Gaza: “Non è il Momento”, “Equivalenza Morale”, “Liberalismo”

Di Kevin Carson. Originale: On Gaza: “Now Is Not the Time”, “Moral Equivalency”, and “Liberalism”, del 26 ottobre 2023. Traduzione di Enrico Sanna.

L’“Equivalenza morale” è l’unica alternativa al nichilismo

Subito dopo l’attacco terroristico del sette ottobre, il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato:

Per quanto riguarda l’esercito, c’è poca differenza tra civili e Hamas, che governa il territorio assediato dal 2007. “Dice il falso chi dice che i civili non sanno o non sono coinvolti,” ha detto Herzog durante una massiccia campagna di bombardamenti per vendicare il massacro di civili israeliani della settimana scorsa. “Avrebbero potuto insorgere e combattere il regime del male che si è impadronito di Gaza con un colpo di stato.”

Per inciso, le parole di Herzog sono particolarmente ciniche dato non solo il ruolo del governo israeliano nel sostenere Hamas agli inizi, ma anche il fatto che sia Netanyahu che il Likud hanno visto con favore l’avvento al potere di Hamas.

Quando dice che la popolazione civile è responsabile delle azioni dei loro capi, e quando parla di guerra totale perché tutta la popolazione è composta da combattenti, Herzog ricorda i ragionamenti fatti per giustificare il bombardamento americano di Dresda e Tokyo, così come le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non a caso un altro israeliano, il professor Yaron Zelicha, leader dell’estremista New Economic Party ha detto: “La fine di questa guerra per Gaza è come la fine della seconda guerra mondiale per Dresda. Si tratta di nazisti in entrambi i casi.”

Specularmente, Hamas giustifica l’assassinio e il rapimento di civili (compresi bambini) israeliani dicendo che sono responsabili dei crimini del loro stato.

Da quando c’è stato l’attacco terrorista di Hamas ed è iniziato l’attacco brutale di Israele contro Gaza, in occidente è riaffiorato il concetto di “equivalenza morale”. L’espressione risale al più tardi all’ambasciatrice americana all’Onu, la neoconservatrice Jeanne Kirkpatrick, che, rispondendo a chi condannava come immorali le infinite invasioni, i bombardamenti a tappeto, il sostegno ai golpe, ai golpisti militari e agli squadroni della morte da parte degli Stati Uniti, dal Guatemala all’Indonesia al Cile, rispose accusandoli di fare “equivalenza morale” perché ponevano sullo stesso piano il “pompiere” americano e il “piromane” sovietico. Parimenti, secondo i sostenitori dell’apartheid israeliano non si possono mettere sullo stesso piano gli accidentali “danni collaterali” dell’“esercito più giusto al mondo”, nonché della “unica democrazia in Medio Oriente”, e il terrore deliberato di un nemico che, come diceva Orwell, è composto da “minacciosi selvaggi il cui unico punto d’onore è l’atrocità.”

Se poi qualcuno avanza l’ipotesi che alla violenza irrazionale potrebbero aver contribuito la rabbia e la frustrazione accumulata in settantacinque anni di occupazione straniera, il fatto di essere stati sfrattati dalle proprie città e villaggi in tutta la Palestina, di essere rinchiusi in campi profughi, di vedere anche ciò che resta della Cisgiordania distrutto con i bulldozer dagli occupanti, e di essere costretti a vivere in quella prigione a cielo aperto che è Gaza… bè, questo “non è il momento” di parlare di queste cose. E “non è il momento” di parlare dell’inettitudine di Netanyahu nel passato recente (così come non era il momento di parlare dell’inettitudine di Bush dopo l’undici settembre).

A guerra in corso, non è mai il momento giusto per indagare sulle cause profonde di una guerra, o per chiedersi se per caso la politica dello stato ha contribuito direttamente alla situazione. È invece il momento giusto per stare uniti dietro ai leader, per sostenere le truppe, sventolare la bandiera e fare il buon tedesco (o americano o israeliano). Possiamo anche non discutere le cause di fondo, possiamo tacere sul fatto che i vertici politici non cambiano politica nonostante le loro scelte scatenino reazioni che diventano guerre sanguinose che durano dieci, vent’anni, fino a diventare argomento accademico che interessa soltanto alcune frange dell’estrema sinistra. Ma dobbiamo tacere immediatamente se le reazioni contro l’azione dello stato sfociano in un’altra guerra.

A questi si aggiungono quei marxisti leninisti, anarchici e altri a sinistra che accusano di “equidistanzismo” chi condanna il terrorismo di Hamas contro bambini e civili, rispondono con arroganza che “i coloni non sono mai civili”. Così che chiunque nel nome di una morale universale ipotizzi che uccidere qualsiasi bambino sia sbagliato, semplicemente perché è un bambino, ecco che viene sprezzantemente accusato di essere un “liberale” o un “borghese”.

In realtà, il momento è sempre. Quando lo stato marcia verso una nuova guerra che scatenerà una lunga serie di rappresaglie, quello è il momento di chiederci se non è per caso la politica dello stato ad averci condotto fin lì, e di chiederci anche cosa dobbiamo fare per evitare tutte le guerre infinite che ci infliggiamo da soli: infinite, certo, perché a differenza di Bill Murray in Ricomincio da capo, non riusciamo mai ad imparare dalle conseguenze di ciò che lo stato fa in nome nostro.

L’unica alternativa alla “equivalenza morale” è il nichilismo morale. O giudichiamo le azioni di “entrambe le parti” secondo uno standard valido per tutti, o non abbiamo niente su cui basare un qualunque standard morale.

C’è poi chi pensa che non si può condannare tout-court, in quanto male in sé, l’uccisione di bambini, figli di coloni o no, perché questo è “borghese” o “liberale”. Se non esistono standard morali universali, su quale standard obiettivo si può condannare lo sfruttamento economico o il colonialismo? Una persona la cui morale e i cui sentimenti cambino a seconda che un bambino muoia a Gaza o in un kibbutz può, secondo me, essere definita solo “disumana”.

I valori liberali e la sinistra

Confesso di non aver mai capito la mentalità di quelle persone di sinistra per le quali l’insulto peggiore è “liberale”.

Da anarchico e socialista, non so cosa farmene del “liberalismo classico”, ovvero di quell’ideologia che prende alla lettera un insieme di diritti umani (libertà di parola, giusto processo, “proprietà privata” e “libertà di contrattare”) e afferma che tutti sono “liberi” fintanto che questi diritti sono formalmente riconosciuti validi per tutti, ma non tiene conto delle differenze di classe, della violenza di sfondo o delle disuguaglianze strutturali di forza. Questo “liberalismo” è sempre stato un’ideologia legittimante che cerca di nascondere le vere disuguaglianze dietro il paravento dei “diritti universali”.

È un liberalismo che può essere criticato in molti modi, a seconda della nostra posizione rispetto ad esso.

Sbagliato è ripudiare il liberalismo, o una qualunque forma di umanesimo, perché “borghese”. Questo accade soprattutto tra i giovani attivisti che ancora non sanno vedere le sfumature, o nei social tra i comunisti del genere più volgarmente stalinista. Credo che per loro ogni espressione di umanità, gioia di vivere, sensibilità estetica o morale che vada oltre le schiere di lavoratori che vediamo nel film Metropolis sia “borghese”.

È più corretto riconoscere che socialismo e liberalismo hanno radici comuni che affondano nell’umanesimo illuminista. È così, e non ripudiando i valori dichiarati del liberalismo, che il socialismo può trascendere e far diventare reali quegli stessi valori, portando i proclami liberali ad un livello più alto e rendendo reale la loro pretesa universalità.

Oggi i marxisti volgari liquiderebbero anche Marx come “liberale” se leggessero alcune sue citazioni in forma anonima. Marx denuncia spesso la realtà capitalista riguardante gran parte della popolazione perché smentisce le promesse del liberalismo borghese, promesse che solo una società socialista e comunista è in grado di realizzare universalmente. Un esempio: il capitalismo, che santifica il diritto alla “proprietà privata”, nasce privando la stragrande maggioranza della popolazione del diritto di usare la terra, togliendo loro quella sicurezza e indipendenza economica che derivano da quello stesso diritto. Per gran parte della popolazione, il diritto della “proprietà privata” era solo teorico: vivevano in case che non appartenevano a loro e la loro sopravvivenza dipendeva da chi dava loro un lavoro. E per quei pochi capitalisti che li avevano espropriati, i mezzi di produzione erano collettivizzati, nel vero senso della parola, e posti sotto il controllo di un numero sempre più piccolo di aziende sempre più grandi. Ma è con una classe lavoratrice emancipata e l’istituzione di una società di produttori associati (espressioni che suoneranno sicuramente “borghesi” agli orecchi dei vecchi comunisti) che i lavoratori possono riappropriarsi degli strumenti della propria vita e raggiungere così quelle condizioni di vita che i liberali possono solo promettere.

Ralph Miliband, marxista, considerava inutili quei marxisti che dicevano no per principio alle libertà civili “borghesi”, o quegli stalinisti per i quali i diritti economici erano un sostituto delle libertà civili e non un complemento. Per Miliband, diritti politici e giusto processo, due diritti acquisiti nelle democrazie parlamentari borghesi, rappresentavano la base da cui partire, non qualcosa da eliminare, da affiancare semmai a forme di emancipazione economica in grado di rendere reale la libertà e la capacità d’azione di tutti. Così scrive in The State in Capitalist Society:

È vero che le libertà civili e politiche delle ‘democrazie borghesi’ hanno carattere contingente, e che, come è stato doverosamente notato, alcune di queste libertà sono solo il paravento del dominio di classe, ma resta il fatto che molti altri sono stati gli elementi vitali importanti nelle società capitaliste avanzate; e che hanno influito materialmente sul rapporto tra stato e cittadino e tra classi dominanti e subordinate. È segno di pericolosa confusione credere e affermare che le ‘libertà borghesi’ sono inutili perché inadeguate e minacciate costantemente dall’erosione. Nonostante i limiti enormi e le ipocrisie, c’è un abisso tra la ‘democrazia borghese’ e le varie forme di dispotismo conservatore, soprattutto di tipo fascista, che hanno rappresentato l’alternativa al regime politico proprio del capitalismo sviluppato. Se si vuole fare una critica socialista delle ‘libertà borghesi’, il punto non è (o non dovrebb’essere) che sono inutili, ma che sono ampiamente insufficienti, e che pertanto devono essere ampliate trasformando radicalmente il contesto economico, sociale e politico che le condanna all’inefficacia e all’erosione.

In un certo senso, secondo Miliband il movimento socialista aveva come fine non eliminare ma salvare e preservare la libertà borghese. Il rafforzamento crescente della lotta di classe e della crisi economica della società capitalista significava che, in un’ottica capitalista, le classi di governo erano state costrette ad abbandonare il liberalismo borghese e adottare il dispotismo al fine di sopravvivere.

Per quanto mi riguarda, il liberalismo non lo amo ma neanche lo butto via. Piuttosto vorrei che il movimento anarchico, e quello socialista in generale, accogliessero e esaltassero il meglio del liberalismo; dobbiamo essere noi a portare avanti tutto ciò che vale la pena preservare del lascito liberale. È con questo spirito che dico che questo è il momento di denunciare gli abusi di potere, da qualunque parte provengano. Le azioni di ognuno, non importa chi è, devono essere giudicate secondo un unico standard morale.

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