Di Trevor Hauge. Originale: Economic Philosophy for the Self-Interested Worker, del 19 agosto 2023. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.
Di recente ho riletto Road to Revolution, di Avraham Yarmolinski, uno dei libri di storia radicale miei preferiti. L’avevo letto per caso la prima volta nel 2017: da un anno mi riconoscevo negli ideali anarchici. Pur non essendomici mai identificato, a quei tempi provavo simpatie per l’anarco-comunismo, soprattutto nelle forme del sindacalismo anarchico di Rudolph Rocker. E pur non essendomi mai allontanato del tutto dal sindacalismo anarchico, ne sono tuttora un esponente atipico perché più che ad un sindacalismo basato su un comunismo libertario aspiro ad un sindacalismo basato su un mutualismo continentale. Come molti progressisti americani, dal mio punto di vista di tipo comunista libertario accettavo la dicotomia popolare che vede nel socialismo una pseudo religione basata interamente sul sacrificio di sé e sull’altruismo e nel capitalismo un’ideologia egoista e egocentrica. Consideravo ridicola l’idea che l’uomo medio fosse un essere profondamente egoista. Leggendo A Century of Russian Radicalism di Yarmolinski ho appreso con sorpresa che questa rappresentazione dicotomica è un’invenzione moderna.
Yarmolinski descrive i vari atteggiamenti morali dei movimenti populisti. Va dal nichilismo amorale, forse vicino a Max Stirner, all’assolutismo morale dogmatico. Io non ho sentimenti nichilisti riguardo la morale. Penso che la morale e l’etica siano concetti validi. Credo che, se applicati con attenzione e parsimonia, entrambi possano dare benefici all’individuo e alla società. Penso insomma che occorra prendere cum grano salis tutto ciò che sa di assolutismo morale e più in generale di sacro. Potrei anche, in questo senso, simpatizzare per un’analisi nichilistica della morale, ma senza accettare il nichilismo in toto. Prendiamo ad esempio due atteggiamenti tipo dei populisti: quello egoista e quello pseudo religioso.
L’atteggiamento pseudo religioso:
C’erano quelli che si sentivano missionari di un nuovo vangelo, e che non senza soddisfazione annunciavano il martirio. Una giovane era fissata con l’idea che l’opera di un rivoluzionario è più efficace quando soffre per la causa. Uno dei partecipanti al movimento racconta di aver visto propagandisti che leggevano il Nuovo Testamento. Nella sede centrale di un piccolissimo gruppo, i cui appartenenti erano i primi a ‘recarsi presso le genti’, c’era una croce di legno su una mensola. Fantasticavano di una nuova fede che avrebbe infuso coraggio negli intellettuali e portato i sentimenti religiosi delle masse a sposare le idee rivoluzionarie. Lavrov spiega che gli agitatori non volevano qualcosa di valore pratico, ma semplicemente fare un podvig, un atto di abnegazione e di valore spirituale. A quei tempi, scrive, il populismo ricordava più una setta religiosa che un partito politico.
Ho conosciuto molti socialisti che hanno finito per adottare questa forma di pensiero. li trovo insopportabili. L’aspetto più ironico è che allontanano le simpatie dei loro adorati lavoratori predicando la morale invece di attirarli promettendo più soldi in busta paga e più libertà personale. Non vedono persone con interessi reali, ma futuri adepti di una nuova fede. Il succo, dice Lavrov, è che ironicamente si arriva a una sorta di gratificante martirio. Assumono così l’atteggiamento paterno di un despota illuminato, più che di un egotista illuminato. Si considerano arbitri della morale e del bene ma diventano messaggeri dell’immoralità e della disperazione. Voglio dire che solitamente si finisce per adottare una visione in bianco a nero che poi, non a caso, sfocia in un nichilismo di gran lunga peggiore di quello a cui potrebbe giungere un “libertino” egocentrico e egoista. Siamo al nichilismo di Nechayev o di Machiavelli, quello del fine che giustifica i mezzi, dove il popolo non è popolo ma una semplice espressione della “massa”, da cui può essere separato perché non corrompa l’intero organismo sociale. Se sei pronto a gettare via la tua vita per la gloria della “rivoluzione” (un concetto astratto), cosa sei disposto a fare contro quelli che ostacolano il tuo cammino?
Per contrasto, vediamo cosa dice Yarmolinski dell’egotismo illuminato di Černyševskij:
al fine di perseguire il proprio interesse, una persona dev’essere libera operare ma deve anche sapere dove si trova, il proprio interesse. Černyševskij attribuiva la massima importanza alla conoscenza come strumento per il bene. La gente è malvagia, pensava, perché non sa che evitare il male va a loro vantaggio. Egoismo illuminato era la sua parola chiave. L’egoismo illuminato, sosteneva, preclude azioni antisociali grettamente egoiste. Porta, spontaneamente e senza sforzo, l’individuo a identificare la propria felicità con la felicità di tutti, il vantaggio personale con il bene universale. Černyševskij diceva inoltre che l’uomo, poiché fa parte dell’ordine naturale, è una creatura di circostanze, formato eticamente dalla società. Per questo la responsabilità morale, in ultima istanza, si trova lì.
Černyševskij ha i suoi problemi, primo tra i quali il fatto di essere contro le transazioni di mercato di qualunque genere. Non sempre, poi, dalle idee passava al loro fine logico, a volte diventava zelante e feroce come le sue controparti dalla mentalità religiosa. Non lo metto su un piedistallo, non più di quanto non faccia con Karl Marx, Proudhon o Bakunin. Come tutti i grandi pensatori, ispirò un’ampia varietà di persone: da Vladimir Lenin a Emma Goldman, e qualcuno dice anche Ayn Rand. Essendo nato in Russia, sono tra quelli che ci vedono un ispiratore della Rand, che probabilmente conosceva bene le sue opere.
Spesso i commentatori politici occidentali descrivono il socialismo come l’economia dell’altruismo e il capitalismo come l’economia dell’interesse personale. È opinione comune della nostra epoca, quasi un dato scontato, che al centro dell’uomo stia l’interesse personale. Ne segue logicamente che “l’uomo è egoista e di conseguenza l’economia deve basarsi sull’interesse personale.” Bè, io non credo che il capitalismo sia l’unica forma economica compatibile con l’interesse personale. Credo che lo stesso valga anche per il socialismo, solo che si tratta dell’interesse personale della classe lavoratrice e non della classe padronale. Visto che la maggior parte degli uomini appartiene alla classe lavoratrice, il socialismo, in qualsivoglia forma, rappresenterebbe l’interesse personale di una parte della popolazione molto più grande di quella rappresentata dal capitalismo. Come spiego nel mio libro, il socialismo è in grado di rappresentare l’interesse personale molto più del capitalismo. È questo il nocciolo di verità che voglio estrarre dall’ideologia di Černyševskij. Credo che sia molto più convincente l’idea di un socialismo basato sull’interesse reciproco dei lavoratori di qualche altisonante ideale morale pseudo religioso.
Il fatto è che c’è lavoratore e lavoratore. In senso reale e metaforico. Valori culturali e morali cambiano. È l’interesse economico ad unirli, non ciò in cui si crede individualmente: è questa secondo me la base solida del socialismo. Se riusciamo a far sì che si riconosca questo semplice fatto, la gente potrebbe cominciare a vedere l’individuo laddove prima vedeva l’“altro”. Si potrebbero così superare i dogmi morali e i pregiudizi personali retaggio della società in cui si è nati. Se invece ci avviciniamo alla gente con un atteggiamento morale paternalistico si rischia di allontanarli prima ancora di iniziare. Questo non significa che possiamo convincere tutti promettendo benessere materiale e libertà: chi crede davvero nei dogmi reazionari è votato al martirio tanto quanto il rivoluzionario religioso. Entrambi sono disposti a gettarsi sul rogo per testimoniare la propria fede. Ma è proprio questo l’atteggiamento da evitare. Non servono fedelissimi, che sono persone che in genere non fanno che passare da un credo violento a un altro.
Altro vantaggio di un socialismo basato su un egoismo illuminato è il fatto di non non avere eroi. Nessuno va a predicare “alle genti”. Il dialogo è tra pari. Non c’è da prendere nessun potere per realizzare la magia utopica sulla loro pelle, perché il socialismo in questo senso non è un fine in sé ma lo strumento che permette di arrivare a un fine, che è il benessere materiale di tutti. Portato alla sua conclusione logica, questo genere di socialismo escluderebbe tutti quei percorsi che comportano una sofferenza di massa nel nome di un ipotetico vangelo rosso. Dopotutto, un socialismo che porta alla servitù e all’immiserimento dell’individuo si condanna da sé, e noi non lo vogliamo. Dobbiamo perciò vedere in ogni lavoratore un individuo che ha un interesse personale. Possiamo arrivare alla libertà reciproca e al benessere materiale tramite la cooperazione democratica tra i lavoratori, la libera associazione e l’abolizione dello stato.
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