Nessuno Pensa ai Poveri Latifondisti che Pagano le Tasse?

Di Kevin Carson. Titolo originale: Won’t Somebody Think of the Poor Taxpaying Landlords? del primo ottobre 2023. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

Su Reason, Liz Wolfe (“Did NYC Just Kneecap Airbnb?”), esce dal suo solito giustificazionismo delle piattaforme tecnologiche e invade il campo di Christian Britschgi, la voce dei latifondisti immobiliari. Confesso che l’idea di “gambizzare” (kneecapping, ndt) Airbnb mi piace, anche se forse non è questo che intende l’articolista.

L’articolo contiene molti errori, ma soprattutto è falso. In tutto l’articolo, Liz cita una sola persona, un padrone di casa che affitta metà di un duplex ristrutturato in cui vive, come rappresentante della parte lesa. Julian Ehrhardt fa parte di un’associazione, RHOAR (Restore Homeowner Autonomy & Rights, Ripristinare l’autonomia e i diritti dei padroni di casa, ndt), che la Wolfe descrive come “iniziativa popolare”. Ehrhardt dice più volte che la legge viola specificamente i diritti di proprietà dei padroni di casa, scagliandosi contro i sostenitori (della legge) che “ci [etichettano] come ricchi padroni”. Ovviamente, aggiunge un tocco di populismo di destra accusando i sindacati, l’uomo nero di Reason.

Oltre ai “padroni di casa” (tra cui società immobiliari e singoli proprietari di numerosi appartamenti), tra le persone i cui interessi potrebbero essere toccati la Wolfe cita alcuni suoi parenti, che quando vanno a farle visita affittano una casa su Airbnb. Il resto è un’accusa contro “i burocrati ottusi che ce l’hanno contro la vecchia zia che dà in affitto una stanza inutilizzata”.

Parlare di “padroni di casa”, e non di proprietari assenteisti che affittano appartementi a breve causando scarsità che fa salire i prezzi, è semplice disonestà.

Dice la Wolfe che la legge “impone ai padroni di casa di ‘convivere’ con gli ospiti”. In soldoni, significa che Airbnb dovrebbe tornare a com’era agli inizi, nel 2007, quando, come si arguisce dal nome, i fondatori intendevano un bed and breakfast con un letto in più, e non società immobiliari assenteiste che sfrattano gli inquilini per convertire appartamenti e case in affitto in alloggi da affittare a breve termine.

È vero però che la legge apparentemente produce imprevisti legati alle dimensioni: come dice l’articolo della Wolfe, la legge vieta a una famiglia di affittare il proprio appartamento mentre è in vacanza, e a chi occupa la metà di un duplex di affittare l’altra metà. RHOAR dunque avrebbe ragione, visto che è composta perlopiù da proprietari di “case bifamigliari” (duplex), il cui principale obiettivo è “l’esenzione dei proprietari occupanti e dei proprietari di duplex”.

Ma è ingannevole dire che obiettivo principale della legge sono soprattutto vecchi casolari e monolocali. È una falsità paragonabile ai filmati propagandistici del secondo dopoguerra dell’associazione manifatturiera nazionale e altri gruppi industriali che identificavano “la nostra libera impresa” con il bottegaio che coi gomiti sul banco spiegava a due ragazzini cos’è il capitalismo, o col tipo geniale che “avviava un’attività” o inventava qualche aggeggio. Il simpatico bottegaio sta ai giganti industriali che finanziavano la propaganda capitalista del dopoguerra come il povero “padrone di casa” di Ehrhardt sta ai furfanti del mercato immobiliare di New York: si tratta in quest’ultimo caso di capitali privati e investitori istituzionali che comprano residenze a migliaia, le danno in affitto tramite Airbnb, e così facendo limitano la disponibilità di alloggi e fanno salire gli affitti.

Questo non significa che approvo la legge, anche se è importante capire che il confronto è tra la nuova legge e una situazione prodotta interamente dallo stato con le sue leggi. La questione è: la legge accresce o no il potere dello stato rispetto a prima? Da anarchico, se vivessi a New York vedrei nella legge, imprevisti a parte per le vecchie zie, un calo netto del potere dello stato perché limita la possibilità dei proprietari immobiliari di abusare dei privilegi concessi dallo stato stesso. Il vettore principale del potere statale è il latifondismo, e la legge in questione rappresenta un restringimento secondario dei peggiori mali del latifondismo. Per inciso, sulla distinzione tra intervento statale primario e secondario (che rappresenta potere statale formale ma non sostanziale), vedi il mio articolo “Formal vs. Substantive Statism: A Matter of Context”.

Certo la soluzione non è ottimale. In pratica, lo stato sta cercando di limitare i danni causati dagli abusi dei suoi precedenti privilegi, al fine di rendere più stabile il sistema nel lungo termine. Ciò che serve però è un attacco al cuore del problema, ovvero il latifondismo.

Così la Wolfe:

Gli amministratori comunali sputano nel piatto dove mangiano: colpiscono sia i turisti che aiutano l’economia (che ai residenti piaccia o no) che i proprietari di case, che pagano le tasse e offrono un alloggio ad acquirenti consenzienti a condizioni condivise.

* * *

Ma anche ammesso che la colpa della crisi dell’offerta sia interamente degli affitti a breve termine, toccare i diritti dei proprietari è un pessimo precedente.

Manca solo una vignetta con i proprietari di case vestiti da straccioni e la statua della libertà in lacrime.

Dire poi che “offrono un alloggio ad acquirenti consenzienti a condizioni condivise” non significa nulla. Se certe classi o istituzioni “offrono” qualcosa è perché, per definizione, sono le regole strutturali di un dato sistema a dare loro questo potere di “offrire”. In un sistema basato sui prezzi di mercato, proprietà e produzione possono essere arrangiati in tanti modi, con conseguenti ampie variazioni del prezzo di equilibrio. Se comprare e vendere qualcosa è lecito, e se si arriva ad un prezzo di equilibrio, allora qualunque acquirente è per definizione consenziente e tutte le parti accettano, almeno formalmente, qualunque tariffa in qualunque sistema: questo a prescindere dalle norme sulla proprietà o dalle regole istituzionali che stabiliscono chi è autorizzato a vendere un dato bene o servizio. Le poste americane, ad esempio, hanno il monopolio legale della posta di prima classe (cosa che i libertari non mandano giù); dunque, applicando il ragionamento della Wolfe a difesa dei proprietari di immobili, chi acquista un francobollo ne “accetta” in maniera “consenziente” il prezzo imposto.

Il ragionamento della Wolfe è un esempio da manuale di quelle apologie del capitalismo e dell’economia ortodossa capitalista che nascondono le relazioni di potere dietro il velo dello “scambio volontario”.

Ma il cuore della questione qui è rappresentato dai “diritti dei proprietari”, se non dal concetto in sé di “proprietà”. Se andiamo a vedere, è l’origine della proprietà così come è definita nella realtà capitalista che è tutto tranne che “volontaria”.

Fin dalla rivoluzione agricola neolitica, in gran parte del mondo la terra era proprietà comune del villaggio, della famiglia estesa, del clan o di qualche altra entità collettiva. Il sistema a campi aperti dell’Europa medievale, il mir in Russia, il “modello asiatico” indiano di cui parla Marx, il giubileo di Israele nell’era prestatuale… tutte queste forme, e tante altre varianti, hanno caratterizzato gran parte del mondo per gran parte della storia fin dalla nascita dell’agricoltura.

A mettere fine a tutto ciò non è stata una qualche mitica “appropriazione pacifica di una porzione della proprietà comune tramite l’occupazione individuale” di cui parla Locke, ma un puro e semplice atto violento. L’attuale modello della “proprietà privata” capitalista (la proprietà assoluta alienabile mercificata) è una creatura del moderno stato capitalista in combutta con le classi terriere. Aiutati dal potere dello stato moderno, i feudatari riuscirono a trasformare la loro “proprietà” tradizionale, che si limitava a una rendita specifica spesso nominale, in proprietà assoluta nel senso attuale. E i contadini, privati dei tradizionali ereditari diritti di possesso e delle rendite definite dalla legge, diventarono affittuari. Insomma, quei “diritti di proprietà” che per la Wolfe sono sacri, come per “Randolph Scott” in Blazing Saddles, non sono altro che l’eredità di un furto.

Quando la terra diventa una merce fittizia (Karl Polanyi), succede che inevitabilmente diventa proprietà di pochi, i quali ne traggono una rendita. La rendita terriera è la forma originaria, paradigmatica della rendita economica, un guadagno extra rispetto alla spesa necessaria a portare una merce sul mercato, è il risultato di un potere economico. Come notano David Ricardo e Henry George, la rendita di un immobile, più che il suo valore intrinseco aggiunto ai costi degli eventuali miglioramenti, riflette i bisogni della società, ovvero di quella popolazione interessata che offre un prezzo in un’offerta limitata.

Secondo la Wolfe, la soluzione al problema degli alloggi troppo cari è sostanzialmente la panacea del movimento Yimby.

Secondo i sostenitori di Local Law 18, la causa del caro affitti di New York è negli affitti a breve. Un problema molto più grave è poi la difficoltà di costruire in una città che impone restrizioni su restrizioni onerose e che per troppo tempo ha attribuito potere di veto al movimento “not in my backyard”. E in effetti a New York gli appartamenti Airbnb sono molto meno diffusi rispetto ad altrove, come nota Scott Lincicome del Cato Institute. Nelle città servono offerte abitative differenziate a prezzi differenziati in tutti i quartieri, politiche non pianificate ma sensibili ai bisogni mutevoli del mercato.

Io non sono contro il movimento Yimby in sé, e al problema contribuiscono sicuramente le norme restrittive. Ma la soluzione cardine sta nella possibilità di costruire a prescindere dalla proprietà. Il cuore del problema è la concentrazione della proprietà immobiliare e la “proprietà privata” capitalista.

Se si vuole risolvere il problema della casa, la soluzione di fondo passa dall’abolizione della proprietà immobiliare privata capitalista per tornare alla proprietà comune. Le strategie possibili sono tante, dal land trust comunitario ai sindacati di inquilini, dallo sciopero dell’affitto all’occupazione. E finché viviamo in un mondo in cui esiste lo stato, possiamo fare pressione affinché le tasse siano meno pressanti e esose, affinché vengano tolte dalla costruzione e dai miglioramenti e spostate verso i redditi immeritati degli affitti. Così come si potrebbe eliminare lo sfratto coatto per chi occupa un alloggio inutilizzato o pignorato, o perlomeno derubricare il reato.

Quella che Liz Wolfe chiama “proprietà privata”, insomma, non è che potere statale in altra forma. Un latifondista è uno stato in scala ridotta.

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