan el tema desde este ángulo específico. El conocimiento ayuda, pero no cumple un papel proporcional a la hora de mitigar la violencia que vemos hoy, y difícilmente se puede argumentar que los tiradores masivos de los últimos veintitantos años fueron víctimas de una educación insuficiente sobre el procedimiento adecuado: son jodidos asesinos de niños, el protocolo de manejo y el cumplimiento de las precauciones de seguridad no son exactamente altas prioridades en medio de asesinatos en masa de niños desarmados. Un “entrenamiento adecuado” no es la solución a la violencia masiva, a menos, por supuesto, que nos refiramos a la ampliación del acceso a la autodefensa para los objetivos más probables de agresión: las personas trans de color, los “enfermos mentales ”, personas sin vivienda, etc., lo cual, lamentablemente, casi nunca es lo que realmente quieren los progresistas.

El problema, espero que quede claro, no está en el arma en sí ni en cómo se usa. El instrumento exacto de la violencia masiva no es el lugar del acto, sino un medio eficiente para lograr un fin mayor percibido: la muerte de tantas personas como sea posible, a menudo al servicio de objetivos pseudofilosóficos (es decir, el Unabomber, supuestos ataques terroristas de ITS, etc.). Entonces, sin centrarnos exclusivamente en los medios de la violencia masiva, las explosiones que acaban con vidas en un instante, ¿dónde deberíamos buscar para explicar la magnitud y frecuencia de estos actos? A riesgo de parecer pretenciosos, debemos prestar atención a la sociedad misma, a los contextos culturales, sociales y económicos que nos informan e imponen comportamientos como sujetos de un sistema complejo. En particular, necesitamos hablar sobre el fascismo patriarcal blanco y sus cómplices cercanos en la derecha paleoconservadora.

En caso de que no lo sepas, Estados Unidos tiene una relación única con el movimiento fascista blanco global; la mitología neoconfederada de la “Causa Perdida” se ha convertido en una exportación cultural para los grupos de milicias supremacistas blancos , incluido el grupo Wagner; A lo largo del siglo XX, la Sociedad Estadounidense de Eugenesia y el movimiento eugenista estadounidense más amplio desarrollaron una relación recíproca con el régimen nazi ; y más recientemente, el movimiento estadounidense QAnon se ha extendido mucho más allá de los confines de la política estadounidense, influyendo en medios conspirativos de extrema derecha en muchos otros países, incluidos Alemania y Japón. Si bien sería ahistórico dar a entender que Estados Unidos inventó por sí solo el fascismo blanco, no hay ningún argumento coherente contra el hecho de que la derecha estadounidense es un órgano muy importante en el cuerpo del fascismo global, especialmente porque la campaña conservadora contra los derechos trans continúa sirviendo como pararrayos para que los nazis se organicen públicamente .

Teniendo esto en cuenta, no es difícil entender por qué tantos jóvenes blancos eligen escribir manifiestos sobre sus ansiedades existenciales y buscar la mezquita, el bar gay o, lo que está más presente en nuestra conciencia pública, la escuela más cercana llena de niños indefensos.

Los tiradores de Columbine, frecuentemente citados por asesinos en masa posteriores como inspiraciones directas, estaban enamorados de Hitler y el régimen nazi, Eric Harris escribió un ensayo completo elogiando a Hitler como “el mejor líder que tuvo Alemania” y Dylan Klebold hizo lo mismo para “ La mente y los motivos de Charles Manson “. Estos jóvenes eran lo más parecidos a los nazis literales que se podía estar sin hacer el saludo romano con una copia de The Turner Diaries frente a una bandera de la Wehrmacht frente a la cámara, pero rara vez se planteaba su admiración por las figuras y la estética de los supremacistas blancos en la cobertura de la masacre. En cambio, la conversación se centró en la afinidad de la pareja por los videojuegos violentos: juegos de disparos en primera persona, ¡no menos! – dejando a las siguientes generaciones de víctimas potenciales sin una comprensión coherente de quiénes fueron los perpetradores más allá de su supuesta obsesión “enfermiza” con un virtual gorefest. Este enorme fracaso del aparato mediático a la hora de informar con precisión sobre la verdadera causa motivadora de la violencia masiva para centrarse en cambio en un sensacionalismo endeble le ha costado la vida a miles de niños, ya que nuestro enfoque miope en caminos de causalidad singulares y simples ha permitido que personas influyentes conservadoras, la extrema derecha retórica y blanqueo sistemático de la historia estadounidense para radicalizar a los jóvenes en todo el país, convirtiendo a los más violentos entre ellos en el próximo titular sobre el cual podemos imponer nuestras especulaciones reduccionistas.

“¿Qué pasa con Nashville?” Estoy seguro de que algunos de ustedes se lo estarán preguntando, ya que este caso parece ser una excepción fuera del proceso fascista. El lector más transfóbico podría asumir que no tengo nada que decir sobre este caso, ya que mi contrato con Big Anarchy me obliga a no decir nada negativo sobre una persona trans nunca, pero parece que tendré que vivir decepcionando a los transfóbicos capacitistas una vez más, ya que voy a hablar de la masacre en Nashville. La derecha se volvió totalmente buitre después de que se descubrió que el tirador era trans y que la escuela era cristiana y privada, enmarcando a Hale como un anticristo con una enfermedad mental que escupía al niño Jesús y giraba con fuerza hacia el apoyo a las leyes de bandera roja para mantener el “movimiento trans” de “apuntar a los cristianos”. Ni una sola vez durante su ataque público de ansiedad cis blanco, Tucker Carlson, sus compañeros demonios en Fox, o cualquier comentarista adyacente mencionaron el hecho de que la organización matriz de la escuela, Covenant Presbyterian Church, tiene un historial de protección de abusadores de niños. John Perry, un ex feligrés de la iglesia que fue coautor de So Help Me God con Roy Moore, supuestamente cometió estos actos durante el tiempo que el tirador estuvo en la escuela. Menciono esto no sólo para señalar una mala práctica rutinaria por parte de Fox News ni para dar a entender que el propio Perry apuntó a Hale cuando era menor de edad, sino para resaltar el otro elemento contextual importante frecuentemente ignorado por la mayor parte de la cobertura: las escuelas mismas. Las escuelas, en particular las privadas cristianas, son centros de control, abuso y violación, que disciplinan a los niños para convertirlos en estudiantes obedientes mediante la vigilancia, el castigo y el uso de la fuerza estatal a través del sistema de denuncia obligatoria. En esencia, el aparato educativo es un medio para desempoderar sistemáticamente a los niños para convertirlos de manera eficiente en “mano de obra calificada”, preparados para ingresar a la fuerza laboral y navegar los sistemas que los gobernarán por el resto de sus vidas. No producir estudiantes de “alta calidad” impone consecuencias financieras a las escuelas y a los docentes, una estructura de incentivos diseñada no para mejorar la experiencia educativa de los estudiantes, sino para hacer que los educadores compitan entre sí. En este entorno, se espera que los adolescentes en desarrollo no sólo se conviertan en adultos funcionales con una visión saludable del mundo, sino que también sean competidores feroces, persiguiendo el logro académico como su principal prioridad para poder convertirse en “los mejores de la clase”, ganando símbolos de estatus para impresionar a las instituciones de educación superior y, lo más importante, a sus futuros jefes. Arriesgarse a la insensibilidad, no es exactamente un sistema que te haga querer estar vivo incluso en las mejores circunstancias. Pero si queremos ser completamente honestos acerca de la naturaleza de estas circunstancias específicas, no podemos ignorar el hecho de que esta institución no estaba ni cerca del mejor de los casos.

La Iglesia Presbiteriana Covenant es una denominación cristiana reformada que enseña el creacionismo de la Tierra joven y se opone explícitamente a “la bisexualidad, la homosexualidad, el lesbianismo y todas las formas de procreación artificial utilizando donantes fuera de los vínculos matrimoniales existentes ”. Suponiendo que la sucursal de Nashville de esta institución no se haya alejado mucho de este consenso general como se describe en el Libro del Orden de la Iglesia, podemos asumir con seguridad que esta teología evangélica conservadora se impone a los niños dentro de los muros de sus escuelas. Digo esto en sentido literal: las escuelas del PCC son un aparato de preparación para el cristianismo conservador, explícitamente informado por una ideología formal que venera la unidad familiar, niega la autonomía corporal básica de las personas con útero., y propaga la idea de que lo queer es un pecado. No importa cómo se lo mire, el conservadurismo reaccionario sigue siendo una fuerza omnipresente en la producción sistemática de violencia armada masiva después de Columbine, manteniendo las condiciones bajo las cuales las víctimas de su odiosa ideología son conducidas al aislamiento y la venganza y los aspirantes a “patriotas” adoptan la retórica mediante la cual pueden justificar su propia cruzada violenta. Nada de esto quiere decir que el problema reside únicamente en el PCC y las instituciones adyacentes, por supuesto, ni implica que el cristianismo conservador tenga la medalla de oro por impulsar a la gente a cometer asesinatos. Ese premio pertenece al colonialismo británico.

Durante el período colonial de Indonesia, el fenómeno “mok” (también conocido por el término javanés para locura, “ngamuk”) se observó entre los sujetos coloniales tanto dentro como fuera de las fuerzas colonizadoras; Los funcionarios públicos, los funcionarios gubernamentales o los súbditos indígenas, al experimentar una pérdida de estatus, entraron en un período de melancolía y aislamiento, después del cual se desencadenarían en un alboroto asesino (Browne 2001, Lemelson & Tucker 2018). El aparato disciplinario en las colonias, aunque muy diferente al de la escuela secundaria moderna y mucho, mucho más amplio en su escala, conceptualizó esto a través de una lente patológica, concibiendo al que estaba “descontrolado” como un individuo desordenado, su giro hacia la violencia percibido no como una consecuencia sangrienta del dominio colonial y sus procesos disciplinarios componentes, sino una cuestión interna del sujeto violento, divorciada de su contexto social por un impulso psicológico desapegado. Mi punto no es equiparar los asesinatos de Hale con alguna noción idealizada de acción anticolonial, sino ilustrar cómo un entorno de control y desempoderamiento constante y generalizado crea las condiciones para ataques terroristas aparentemente caóticos. Un sujeto colonial, un estudiante y cualquier persona fuera de la “norma” de personalidad sistemáticamente reconocida está luchando constantemente con el problema de la visibilidad. Los inmigrantes, para utilizar un ejemplo inmediatamente pertinente, El control generalizado y la pérdida de poder crean las condiciones para ataques terroristas aparentemente caóticos. Un sujeto colonial, un estudiante y cualquier persona fuera de la “norma” de personalidad sistemáticamente reconocida está luchando constantemente con el problema de la visibilidad. Los inmigrantes, para utilizar un ejemplo inmediatamente pertinente, El control generalizado y la pérdida de poder crean las condiciones para ataques terroristas aparentemente caóticos. Un sujeto colonial, un estudiante y cualquier persona fuera de la “norma” de personalidad sistemáticamente reconocida está luchando constantemente con el problema de la visibilidad. Los inmigrantes, para utilizar un ejemplo inmediatamente pertinente, existir fuera de la mirada de los estados, el aparato mediático y eso que llamamos “ojo público”; Esta invisibilidad se manifiesta de varias maneras, desde la supervisión discursiva general por parte de los comentaristas hasta la violencia silenciosa implícita en el cumplimiento de las fronteras nacionales. Bajo las innumerables presiones de la ciudadanía, el nacionalismo y el sentimiento nativista generalizado, los inmigrantes se ven privados de los medios de visibilidad, y su estatus se utiliza como medio para controlar y subyugar fuera de cualquier mirada que pueda impedir el procedimiento de dominación del Estado carcelario. A diferencia de los inmigrantes, los ciudadanos blancos privilegiados necesitan fabricar una invisibilidad que pueda usarse para forzarse a ser visibles, aparecer en titulares para ser compartidos en las redes sociales, convertirse en mártires de la guerra cultural para ser discutidos por expertos de izquierda y derecha o, si lo desean, sobrevivir a sus actos premeditados, ellos mismos se convierten en testaferros . Según la evidencia disponible, Hale no estaba motivado por las conspiraciones de guerra de la cultura blanca típicas de la mayoría de los tiroteos masivos, pero la conceptualización de la violencia masiva como un medio para forzar la visibilidad se alinea con los detalles del caso, aunque sin un final concluyente.

Como mínimo, mi esperanza es que al aplicar un marco psicocultural al tema de los tiroteos masivos en específico y al fenómeno más amplio de la violencia masiva en sí, haya demostrado que nadie se convierte en un asesino en masa simplemente porque tiene acceso a armas de fuego. La violencia masiva con la frecuencia que estamos observando ahora ocurre por una razón que va más allá de la patología individual, y cuanto más actuemos como si no fuera así, más personas morirán. Hasta que los progresistas estén dispuestos a aceptar el hecho de que Estados Unidos tiene un problema de fascismo que no se puede combatir con el puro poder del Estado, la gente de color, las mujeres trans negras y los niños pequeños seguirán muriendo grupos revisionistas . Dicho esto, dejaré que ustedes decidan si se puede confiar a dicho Estado el poder de controlar quién tiene acceso a las armas de fuego.

• Browne, Kevin. “(Ng) Amuk revisitado: expresión emocional y enfermedad mental en Java Central, Indonesia”. Psiquiatría transcultural, vol. 38, núm. 2, 2001, págs. 147–165, https://doi.org/10.1177/136346150103800201.

• Lemelson, Robert y Annie Tucker. “Desviación, control social y experiencia intersubjetiva”. Aflicciones: pasos hacia una antropología psicológica visual, Springer International Publishing, Nueva York, Nueva York, 2018, págs.

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Commentary
Won’t Somebody Think of the Poor Taxpaying Landlords?

At Reason (“Did NYC Just Kneecap Airbnb?”), Liz Wolfe seems to be diversifying beyond her normal focus on tech platform apologetics and crowding onto the turf of resident landlord whisperer Christian Britschgi. I confess my first reading of the title brought a smile to my face — probably not the effect Wolfe intended — as I contemplated the use of “kneecapping” in conjunction with Airbnb.

There are a lot of errors in the article, but overshadowing any of that is the sheer dishonesty of it. Throughout the article, Wolfe quotes only one person — a homeowner who’s apparently renting out the other half of a restored duplex he lives in — as the spokesman for negatively affected parties. Julian Ehrhardt is associated with a group called RHOAR (Restore Homeowner Autonomy & Rights), which Wolfe describes as “grassroots.” Ehrhardt repeatedly refers to the law as a violation, specifically, of homeowners’ property rights, and bristles at its advocates who “[label] us as wealthy landlords.” And of course, he adds the perfect touch of right-wing populism by singling out the unions, those perennial villains at Reason, for blame.

The only hint in the article that someone’s interests might be affected other than those of “homeowners” — say, real estate holding companies or landlords who own multiple apartment complexes — comes in Wolfe’s passing reference to her visiting relatives who sometimes stay in an Airbnb townhouse rental. Aside from that, the entire narrative is “pointy-headed socialist bureaucrats vs. poor Aunt Millie who’s renting her spare room.” 

Framing the primary group affected as “homeowners” — and not absentee owners mass-converting family dwelling units into short-term rentals and causing a housing shortage in order to rent-gouge — is fundamentally dishonest.

The law, Wolfe says, “dictates that hosts ‘maintain a common household’ with guests.” So in other words, it requires that Airbnb actually be what it started out as in 2007, when its name re-elected the two founders’ vision of literally building a bed and breakfast operation around an air mattress in their living room — and not a way for large-scale absentee landlords to evict tenants and convert their apartments and rent houses into short-term rentals.

To be fair, the legislation really does appear to have unintended consequences, in terms of the size of operations affected — according to Wolfe’s article, anyway, it would prevent a family renting out their apartment while they’re on vacation, or somebody living in one half of a duplex and renting out the other. And RHOAR seems to be comparatively legit, with a majority of its membership being owners of “two-family homes” (i.e. duplexes); its primary policy goal is “to exempt owner occupied one- and two-family homes” from the law.

But presenting the primary targets of the law as people with mother-in-law cottages or efficiency apartments over their garage is flat-out misleading. In terms of sheer disingenuousness, it’s comparable to the post-WWII propaganda film shorts by the National Association of Manufacturers and other industry groups, in which “our free enterprise system” was personified by pops the friendly neighborhood druggist explaining capitalism to a couple of teenagers at the soda fountain, or some likeable little guy “starting his own business” or tinkering around with some new gadget. Friendly Pops the corner druggist stands in exactly the same relation to the giant industrial corporations funding post-war capitalist propaganda that Ehrhardt’s poor “homeowners” do to the main villains in the New York real estate market: private equity and other institutional investors buying up residential housing units by the thousand in order to hire them out through Airbnb, and thus constricting the supply of housing and driving up rents.

This is not a positive endorsement of the law, although it’s important to understand that we’re comparing the new law to a status quo that’s every bit as much a product of the state and its laws. So the true question is whether the law is a net increase or decrease in statism compared to the state of affairs it’s replacing. As an anarchist, if I lived in New York I would probably view the law — unintended consequences to Aunt Millie aside — as a net reduction in statism, insofar as it limits the ways landlords’ state-granted privilege can be abused. The primary vector of statism is landlordism itself; the law in question is a secondary constraint on the worst abuses of landlordism (for my distinction between primary and secondary state interventions — the latter being formal but not substantive statism — see my article “Formal vs. Substantive Statism: A Matter of Context”). 

Not that this is an optimal solution. It basically amounts to the state acting to ameliorate the harm caused by abuses of its own previous enforcement of privilege, in the interests of the long-term stability of the system. What’s ultimately needed is to attack the problem at its root — landlordism.

Wolfe continues:

But city officials are biting the hands that feed: both the tourists who help power the economy — whether residents like it or not — and the taxpaying landlords who provide housing options to willing buyers at rates all parties accept.

* * *

All this aside, even if short-term rentals were squarely to blame for a housing supply crunch, infringing on the rights of property owners is a terrible precedent to set.

All we need to complete the picture is a dismayed figure labelled “Taxpaying Landlords” and a weeping Statue of Liberty, and this could be a Kelly cartoon at The Onion.

As for “provide housing options to willing buyers at rates all parties accept,” the phrase is meaningless. By definition, if the structural rules of a given system empower particular classes or institutions to provide a service, then those particular actors do in fact “provide” it. And any number of different systems of property rules and institutional arrangements for organizing production are compatible with the existence of a market price system, with wide variation in the market-clearing prices that would result. If buying and selling are permitted at all, and market-clearing prices are allowed to be established, then by definition all buyers are willing and all rates are at least formally accepted by all parties in any system — regardless of the particular society’s property rules or the institutional arrangements governing who is permitted to offer a given good or service for sale. The U.S. Postal Service has a legal monopoly on the delivery of first-class mail — an arrangement that causes no end of outrage among libertarians — and yet, by the same standard Wolfe uses to defend landlords, everyone who buys stamps does so “willingly” and at rates they “accept.”  

Wolfe’s comments here are a textbook illustration of the central theme in pro-capitalist apologetics and orthodox capitalist economics: concealing power relations behind a facade of “voluntary exchange.”

In fact, the “rights of property owners” — or the concept of “property” itself — is the problem. And in its origins, the modern capitalist form of property is as far from “voluntary” as anything can be. 

For most of history since the Agricultural Revolution, and in most parts of the world, the predominant model of land ownership has been some sort of communal tenure, with eminent title ultimately vested in the village collective, extended family, clan, or some other collective entity. The open field system of medieval Western Europe, the Russian Mir, what Marx called the “Asiatic mode” in India, the Jubilee system in pre-state Israel…. These, and other variations on them, were typical of most of the world for most of human history since the rise of agriculture. 

They were brought to an end, not by any mythical Lockean “peaceful appropriation from the common through individual homesteading,” but by sheer, brutal violence. The modern capitalist model of “private property” in land — alienable, fee-simple, commodity ownership — was a creature of the modern capitalist state in alliance with the landed classes. With the help of the modern state, feudal landlords transformed their “property right” from one defined by custom and limited to specified and often nominal rents, to an absolute property right in the modern sense; the peasantry, as a result, were stripped of their own customary heritable rights of possession and legally defined rents, and transformed into tenants at will. In other words, the “property rights” Wolfe pronounces with the same reverence as “Randolph Scott” in Blazing Saddles are nothing but the legacy effect of robbery.

And transforming land into an alienable and marketable fictitious commodity (Karl Polanyi’s term) inevitably results in its concentration into a few hands as the source of unearned income by its owners. And land rent was the original, paradigmatic form of economic rent — a return over and above what would have been required to bring a commodity to market, resulting from economic power. As David Ricardo and Henry George pointed out, the rent on land itself reflects the need of society — the surrounding population bidding up the price of a fixed supply of locations — rather than the actual value of any buildings and improvements by the landlord.

Wolfe’s range of solutions to the affordable housing issue is limited entirely to the YIMBY panacea.

Supporters of Local Law 18 claim short-term rentals are to blame for New York’s housing affordability issues. The far greater problem is how difficult it is to build new housing stock in a city that heaps on onerous permitting restrictions and has for too long allowed lots of “not in my backyard” (NIMBY) veto power. In fact, New York is far less dense with Airbnbs than other cities, points out the Cato Institute’s Scott Lincicome. And cities need all different types of housing configurations at all different prices in all different neighborhoods, not controlled by central planners, but subject to the changing needs of market participants. 

Not that I’m opposed to YIMBYism as such. Zoning restrictions on dense housing certainly contribute to the problem. But housing construction, independent of ownership issues, is by no means a Rosetta Stone for addressing the problem. The heart of the problem is landlordism itself, and the modern capitalist model of “private property” in land.

Ultimately, the only real solution to the affordable housing problem is to replace the modern capitalist model of private property in land with a restored commons-based ownership. The range of possible methods includes everything from community land trusts, to tenant unions and rent strikes, to squats. And so long as governments and taxation exist, we can push to make them less extractive and authoritarian by shifting taxes off of buildings and improvements and entirely on the unearned rental value of land, as well as by ceasing or deprioritizing the eviction of squatters on vacant or foreclosed properties.

What Liz Wolfe calls “private property” is just another form of authoritarian statism, and landlords are nothing but states in miniature.

Italian, Stateless Embassies
Una Filosofia Economica per il Lavoratore Egocentrico

Di Trevor Hauge. Originale: Economic Philosophy for the Self-Interested Worker, del 19 agosto 2023. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.

Pubblicato originariamente su Anarchy or Ceaserism.

Di recente ho riletto Road to Revolution, di Avraham Yarmolinski, uno dei libri di storia radicale miei preferiti. L’avevo letto per caso la prima volta nel 2017: da un anno mi riconoscevo negli ideali anarchici. Pur non essendomici mai identificato, a quei tempi provavo simpatie per l’anarco-comunismo, soprattutto nelle forme del sindacalismo anarchico di Rudolph Rocker. E pur non essendomi mai allontanato del tutto dal sindacalismo anarchico, ne sono tuttora un esponente atipico perché più che ad un sindacalismo basato su un comunismo libertario aspiro ad un sindacalismo basato su un mutualismo continentale. Come molti progressisti americani, dal mio punto di vista di tipo comunista libertario accettavo la dicotomia popolare che vede nel socialismo una pseudo religione basata interamente sul sacrificio di sé e sull’altruismo e nel capitalismo un’ideologia egoista e egocentrica. Consideravo ridicola l’idea che l’uomo medio fosse un essere profondamente egoista. Leggendo A Century of Russian Radicalism di Yarmolinski ho appreso con sorpresa che questa rappresentazione dicotomica è un’invenzione moderna.

Yarmolinski descrive i vari atteggiamenti morali dei movimenti populisti. Va dal nichilismo amorale, forse vicino a Max Stirner, all’assolutismo morale dogmatico. Io non ho sentimenti nichilisti riguardo la morale. Penso che la morale e l’etica siano concetti validi. Credo che, se applicati con attenzione e parsimonia, entrambi possano dare benefici all’individuo e alla società. Penso insomma che occorra prendere cum grano salis tutto ciò che sa di assolutismo morale e più in generale di sacro. Potrei anche, in questo senso, simpatizzare per un’analisi nichilistica della morale, ma senza accettare il nichilismo in toto. Prendiamo ad esempio due atteggiamenti tipo dei populisti: quello egoista e quello pseudo religioso.

L’atteggiamento pseudo religioso:

C’erano quelli che si sentivano missionari di un nuovo vangelo, e che non senza soddisfazione annunciavano il martirio. Una giovane era fissata con l’idea che l’opera di un rivoluzionario è più efficace quando soffre per la causa. Uno dei partecipanti al movimento racconta di aver visto propagandisti che leggevano il Nuovo Testamento. Nella sede centrale di un piccolissimo gruppo, i cui appartenenti erano i primi a ‘recarsi presso le genti’, c’era una croce di legno su una mensola. Fantasticavano di una nuova fede che avrebbe infuso coraggio negli intellettuali e portato i sentimenti religiosi delle masse a sposare le idee rivoluzionarie. Lavrov spiega che gli agitatori non volevano qualcosa di valore pratico, ma semplicemente fare un podvig, un atto di abnegazione e di valore spirituale. A quei tempi, scrive, il populismo ricordava più una setta religiosa che un partito politico.

Ho conosciuto molti socialisti che hanno finito per adottare questa forma di pensiero. li trovo insopportabili. L’aspetto più ironico è che allontanano le simpatie dei loro adorati lavoratori predicando la morale invece di attirarli promettendo più soldi in busta paga e più libertà personale. Non vedono persone con interessi reali, ma futuri adepti di una nuova fede. Il succo, dice Lavrov, è che ironicamente si arriva a una sorta di gratificante martirio. Assumono così l’atteggiamento paterno di un despota illuminato, più che di un egotista illuminato. Si considerano arbitri della morale e del bene ma diventano messaggeri dell’immoralità e della disperazione. Voglio dire che solitamente si finisce per adottare una visione in bianco a nero che poi, non a caso, sfocia in un nichilismo di gran lunga peggiore di quello a cui potrebbe giungere un “libertino” egocentrico e egoista. Siamo al nichilismo di Nechayev o di Machiavelli, quello del fine che giustifica i mezzi, dove il popolo non è popolo ma una semplice espressione della “massa”, da cui può essere separato perché non corrompa l’intero organismo sociale. Se sei pronto a gettare via la tua vita per la gloria della “rivoluzione” (un concetto astratto), cosa sei disposto a fare contro quelli che ostacolano il tuo cammino?

Per contrasto, vediamo cosa dice Yarmolinski dell’egotismo illuminato di Černyševskij:

al fine di perseguire il proprio interesse, una persona dev’essere libera operare ma deve anche sapere dove si trova, il proprio interesse. Černyševskij attribuiva la massima importanza alla conoscenza come strumento per il bene. La gente è malvagia, pensava, perché non sa che evitare il male va a loro vantaggio. Egoismo illuminato era la sua parola chiave. L’egoismo illuminato, sosteneva, preclude azioni antisociali grettamente egoiste. Porta, spontaneamente e senza sforzo, l’individuo a identificare la propria felicità con la felicità di tutti, il vantaggio personale con il bene universale. Černyševskij diceva inoltre che l’uomo, poiché fa parte dell’ordine naturale, è una creatura di circostanze, formato eticamente dalla società. Per questo la responsabilità morale, in ultima istanza, si trova lì.

Černyševskij ha i suoi problemi, primo tra i quali il fatto di essere contro le transazioni di mercato di qualunque genere. Non sempre, poi, dalle idee passava al loro fine logico, a volte diventava zelante e feroce come le sue controparti dalla mentalità religiosa. Non lo metto su un piedistallo, non più di quanto non faccia con Karl Marx, Proudhon o Bakunin. Come tutti i grandi pensatori, ispirò un’ampia varietà di persone: da Vladimir Lenin a Emma Goldman, e qualcuno dice anche Ayn Rand. Essendo nato in Russia, sono tra quelli che ci vedono un ispiratore della Rand, che probabilmente conosceva bene le sue opere.

Spesso i commentatori politici occidentali descrivono il socialismo come l’economia dell’altruismo e il capitalismo come l’economia dell’interesse personale. È opinione comune della nostra epoca, quasi un dato scontato, che al centro dell’uomo stia l’interesse personale. Ne segue logicamente che “l’uomo è egoista e di conseguenza l’economia deve basarsi sull’interesse personale.” Bè, io non credo che il capitalismo sia l’unica forma economica compatibile con l’interesse personale. Credo che lo stesso valga anche per il socialismo, solo che si tratta dell’interesse personale della classe lavoratrice e non della classe padronale. Visto che la maggior parte degli uomini appartiene alla classe lavoratrice, il socialismo, in qualsivoglia forma, rappresenterebbe l’interesse personale di una parte della popolazione molto più grande di quella rappresentata dal capitalismo. Come spiego nel mio libro, il socialismo è in grado di rappresentare l’interesse personale molto più del capitalismo. È questo il nocciolo di verità che voglio estrarre dall’ideologia di Černyševskij. Credo che sia molto più convincente l’idea di un socialismo basato sull’interesse reciproco dei lavoratori di qualche altisonante ideale morale pseudo religioso.

Il fatto è che c’è lavoratore e lavoratore. In senso reale e metaforico. Valori culturali e morali cambiano. È l’interesse economico ad unirli, non ciò in cui si crede individualmente: è questa secondo me la base solida del socialismo. Se riusciamo a far sì che si riconosca questo semplice fatto, la gente potrebbe cominciare a vedere l’individuo laddove prima vedeva l’“altro”. Si potrebbero così superare i dogmi morali e i pregiudizi personali retaggio della società in cui si è nati. Se invece ci avviciniamo alla gente con un atteggiamento morale paternalistico si rischia di allontanarli prima ancora di iniziare. Questo non significa che possiamo convincere tutti promettendo benessere materiale e libertà: chi crede davvero nei dogmi reazionari è votato al martirio tanto quanto il rivoluzionario religioso. Entrambi sono disposti a gettarsi sul rogo per testimoniare la propria fede. Ma è proprio questo l’atteggiamento da evitare. Non servono fedelissimi, che sono persone che in genere non fanno che passare da un credo violento a un altro.

Altro vantaggio di un socialismo basato su un egoismo illuminato è il fatto di non non avere eroi. Nessuno va a predicare “alle genti”. Il dialogo è tra pari. Non c’è da prendere nessun potere per realizzare la magia utopica sulla loro pelle, perché il socialismo in questo senso non è un fine in sé ma lo strumento che permette di arrivare a un fine, che è il benessere materiale di tutti. Portato alla sua conclusione logica, questo genere di socialismo escluderebbe tutti quei percorsi che comportano una sofferenza di massa nel nome di un ipotetico vangelo rosso. Dopotutto, un socialismo che porta alla servitù e all’immiserimento dell’individuo si condanna da sé, e noi non lo vogliamo. Dobbiamo perciò vedere in ogni lavoratore un individuo che ha un interesse personale. Possiamo arrivare alla libertà reciproca e al benessere materiale tramite la cooperazione democratica tra i lavoratori, la libera associazione e l’abolizione dello stato.

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Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory