Il Pugno di Ferro Dietro la Mano Invisibile

Originale: Kevin A. Carson, The Iron Fist Behind the Invisible Hand. Versione italiana di Enrico Sanna.
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Il Capitalismo Corporativo Come Sistema di Privilegi Garantito dallo Stato

INTRODUZIONE

Le grandi proprietà terriere feudali, come è universalmente riconosciuto, nacquero dalla rapina e dall’usurpazione; una classe dirigente si installò con la forza e poi costrinse i contadini a lavorare per il profitto dei loro signori. Nessun sistema di sfruttamento, capitalismo compreso, è mai stato creato dall’azione del libero mercato Alle basi del capitalismo ci fu un atto di rapina di dimensioni paragonabili a quelle del feudalesimo. A tenerlo in piedi, fino ai giorni nostri, è l’intervento dello stato, che protegge il suo sistema di privilegi e senza il quale la sua sopravvivenza sarebbe inimmaginabile.

L’attuale struttura su cui si basa la proprietà del capitale e l’organizzazione della produzione nella nostra cosiddetta economia di “mercato”, riflette l’intervento coercitivo dello stato, che è antecedente e estraneo al mercato. Fin dai primi giorni della rivoluzione industriale, quello che oggi si chiama nostalgicamente “laissez-faire” era in realtà un sistema in cui lo stato interveniva per incentivare l’accumulazione, garantire i privilegi e mantenere la disciplina sul posto di lavoro.

I tradizionali libertari di destra considerano tacitamente gran parte di questo intervento parte del sistema di “mercato”. Tolta qualche persona intellettualmente onesta, come Rothbard e Hess, che teneva conto del ruolo che ebbe la coercizione nella creazione del capitalismo, la scuola di Chicago e i seguaci di Ayn Rand danno per scontate le attuali relazioni di proprietà e il potere di classe. Il loro “libero mercato” ideale è semplicemente il sistema attuale privato dei regolamenti progressisti e dello stato sociale: ovvero, il capitalismo dei baroni di rapina dell’ottocento.

Per un libertario di sinistra, però, il vero mercato ha un suo valore, e non dovremmo mai concedere il termine ai nostri nemici. In effetti il capitalismo – un sistema di potere in cui proprietà e controllo sono divorziati dal lavoro – non potrebbe sopravvivere nel libero mercato. Come anarchico che crede nella mutualità, penso che l’espropriazione del valore aggiunto – cioè il capitalismo – non possa avvenire senza la coercizione dello stato che tutela i privilegi dell’usurario, del possidente terriero e del capitalista. Per questo l’anarchico di libero mercato Benjamin Tucker – a cui i libertari di destra attingono selettivamente – si considerava un socialista libertario.

Non è né nelle mie capacità, né è mio proposito, dire come avrebbe potuto svilupparsi un sistema di vero mercato senza l’intervento dello stato. Un mondo in cui i contadini mantengono le proprie terre e la proprietà è ampiamente distribuita, il capitale è a disposizione dei lavoratori attraverso banche cooperative, le tecnologie produttive sono disponibili liberamente e ovunque senza brevetti, tutti sono liberi di svilupparsi in loco senza la rapina colonialista… Come sarebbe questo mondo va oltre la nostra immaginazione. Sarebbe, comunque, un mondo in cui la produzione è decentrata e diretta all’uso locale, posseduta e controllata da chi lavora, un mondo diverso da quello di oggi come il giorno dalla notte, o la libertà dalla schiavitù.

IL SUSSIDIO DELLA STORIA

Di conseguenza, l’unico grandissimo sussidio al moderno capitalismo corporativo è il sussidio che ha avuto dalla storia, che permise al capitale di accumularsi in poche mani, e negò ai lavoratori l’accesso ai mezzi di produzione, costringendoli a vendersi ai termini stabiliti dal compratore. L’attuale sistema, basato sulla proprietà concentrata del capitale e un sistema imprenditoriale strutturato su larga scala, è il beneficiario diretto di strutture di potere e di una distribuzione della proprietà che si sono perpetuate nel corso dei secoli.

Perché nascesse il capitalismo come lo conosciamo noi oggi, era essenziale prima di tutto che il lavoro fosse separato dalla proprietà. Marxisti e altri economisti radicali solitamente chiamano questo processo “accumulazione primitiva”. “Ciò che il capitalismo esigeva era… la degradazione a condizioni di quasi servilismo delle masse, la trasformazione dei loro corpi in mercenari e dei loro mezzi di produzione in capitale.” Questo significava l’espropriazione della terra, “sulla quale [il contadino] vanta lo stesso diritto del signore feudale.1.

Per comprendere le dimensioni del processo, dobbiamo capire che i diritti che in un’economia feudale la nobiltà aveva sulle terre erano una finzione legale feudale derivante dalla conquista. Il contadino che coltivava la terra nell’Inghilterra del 1650 discendeva da persone che avevano occupato quella terra fin da tempi remoti. Secondo tutti gli standard morali, era la loro terra nel vero senso della parola. Le armate di Guglielmo il Conquistatore, con il solo diritto che derivava dalla forza, avevano costretto questi contadini a pagare l’affitto per poter usare le loro terre.

J. L. e Barbara Hammond descrivono il sistema dei campi aperti del sedicesimo secolo come un vestigio della libera società contadina di epoca anglosassone a cui si è sovrapposto il feudalesimo terriero. Per le famiglie di elevata condizione sociale i diritti dei contadini erano un impedimento al progresso e ad un’agricoltura efficiente; il modo per vincere la resistenza dei contadini passava attraverso una rivoluzione dei loro poteri. Così la comunità agricola fu “fatta a pezzi… e rifatta così come un dittatore rifà un governo libero.”2.

Quando i Tudor diedero alla nobiltà le terre espropriate ai monasteri, la prima “cacciò via, in massa, i subaffittuari e unificò le sue proprietà.3. Questo furto terriero, circa un quinto di tutta la terra coltivabile d’Inghilterra, fu la prima espropriazione della proprietà contadina su larga scala.

Un altro grosso furto di terre contadine avvenne con la “riforma” fondiaria votata dal Parlamento della Restaurazione nel diciassettesimo secolo. L’aristocrazia abolì il diritto di possesso feudale e convertì i propri beni fondiari, che fino ad allora erano stati “un semplice diritto feudale”, in “diritti secondo la moderna proprietà privata”. Così abolirono i diritti di possesso dei copyholder (proprietari di terre soggette a diritti particolari). Secondo il diritto feudale questi erano affittavoli de iure, ma con il pagamento di un piccolissimo riscatto, determinato secondo consuetudine, diventavano padroni della terra, liberi di venderla o lasciarla in eredità. In pratica, il diritto di possesso di cui godeva un copyholder era l’equivalente, in termini feudali, della proprietà fondiaria assoluta; ma poiché derivava dalla consuetudine era valido soltanto nell’ambito della proprietà terriera feudale. Con la “riforma”, i copyholder divennero affittavoli a tutti gli effetti, che potevano essere privati della proprietà o tassati nella misura che il loro signore riteneva adeguata4.

Un’altra forma di esproprio, iniziata nel tardo medioevo e cresciuta drasticamente durante il diciottesimo secolo, fu l’appropriazione delle common (proprietà fondiarie comuni); il diritto assoluto di possesso che i contadini avevano su queste terre era né più né meno come quello che oggi viene difeso dai sostenitori del “diritto di proprietà”. Senza contare le appropriazioni fatte in precedenza, gli Hammond stimano che il totale delle terre appropriate durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo ammonti ad un sesto o un quinto del totale delle terre inglesi coltivabili5. Secondo E. J. Hobsbawm e George Rude, solo tra il 1750 e il 1850 queste appropriazioni convertirono “qualcosa come un quarto delle terre coltivate da campi aperti, proprietà comuni, pascoli e terre incolte, in terreni privati. …”6.

Le classi di governo consideravano i diritti che i contadini vantavano sulle common una fonte economica indipendente dal capitalismo e dal feudalesimo, e pertanto una minaccia da distruggere. Le appropriazioni eliminarono “un pericoloso focolaio di indisciplina”, e costrinsero i lavoratori a vendere il proprio lavoro ai termini stabiliti dai padroni. Arthur Young, possidente del Lincolnshire, descrisse le common come “terreno fertile per i ‘barbari’, ‘nutrice di una perfida razza’.” “Tutti tranne gli idioti sanno,” scrisse, “che le classi inferiori devono essere tenute in povertà, o non saranno mai diligenti.” La rivista The Commercial and Agricultural Magazine avvertiva nel 1800 che lasciare ad un bracciante “più terra di quella che la sua famiglia può coltivare durante il pomeriggio” dava come risultato che “il proprietario dell’azienda non può più confidare sulla costanza del suo lavoro.7. Sir Richard Price commentò la conversione dei proprietari terrieri autosufficienti in “uomini che si guadagnano appena da vivere lavorando per gli altri.” Ci sarebbe stato “forse più lavoro, perché saranno obbligati.”8.

Marx cita le “leggi sulle espropriazioni” fatte dal parlamento come prova del fatto che le common, lungi dall’essere “proprietà privata dei grossi proprietari terrieri che hanno preso il posto dei signori feudali,” richiedeva in realtà un “colpo di stato parlamentare… perché si tramutasse in proprietà privata.9. Il processo dell’accumulo originale, in tutta la sua brutalità, è stato riassunto dallo stesso autore:

questi nuovi liberti [o ex servi] diventarono venditori di se stessi solo dopo essere stati derubati di tutti i mezzi di produzione, e di ogni garanzia di sussistenza che il mondo feudale aveva dato loro. La storia di tutto ciò, il loro esproprio, è scritto negli annali del genere umano a lettere di fuoco e sangue10.

Ma anche così la classe lavoratrice manteneva ancora qualche potere. Lo stato allora regolò il movimento del lavoro, agendo come ufficio di collocamento a vantaggio dei capitalisti, e mantenendo l’ordine. Il sistema con cui i distretti rurali regolavano i movimenti delle persone, servendosi della legislazione sui poveri e il vagabondaggio, ricorda il sistema di passaporti interni del Sudafrica, o le leggi razziali dopo la guerra civile americana. Tutto ciò “ebbe lo stesso effetto sui braccianti agricoli inglesi,” scrive Marx, “che l’editto del tartaro Boris Godunov ebbe sui contadini russi.11. Adam Smith arrivò a dire che non c’era “un quarantenne in Inghilterra… che non sia stato crudelmente oppresso, in qualche momento della sua vita, da questa malcelata legislazione.12.

Lo stato mantenne la disciplina sul posto di lavoro impedendo ai lavoratori di votare con i propri piedi. Era difficile convincere le autorità di distretto a rilasciare un permesso per poter andare a cercare lavoro in un altro distretto. I lavoratori erano costretti a stare dove erano e contrattare le condizioni di lavoro in un mercato favorevole al compratore13.

A prima vista, questo sembrerebbe un inconveniente per quei distretti con carenza di manodopera14. Le fabbriche erano vicine ai corsi d’acqua, da cui traevano energia, e dunque generalmente lontane dai centri abitati. Bisognava importare migliaia di lavoratori da luoghi lontani. Lo stato veniva in aiuto facendo da intermediario, rifornendo i distretti a corto di manodopera con lavoratori che venivano da altrove, privando così i lavoratori stessi della possibilità di contrattare condizioni di lavoro migliori. Nacque un mercato fiorente di bambini lavoratori, che non avevano alcuna possibilità di contrattare le condizioni di lavoro.15.

Raramente i distretti ricevevano [aiuti] se non dichiaravano prima il diritto esclusivo di disporre, a proprio piacimento, dei figli di tutti coloro a cui andavano questi aiuti,” per dirla con le parole del Comitato per l’Apprendistato di Distretto nel 181516. Anche quando i membri delle commissioni per l’assistenza ai poveri incoraggiavano le migrazioni verso i distretti più poveri, facevano in mondo che gli uomini adulti rimanessero fuori e “Davano la preferenza alle ‘vedove con famiglia numerosa o agli artigiani… con famiglia numerosa’.” A ciò si aggiunga il fatto che le commissioni usavano questa disponibilità di manodopera a basso costo per trascinare i salari verso il basso: i proprietari delle aziende agricole scaricavano i lavoratori a giornata e chiedevano aiuto alle commissioni17.

Sebbene le Combination Laws (leggi che regolavano le associazioni di lavoratori) in teoria riguardassero sia i padroni che i lavoratori, in pratica non venivano applicate contro questi ultimi18. “A Journeyman Cotton Spinner” – un pamphlet citato da E. P. Thompson19 – descrive “l’abominevole cospirazione esistente tra padroni”, che si mettevano d’accordo tra loro per mettere in una lista nera quei lavoratori che avevano lasciato il posto di lavoro per disaccordi sul salario. Queste leggi obbligavano le persone sospette a rispondere sotto giuramento, e davano al giudice il potere di emanare giudizi sommari e di requisire altrettanto sommariamente i fondi messi da parte per aiutare le famiglie degli scioperanti20. Oltre a ciò, c’erano leggi che imponevano un tetto massimo alla paga, con l’effetto di sancire una sorta di cospirazione tra padroni. Come dice Adam Smith, “[q]uando i legislatori cercano di regolare le differenze tra i padroni e i loro lavoratori, i loro consiglieri sono sempre i padroni.21.

La vita della classe lavoratrice in un mondo industriale, con le sue nuove forme di controllo sociale, rappresentò una rottura completa con il passato. Significò una perdita drastica di controllo sulla propria attività. Il calendario lavorativo del diciassettesimo secolo era ancora influenzato pesantemente dalla tradizione medievale. Anche se occasionalmente c’erano lunghe giornate di lavoro tra la semina e la raccolta, periodi intermittenti di lavoro leggero e la proliferazione delle festività si combinavano per ridurre la giornata lavorativa ben al di sotto della nostra. Il ritmo del lavoro era generalmente determinato dal sole o dai ritmi biologici del lavoratore, che si alzava alla fine di una decente notte di sonno e si sedeva a riposare quando ne sentiva il bisogno. L’abitante del villaggio che aveva accesso alle common, o terre comuni, anche quando aveva un secondo lavoro, aveva il diritto di lavorare occasionalmente per poi tornare al lavoro di prima quando voleva. Da un punto di vista capitalistico, questo grado di indipendenza era inaccettabile.

Nel mondo moderno la maggior parte delle persone dovevano adattarsi a qualche forma di disciplina, e osservare le tabelle di marcia decise da altri… o lavorare agli ordini di altri, ma dobbiamo ricordare che quelli che finivano sotto il ritmo brutale delle fabbriche prima di allora si erano guadagnati da vivere in condizioni di relativa libertà, e che la disciplina presente nelle prime fabbriche era particolarmente selvaggia. … Nessun economista del tempo, nel fare una stima dei ricavi e delle perdite degli operai, avrebbe mai tenuto conto della violenza psicologica subita da un uomo che passava da una vita in cui poteva fumare o mangiare, o scavare o dormire a piacere, ad una vita ingabbiata in cui per quattordici ore al giorno non poteva neanche fischiare. Era come entrare nella vita priva di aria e sorrisi di una prigione22.

Nessuno sarebbe mai riuscito ad imporre il sistema industriale sui lavoratori se prima non li avesse privati delle alternative, e se prima non avesse negato loro l’accesso a qualunque altra forma di indipendenza economica. Nessun animo integro, dotato di senso della libertà o della dignità, si sarebbe mai sottoposto alla disciplina della fabbrica. Stephen Marglin paragonò le fabbriche tessili del diciannovesimo secolo, dove lavoravano bambini poveri comprati al mercato schiavistico delle workhouse (ospizi dove i bambini poveri del distretto rurale ricevevano da mangiare a da dormire in cambio del lavoro, ndt), alle fabbriche di mattoni e laterizi dell’antica Roma in cui lavoravano gli schiavi. A Roma, dove la produzione era affidata agli uomini liberi, le fabbriche erano un’eccezione. Nel corso della storia, è stato possibile mettere su il sistema industriale solo privando la forza lavoro di alternative praticabili.

Stando a quello che sappiamo… pare che ai tempi dell’antica Roma l’organizzazione del lavoro su basi industriali fosse determinata non da considerazioni di ordine tecnologico, ma dal potere relativo delle due classi produttive. Liberti e cittadini avevano abbastanza potere da tenere in piedi una sorta di corporazione. Gli schiavi non avevano alcun potere; e finivano nelle fabbriche23.

Il problema del vecchio sistema del “lavoro a domicilio”, in cui i lavoratori dei villaggi lavoravano su basi contrattuali, era che eliminava solo il controllo che il lavoratore aveva sulla produzione. Nelle fabbriche, con l’eliminazione del controllo del lavoratore sul processo produttivo si aveva il vantaggio della disciplina e della supervisione: i lavoratori erano organizzati sotto il controllo di un guardiano.

le origini e il successo del sistema industriale non sono nella superiorità tecnologica, ma nel fatto che non è più il lavoratore a controllare il processo lavorativo e la quantità prodotta, ma il capitalista. Il lavoratore non era più libero di scegliere quanto lavorare e quanto produrre, secondo le sue preferenze in fatto di tempo a disposizione e volontà di lavorare; era solo libero di scegliere se lavorare o meno, che ovviamente non era un granché come libertà di scelta.

Marglin prese il classico esempio di Adam Smith della divisione del lavoro che occorre per produrre un ago, e lo invertì. L’aumento dell’efficienza risultava, non della divisione del lavoro in sé, ma della divisione e organizzazione in sequenza delle fasi lavorative al fine di ridurre i tempi di organizzazione. Un solo lavoratore a domicilio avrebbe potuto fare la stessa cosa separando le varie fasi lavorative e compiendole in sequenza (ad esempio: produzione del filo per un intero lotto di produzione, raddrizzamento, taglio, eccetera).

senza specializzazione, il capitalista non aveva alcun ruolo essenziale nel processo produttivo. Se ogni produttore avesse potuto compiere tutte le fasi produttive della produzione di aghi fino al prodotto finito, avrebbe scoperto che poteva entrare nel mercato degli aghi senza intermediazioni. Avrebbe potuto vendere direttamente e appropriarsi il profitto che il capitalista derivava dal fatto di essere un mediatore tra produttore e mercato.

Da due secoli, questo principio è al centro della storia della tecnologia industriale. Anche considerando la necessità di una fabbrica di avere una produzione su larga scala e con grossi capitali, solitamente si può scegliere tra tecnologie produttive alternative all’interno della stesso stabilimento. L’industria, con coerenza, ha puntato su tecnologie che non richiedono particolari capacità del lavoratore, spostando le decisioni verso i piani alti delle gerarchie manageriali. Già nel 1835, Dr. Andrew Ure (padre ideologico del taylorismo e del fordismo) arguì che più il lavoratore era capace e “più era dotato di volontà autonoma e… minori erano le probabilità che diventasse un componente di un sistema meccanizzato”. La soluzione fu un processo che eliminasse “le qualità innate e la destrezza manuale… del lavoratore capace” per sostituirle con un “meccanismo capace di regolarsi da sé, manovrabile anche da parte di un bambino.24. Questo principio fu seguito durante tutto il ventesimo secolo. William Lazonick, David Montgomery, David Noble e Katherine Stone hanno prodotto un ottimo lavoro sull’argomento. Anche se esperimenti aziendali sull’autogestione del lavoratore incrementano il morale e la produttività e riducono infortuni e assenteismo più di quanto i manager possano sperare, solitamente questi esperimenti non approdano a nulla per paura di perdere il controllo.

Christopher Lasch, nella sua introduzione a America by Design, di Noble, descrive così il processo di svalutazione delle capacità:

Il capitalista, dopo aver espropriato la proprietà del lavoratore, si accinse ad espropriarlo anche delle sue conoscenze tecniche, rivendicando sé il potere sulla produzione. …

Il fatto che il lavoratore fosse espropriato delle conoscenze tecniche ebbe come conseguenza logica l’ascesa della moderna dirigenza e la concentrazione delle conoscenze tecniche. Così mentre la tendenza verso una gestione su basi scientifiche spezzettò la produzione nelle sue singole componenti procedurali, riducendo il lavoratore ad una semplice appendice della macchina, crebbe enormemente il personale tecnico e di supervisione che aveva il compito di controllare l’intero processo produttivo25.

L’esproprio del mondo contadino e l’imposizione del lavoro in fabbrica non avvenne senza resistenze; i lavoratori sapevano esattamente cosa stava accadendo loro e cosa perdevano. Durante l’ultimo decennio del diciottesimo secolo, mentre gli scritti dei giacobini e di Tom Paine si diffondevano tra i lavoratori più radicalizzati, i governanti della “culla della libertà” vivevano nel terrore che la rivoluzione potesse sconvolgere il paese. Lo stato di polizia messo su per controllare la popolazione prese le sembianze di un esercito di occupazione. Gli Hammond citano corrispondenze tra i giudici del nord del paese e il Ministero degli Interni, in cui la legge appare “non come strumento di giustizia ma di repressione,” e in cui le classi lavoratrici “appa[rivano]… chiaramente come una popolazione di iloti.26.

…a leggere i documenti del Ministero degli Interni si capisce che… alle classi lavoratrici non era attribuito nessuno dei diritti personali che si attribuivano agli inglesi. I giudici e i loro attendenti non ammettevano limiti al proprio potere di influire sulla libertà e sugli spostamenti dei lavoratori. Le Leggi contro il Vagabondaggio sostituirono virtualmente le garanzie di libertà degli inglesi. I giudici mandavano in prigione chiunque, lavoratori o lavoratrici, a loro giudizio avessero un temperamento scomodo o problematico. Usavano metodi spicci contro chi cercava di organizzare una colletta a favore di lavoratori in prigione, o contro chi disseminava scritti che la magistratura giudicava indesiderati27.

Gli “sbirri” di Robert Peel – tutori della legge professionisti – presero il posto delle milizie locali, i posse comitatus, perché queste ultime erano inadatte a fronteggiare una popolazione sempre più scontenta di lavoratori. Ai tempi dei Luddisti e di altri contestatori, gli ufficiali della corona avvertirono che “applicare la Watch and Ward Act (Legge sulla Vigilanza) significava mettere le armi nelle mani delle persone più scontente”. Quando scoppiarono le guerre con la Francia, Pitt mise fine alla pratica di acquartierare i soldati nelle locande assieme alla popolazione civile. I distretti manifatturieri erano disseminati di caserme “per pure ragioni di sicurezza”. Le aree industriali “finirono per somigliare ad un paese sotto occupazione militare”.28.

Lo stato di polizia istituito da Pitt, iniziatore della tradizione delle camicie nere e delle squadracce, era garantito da servizi di vigilanza apparentemente privati. Ad esempio, la “Associazione per la Protezione delle Proprietà contro i Repubblicani e i Livellatori” – un’associazione anti-giacobina di proprietari di fabbriche e rappresentanti dell’alta borghesia – faceva ispezioni nelle case e bruciava fantocci con le sembianze di Paine alla maniera di Guy Fawkes; e le bande “dalla parte della Chiesa e del Re” terrorizzavano le persone sospette di radicalismo29.

Thompson definisce questo sistema di controllo un “apartheid politico e sociale”, e nota come “la mancata rivoluzione inglese fu tanto devastante” quanto l’effettiva rivoluzione francese30.

Lo stato, inoltre, aiutò la crescita delle manifatture attraverso il mercantilismo. I moderni sostenitori del “libero mercato” solitamente considerano il mercantilismo il tentativo “malaccorto” di promuovere un certo interesse unico della nazione, adottato nella ingenua ignoranza dei principi economici. In realtà, gli architetti del mercantilismo sapevano bene cosa facevano. Il mercantilismo era molto efficace nella realizzazione dei suoi obiettivi: arricchire le già ricche manifatture a spese di tutti gli altri. Coerentemente, Adam Smith attaccò il mercantilismo, non come il prodotto di un errore economico, ma come un tentativo molto intelligente da parte degli interessi forti di arricchirsi usando il potere coercitivo dello stato.

Le manifatture inglesi furono create dall’intervento dello stato per tenere fuori i beni importati, dare alla marina mercantile inglese il monopolio del commercio estero, ed eliminare la concorrenza straniera con la forza. Un esempio di quest’ultimo proposito fu la distruzione da parte delle autorità inglesi in India dell’industria tessile bengalese, ai vertici mondiali per qualità. Sebbene non usassero la macchina a vapore per la produzione, molto probabilmente lo avrebbero fatto se l’India avesse mantenuto l’indipendenza politica ed economica. Il territorio un tempo prospero del Bengala oggi è compreso tra il Bangladesh e l’area di Calcutta31.

I sistemi industriali americano, tedesco e giapponese furono creati dalle stesse politiche mercantiliste, imponendo dazi massicci sui beni importati. Il “libero mercato” fu adottato dalle potenze industriali consolidate, che che si servirono della politica di “laissez-faire” come di un’arma ideologica per impedire che potenziali rivali potessero seguire la stessa strada dell’industrializzazione. Il capitalismo non è il prodotto del libero mercato, e neanche dell’azione primaria della borghesia. È il prodotto di una rivoluzione dall’alto imposta dalla classe dirigente pre-capitalista. In Inghilterra fu l’aristocrazia terriera; in Francia la burocrazia di Napoleone II; in Germania gli Junker; in Giappone i Meiji. In America, esempio più vicino ad un’evoluzione borghese “naturale”, l’industrializzazione fu portata avanti da un’aristocrazia mercantilista di ricchissimi commercianti e possidenti terrieri federalisti32.

Medievalisti romantici come Chesterton e Belloc descrivono il processo alto medievale che portò alla scomparsa progressiva della servitù, quando i contadini diventarono di fatto freeholder (titolari di un diritto di proprietà fondiaria assoluta, ndt) pagando un piccolo riscatto. Il sistema di classi feudali si stava disintegrando, sostituito da un sistema più libertario e meno incline allo sfruttamento. Secondo Immanuel Wallerstein, il risultato più probabile sarebbe stato “un sistema di piccoli produttori relativamente eguali tra loro, cosa che avrebbe ulteriormente abbassato il potere dell’aristocrazia e decentrato le strutture politiche.” Verso il 1650 la tendenza fu invertita, e “le famiglie che (negli ultimi due secoli) avevano costituito gli strati più alti della società mantennero un alto livello di continuità.” Il capitalismo, lungi dall’essere “la cacciata di un’aristocrazia arretrata da parte di una borghesia progressista”, “fu realizzato da un’aristocrazia terriera quando il vecchio sistema in disintegrazione la costrinse a trasformarsi in borghesia.33. Arno Mayer dice qualcosa di simile quando parla34 di continuità tra aristocrazia terriera e classe dirigente capitalista.

Kropotkin35 descrive chiaramente il processo che portò alla fine della civiltà alto medievale dei contadini proprietari terrieri, delle gilde e delle città libere. Prima dell’invenzione della polvere da sparo, le città libere potevano respingere i numerosi attacchi degli eserciti reali, liberandosi così dagli obblighi feudali. Spesso queste città facevano causa comune con i contadini nello sforzo di controllare la terra. Solo quando l’artiglieria rese possibile l’abbattimento delle fortificazioni cittadine con grande efficienza, e i monarchi furono in grado di combattere i loro stessi popoli, solo allora fu possibile imporre il potere assoluto dello stato e la rivoluzione capitalista. Al termine di questa conquista, l’Europa di William Norris emerse devastata, spopolata e nella miseria.

“Four Hundred Years” (Quattrocento Anni, ndt) cantava Peter Tosh. Anche se la classe lavoratrice bianca non ha mai sofferto la brutalità della schiavitù nera, tutti noi abbiamo sofferto “quattrocento anni” di oppressione sotto il capitalismo di stato istituito nel diciassettesimo secolo. Fin dalla nascita dei primi stati seimila anni fa, la coercizione politica ha permesso alla classe dirigente di vivere sulle spalle di chi lavora. Ma è dal diciassettesimo secolo che il sistema è diventato sempre più conscio, unificato e ha assunto dimensioni globali. L’attuale sistema basato su un capitalismo transnazionale, senza rivali dal collasso del sistema di potere burocratico sovietico, è un’emanazione diretta di quella presa di potere avvenuta “quattrocento anni” fa. È il contrario di quello che immaginava Orwell. Lo “stivale che schiaccia il volto di un uomo” è il passato. Se il futuro sarà ancora così dipenderà da ciò che facciamo noi oggi.

EGEMONIA IDEOLOGICA

L’egemonia ideologica è quel processo attraverso il quale gli sfruttati arrivano a vedere il mondo attraverso una struttura concettuale fornita loro dagli sfruttatori. Serve soprattutto a celare i conflitti di classe e lo sfruttamento dietro a parole come “unità nazionale” e “benessere generale”. Chi punta il dito contro lo stato come strumento che garantisce i privilegi di classe è denunciato, in toni teatrali di oltraggio morale, come uno che vuole il “conflitto di classe”. Se qualcuno è così imperdonabilmente“estremista” da dire che il capitalismo corporativo poggia sull’intervento massiccio dello stato e sui suoi aiuti, viene immediatamente bollato come “teorico del conflitto di classe marxista” (Bob Novak), o come uno “fissato con i baroni di rapina” (segretario del tesoro O’Neill).

La struttura ideologica chiamata “unità nazionale” si allarga al punto che “questo paese”, la “società”, o “il nostro sistema di governo” devono essere ringraziati per “le libertà di cui godiamo”. Soltanto i meno patriottici notano che le nostre libertà, lungi dall’essere garantite da uno stato generoso e benevolente, sono state conquistate con la resistenza contro lo stato stesso. Trattati e carte dei diritti non sono stati garantiti dallo stato, ma sono stati imposti allo stato dal basso.

Se la libertà appartiene a noi per diritto di nascita, come un atto naturalmente morale, ne consegue che per il suo rispetto non dobbiamo ringraziare lo stato, così come non dobbiamo ringraziare un ladro per non averci derubato o ucciso. Secondo una semplice logica, invece di ringraziarlo, dovremmo ribellarci ogni volta che lo “stato più libero del mondo” limita la nostra libertà. Dopotutto, è così che all’inizio abbiamo conquistato la libertà. Quando qualcuno mette le mani nelle nostre tasche per arricchirsi a spese nostre, il nostro istinto naturale è l’opposizione. Ma grazie al patriottismo, la classe dirigente riesce a trasformare la mano nelle nostre tasche in “società” o “la nostra patria”.

La religione dell’unità nazionale appare più patologica in materia di “difesa” e politica estera. Fin dall’inizio della storia, la creazione di una crisi internazionale e l’isteria di guerra sono state usate per soffocare le minacce al governo di classe. Può darsi che i politici disonesti agiscano per conto di “interessi speciali” entro i confini nazionali, ma quando quegli stessi politici pianificano una guerra allora si parla di fedeltà alla “nostra patria”.

Il presidente del JCS (consulente militare del presidente, ndt), parlando di strategia “difensiva”, riferirà con una faccia normale di “minacce alla sicurezza nazionale” che riguardano gli Stati Uniti, e dirà che forze armate di qualche nemico ufficiale come la Cina più che giustificano le “legittime misure difensive”. Se si vuole ostracizzare una nazione basta dire che alle origini di queste “minacce” c’è un paese dall’altra parte del mondo che sta facendo qualcosa ad un centinaio di miglia dai suoi confini. Altra offesa contro il culto della patria è quando le azioni degli Stati Uniti, con le sue operazioni globali mirate a rendere il terzo mondo un posto sicuro per la ITT e la United Fruit Company, vengono giudicate con lo stesso metro delle “legittime misure difensive” applicato alla Cina.

Secondo l’ideologia ufficiale, l’America va sempre alla guerra “per la nostra libertà”, per “difendere il paese”, o, nelle parole untuose di Madeleine Albright, per un desiderio altruistico di promuovere “pace e libertà” nel mondo. Far capire che i veri difensori della nostra libertà erano quelli che presero le armi contro il governo, o che le forze di sicurezza nazionale minacciano la nostra libertà più di qualunque nemico esterno, è imperdonabile. Il buon americano non vede quei consiglieri militari che insegnano alle squadre della morte come spaccare la faccia agli organizzatori sindacali e buttarli in un fosso, o come usare le tenaglie sui testicoli dei dissidenti. I crimini di guerra sono solo quelli commessi dalle potenze sconfitte (anche se, come i nazisti impararono nel 1945, i criminali di guerra disoccupati possono sempre trovare lavoro nella nuova potenza egemonica).

Dopo un secolo e mezzo di indottrinamento patriottico da parte del sistema scolastico di stato, gli americani hanno digerito la versione “favolistica” della storia d’America. Questa pietà autoritaria è l’opposto esatto di ciò in cui credevano i rivoluzionari, tanto è vero che la cittadinanza ha in gran parte dimenticato cosa significa essere americano. La realtà è che i principî autentici dell’americanismo sono stati capovolti. Duecento anni fa, gli eserciti stanziali erano temuti come una minaccia alla libertà e un focolaio di personalità autoritarie; la coscrizione era associata alla tirannia di Cromwell; il lavoro salariato era considerato incoerente con lo spirito indipendente di un cittadino libero. Oggi, duecento anni dopo, gli americani sono completamente prussianizzati da sessanta anni di stato guarnigione e di “guerre” contro questo o quel nemico interno, tanto che cadono in ginocchio alla vista di un’uniforme. L’obiettore di coscienza è equiparato ad un pedofilo. La maggior parte delle persone lavora per qualche grossa impresa senza volto o nella burocrazia di stato, dove ovviamente obbedisce ai superiori, lavora sotto controllo continuo, e deve anche pisciare in una tazza a comando.

In tempo di guerra non è patriottico criticare o mettere in questione il governo, e il dissenso è equiparato al tradimento. Fiducia e obbedienza allo stato diventano la carta al tornasole della “fede americana”. La guerra contro un nemico esterno è uno strumento molto utile alla manipolazione delle menti e al controllo della popolazione. La guerra è il modo più facile con cui lo stato si dota di nuovi e ampi poteri, dei quali nessuno è responsabile. La popolazione obbedisce e chiude gli occhi proprio quando dovrebbe essere più vigilante.

La più grande ironia è che, in un paese nato da una rivoluzione, “americanismo” significa rispettare le autorità e opporsi alla “sovversione”. La rivoluzione fu una vera e propria rivoluzione, in cui le istituzioni politiche coloniali furono sovvertite con la forza. Fu, in più tempi e luoghi, una guerra civile tra classi. Ma come scrisse Voltairine del Cleyre un secolo fa in “Anarchism and American Traditions”, la versione che troviamo nei libri di storia parla di un conflitto patriottico tra i “Padri Fondatori” e un nemico straniero. Quelli che ancora citano Jefferson a proposito del diritto alla rivoluzione sono relegati alle frange “estremiste”, da sbattere dentro non appena ricompare l’isteria di guerra o il terrore rosso.

Questo costrutto ideologico chiamato “interesse nazionale” comprende la finzione di un sistema di leggi “neutre”, che nascondono la natura sfruttatrice del sistema di potere in cui viviamo. Con il capitalismo corporativo, il sistema politico fa da mediatore della politica di sfruttamento a livelli mai conosciuti nei precedenti sistemi classisti. In un sistema feudale o schiavistico lo sfruttamento è concreto e personalizzato nel rapporto tra il produttore e il suo padrone. Lo schiavo e il servo della gleba sapevano bene chi era che li fregava. Il lavoratore moderno, al contrario, sente solo un dolore pulsante, e ha solo una vaga idea della sua provenienza.

Oltre a mascherare gli interessi delle classi dirigenti dietro la facciata del “bene comune”, l’egemonia ideologica causa finte divisioni tra i sudditi. Con le sue campagne contro i “finti invalidi” e gli “evasori”, e con la pretesa di “andare giù duro contro il crimine”, le classi dirigenti riescono a canalizzare l’ostilità delle classi medie e lavoratrici contro gli strati più bassi della società.

Particolarmente nauseante è il fenomeno del “populismo miliardario”. Le richieste di “riforma” delle leggi sulla bancarotta e dello stato sociale, oltre alla lotta al crimine, sono nascoste dietro la retorica populista che identifica nei più poveri i principali parassiti del frutto del lavoro altrui. Nel loro universo simbolicamente provinciale, l’America pare un mondo da Readers Digest o alla Norman Rockwell, popolato solo da piccoli uomini d’affari e agricoltori che lavorano duro, da un lato, e parassiti, furbi, sindacalisti e burocrati dall’altro. A sentire le loro parole, non sospettereste mai che esistono multinazionali miliardarie, meno che mai che queste traggono benefici da questo “populismo”.

Nel mondo reale, le grosse imprese sono i maggiori beneficiari dello stato sociale. Le più grandi cause fallimentari riguardano queste attività. I crimini peggiori sono commessi da loro più che da criminali comuni. La vera rapina del produttore medio consiste nel profitto e l’usura, estorti solamente grazie allo stato, il vero “grande governo” sulle nostre spalle. Finché lavoratori e poveri continueranno a fare la guerra tra loro, non si accorgeranno di chi li sta derubando davvero.

Come dice Stephen Biko, “L’arma più efficace degli oppressori è la mente degli oppressi”.

IL MONOPOLIO MONETARIO

In tutti i sistemi basati sullo sfruttamento di classe, la classe dirigente controlla l’accesso ai mezzi di produzione per estrarre un tributo dai lavoratori. In un sistema capitalistico, l’accesso ai capitali è ristretto dal monopolio monetario: è così che lo stato concede alle banche il monopolio del mezzo di scambio, e mette al bando le alternative. Il monopolio nella produzione di moneta significa imporre barriere d’ingresso al credito cooperativo e il divieto di emettere moneta privata, con il risultato che l’accesso ai capitali viene ristretto mantenendo artificialmente alti i tassi d’interesse.

En passant, menzioniamo l’ipocrisia monumentale del regolamento delle unioni di credito negli Stati Uniti, che obbliga i loro soci ad avere un qualche punto in comune, come il fatto di lavorare per lo stesso datore di lavoro. Immaginate lo scandalo se IGA e Safeway facessero lobby per mettere al bando le cooperative di consumo i cui soci non lavorano tutti per lo stesso datore! Uno dei sostenitori di spicco di queste leggi è Phil Gramm, famoso docente di economia e “libero mercato”; nonché prima puttana delle banche presso il Congresso.

Anarchici sostenitori del sistema mutualista e individualista, come William Greene36, Benjamin Tucker37, e J. B. Robertson38 considerano il monopolio monetario un punto centrale del sistema capitalista basato sui privilegi. In un sistema bancario genuinamente libero e di mercato, qualunque gruppo di individui potrebbe mettere su un istituto di credito cooperativo e emettere credito monetizzato sotto forma di banconote contro collaterali di loro scelta, imponendo l’accettazione di questa moneta come forma di pagamento quale condizione per far parte della banca. Greene immagina che questa banca potrebbe accettare come collaterale non solo una proprietà materiale, ma anche un “pegno [sulla] produzione futura”39. Il risultato, attraverso la concorrenza, sarebbe la riduzione dei tassi d’interesse ai soli costi amministrativi: meno dell’uno per cento.

Un credito abbondante e a prezzi accessibili altererebbe l’equilibrio di forze tra capitale e lavoro, al punto che gli utili prodotti dal lavoro prenderebbero il posto degli utili prodotti dal capitale come forma di attività economica dominante. Secondo Robinson,

Tutto il sistema di interessi sul capitale, che permea le attività economiche moderne, si basa sul monopolio del tasso di interesse sul denaro… che le leggi ci impongono.

Con un sistema bancario libero, gli interessi su tutte le obbligazioni e i dividendi sulle azioni crollerebbero al livello più basso. Il cosiddetto affitto di una casa… scenderebbe fino a coprire i costi di manutenzione e basta.

Tutta quella parte della produzione che attualmente viene presa dagli interessi apparterrebbe al produttore. Il capitale, comunque… lo si definisca, cesserebbe praticamente di esistere come fonte di reddito, semplicemente perché, se il denaro con cui si acquista il capitale avesse un costo dello 0,5 per cento, il prezzo del capitale non potrebbe salire oltre quel livello40.

Il risultato sarebbe un drastico miglioramento delle condizioni contrattuali di affittuari e lavoratori rispetto ai proprietari di beni fondiari e capitali. Secondo Gary Elkin, l’anarchismo di libero mercato di Tucker aveva alcune implicazioni libertarie e socialiste:

È importante notare che la proposta di Tucker, aumentare il potere di contrattazione dei lavoratori attraverso l’accesso al credito mutuo, non solo rende il suo cosiddetto anarchismo individualista compatibile con il controllo da parte dei lavoratori, ma di fatto lo promuove. Perché se è vero che l’accesso al credito cooperativo farebbe crescere il potere contrattuale dei lavoratori fino al punto indicato da Tucker, questi sarebbero in grado di (1) chiedere e ottenere democrazia sul posto di lavoro, e (2) mettere assieme il loro credito e guadagnare la proprietà collettiva delle imprese.

Il monopolio bancario non era soltanto il “cardine del capitalismo”, ma anche il seme da cui nasceva il monopolio degli abbienti. Senza il monopolio monetario, il prezzo dei beni fondiari sarebbe molto più basso, e questo avvierebbe “un processo di azzeramento delle rendite”41.

Se il lavoratore migliora il suo potere contrattuale, “la capacità dei capitalisti di estrarre plusvalore dal lavoro dei dipendenti è fortemente ridotta, se non eliminata”42. Man mano che la retribuzione del lavoro si avvicina al valore aggiunto, e man mano che la concorrenza del mercato erode il profitto da capitale, facendo di conseguenza crollare il valore delle azioni, il lavoratore si ritrova ad essere comproprietario del luogo di lavoro anche se l’impresa resta nominalmente di proprietà degli azionisti.

Quando il tasso di interesse è prossimo allo zero, l’indipendenza del lavoratore aumenta in maniera interessante. Per dirne una, chi avesse contratto un mutuo ventennale all’8% potrebbe, in assenza di usura, ripagarlo in dieci anni. La maggior parte delle persone potrebbe finire di pagare la casa prima di trent’anni, e non sarebbe afflitta dal debito ad alto interesse prodotto dalle carte di credito. Scomparirebbero così due delle più grandi cause di apprensione riguardo la sicurezza del posto di lavoro. A ciò si aggiunge il fatto che molti lavoratori disporrebbero di grossi risparmi (“al diavolo il denaro”). Un numero significativo di persone potrebbe andare in pensione a quaranta o cinquanta anni, lavorare part-time, o avviare un’attività. Con i datori di lavoro che si contendono i lavoratori, gli effetti sul potere contrattuale sarebbero rivoluzionari.

Il nostro ipotetico mondo a credito libero ricorda per molti versi la situazione delle società coloniali. E. G. Wakefield, in View of the Art of Colonization, descrive l’inaccettabile posizione di debolezza in cui si trovarono i datori di lavoro a causa dell’abbondanza di lavoratori autonomi dotati di mezzi propri. Data l’abbondanza di terreni a basso prezzo, nelle colonie il mercato del lavoro era ristretto e la disciplina sul posto di lavoro era scarsa. “Non solo il grado di sfruttamento dell’operaio salariato è scandalosamente basso; ma l’operaio perde per giunta assieme al rapporto di dipendenza anche il senso di dipendenza dal capitalista dedito all’astinenza.

Dove la terra costa poco e tutti gli uomini sono liberi, dove chiunque lo voglia può procurarsi un pezzo di terra per sé, non solo il lavoro è molto ricercato, almeno in proporzione alla quota produttiva del lavoratore, ma è difficile ottenere manodopera a qualunque prezzo.

Per giunta, questo ambiente non permetteva la concentrazione della ricchezza, come nota Wakefield: “Per contro, pochi, anche dopo una vita straordinariamente lunga, possono accumulare grandi masse di ricchezza.” Il risultato fu che le élite coloniali chiesero al governo della madrepatria di importare manodopera e restringere l’accesso alle terre per creare insediamenti. Secondo Herman Merivale, discepolo di Wakefield, “c’è un appassionato desiderio di lavoro più a buon mercato e più sottomesso, di una classe alla quale il capitalista possa dettar condizioni, invece di sentirsele dettare.43.

In aggiunta, le banche centrali offrono ulteriori servizi a favore del capitale. Come un’inflazione bassa, che è la prima cosa che i capitalisti chiedono, così che sia possibile prevedere esattamente il profitto. Questo è il primo obiettivo dichiarato della Federal Reserve e di altre banche centrali. Almeno altrettanto importante, però, è il ruolo che hanno le banche centrali nel promuovere quello che loro considerano un tasso di disoccupazione “naturale”, che fino agli anni novanta era il sei per cento. La ragione sta nel fatto che, quando la disoccupazione va molto più giù, i lavoratori acquisiscono arroganza e chiedono una paga migliore, migliori condizioni di lavoro e più autonomia. I lavoratori sono molto poco disposti a prendere ceffoni dal capo quando sanno che potrebbero trovare un lavoro almeno altrettanto buono il giorno dopo. E d’altro canto niente riesce a farti “filare dritto” come il fatto di sapere che c’è una fila di persone pronta a prendere il tuo lavoro.

La “prosperità” di Clinton è un’apparente eccezione a questo principio. Quando la disoccupazione minacciò di scendere sotto il quattro per cento, alcuni membri della Federal Reserve premettero per far salire i tassi di interesse, e rifuggire la pressione “inflazionistica” buttando qualche milione di lavoratori sulla strada. Ma come disse Greenspan44 quando testimoniò davanti alla Commissione degli Affari Bancari del senato, la situazione era unica. Dato l’alto livello di incertezza dell’economia high-tech, ci fu un “[a]tipico contenimento degli aumenti retributivi”. Nel 1996, anche in presenza di bassa disoccupazione, il 46% dei lavoratori delle grandi imprese temeva il licenziamento, contro il 25% del 1991, quando la disoccupazione era molto più alta.

Il fatto che in un mercato del lavoro bloccato i lavoratori siano riluttanti a lasciare il lavoro per cercarlo altrove è prova ulteriore del problema, così come lo è la tendenza verso contratti più lunghi. Per molti decenni raramente i contratti sono andati oltre i tre anni. Oggi si punta a contratti di cinque o sei anni: contratti solitamente caratterizzati da un’enfasi sulla sicurezza del posto di lavoro e che comportano piccoli aumenti di stipendio. La scarsità di scioperi di questi ultimi anni conferma le preoccupazioni sul mantenimento del posto di lavoro.

Ecco quindi che la recente propensione dei lavoratori a barattare modesti aumenti del salario con la sicurezza del posto sembra ben documentata. Per i capi, dopo un alto tasso di disoccupazione, la cosa migliore per tenere le nostre menti orientate nella direzione giusta è l’economia high-tech. La “lotta all’inflazione” si traduce in pratica in una crescente insicurezza del lavoro, e diminuisce le probabilità che un lavoratore scioperi o cerchi un altro lavoro.

BREVETTI

Il privilegio costituito dai brevetti è usato su grande scala per promuovere la concentrazione di capitali, erigere barriere contro le novità, e far sì che il monopolio della tecnologia avanzata rimanga nelle mani delle grandi imprese occidentali. È difficile anche solo immaginare quanto potrebbe essere più decentrata l’economia senza i brevetti. Il libertario di destra Murray Rothbard considera i brevetti una violazione fondamentale dei principi del libero mercato.

Una persona che non ha comprato una macchina, e che giunge alla stessa invenzione per conto suo, in un regime di libero mercato ha pieno diritto di vendere la sua invenzione. I brevetti impediscono ad una persona di utilizzare la sua invenzione anche se si tratta di una sua proprietà e non l’ha rubata, esplicitamente o implicitamente, dal suo primo inventore. Dunque i brevetti sono un privilegio di monopolio esclusivo garantito dallo stato e un’invasione dei diritti di proprietà sul mercato.45.

I brevetti influiscono enormemente sui prezzi. Fino ai primi anni settanta, ad esempio, in Italia non erano riconosciuti i brevetti sui farmaci. Di conseguenza, la Roche Products vendeva al sistema sanitario britannico i componenti brevettati del Librium e del Valium ad un prezzo che era 40 volte quello della concorrenza in Italia46.

I brevetti impediscono l’innovazione tanto quanto la incoraggiano. Chakravarthi Raghavan fa notare che i ricercatori scientifici, che sono i veri e propri inventori, sono obbligati a cedere i diritti di brevetto se vogliono mantenere il lavoro, mentre le leggi sui brevetti e la sicurezza industriale proibiscono la condivisione di informazioni e impediscono la concorrenza che potrebbe migliorare i prodotti brevettati47. Similmente, Rothbard sostiene che i brevetti eliminano “la concorrenza che sprona la ricerca” perché le leggi impediscono le innovazioni graduali basate su prodotti brevettati da altri, e perché il proprietario del brevetto può “riposare sugli allori per tutta la durata del brevetto”, senza temere che la concorrenza possa migliorare la sua invenzione. Questo è anche un freno al progresso tecnologico perché “le invenzioni meccaniche sono più la scoperta di leggi naturali che creazioni individuali, e capita spesso che più persone arrivino alla stessa invenzione in maniera indipendente, come è capitato tante volte.48.

La proprietà intellettuale, così come definita dal GATT all’Uruguay Round, soffoca l’innovazione molto più della legislazione tradizionale sui brevetti. Uno degli aspetti positivi della vecchia legislazione sui brevetti, se non altro, era l’obbligo di rendere pubbliche le invenzioni brevettate. Dietro pressione degli Stati Uniti, però, nel GATT sono stati inclusi i “segreti commerciali”. Il risultato è che ora i governi sono costretti a collaborare alla soppressione di informazioni formalmente non protette da brevetti49.

Non necessariamente i brevetti incentivano l’innovazione. Secondo Rothbard, l’invenzione è premiata dal vantaggio competitivo che possiede chi ha sviluppato un’idea per primo. Il concetto è preso dalla testimonianza resa da F. M. Sherer davanti alla FTC (Commissione Federale per il Commercio, ndt) del 199550. Sherer citò una ricerca fatta su 91 imprese, dalla quale risultò che soltanto sette “attribuivano un grande significato alla protezione dei loro brevetti come fattore nei loro investimenti alla ricerca e sviluppo.” La maggior parte riteneva il brevetto “l’aspetto meno importante”. Per la maggior parte delle imprese, la ragione principale degli investimenti in ricerca e sviluppo era “la necessità di mantenere competitività, l’efficienza produttiva, e il desiderio di espandere e diversificare le vendite.” In un’altra sua ricerca dimostrò l’assenza di effetti negativi da parte delle licenze obbligatorie sulla ricerca e sullo sviluppo. Un’altra ricerca ancora, sulle imprese americane, rivelò che l’86% delle invenzioni sarebbero state sviluppate comunque anche in assenza di brevetti. Nel caso dell’industria automobilistica, della gomma, del tessile, e dell’automazione in ufficio, la percentuale saliva al 100%.

L’unica eccezione riguardava i farmaci, il 60% dei quali apparentemente non sarebbero stati inventati senza brevetti. Io, però, ho il sospetto che gli intervistati non siano stati sinceri. Se non altro, perché le società farmaceutiche ricevono dallo stato una grossa fetta di finanziamenti per la ricerca e sviluppo, e perché molti dei prodotti più lucrosi sono stati sviluppati interamente a spese dello stato. Sempre Scherer cita elementi che provano il contrario. Il vantaggio in termini di reputazione derivante dal fatto di essere entrati per primi in un mercato è considerevole. Alla fine degli anni settanta, ad esempio, politiche industriali e prezzi dei farmaci con e senza brevetti erano molto simili. Il fatto di essere i primi a produrre un farmaco non brevettato garantiva il 30% della quota di mercato e la possibilità di caricare sul prezzo.

L’ingiustizia causata dal monopolio dei brevetti è acuita dal fatto che il governo finanzia la ricerca e l’innovazione, permettendo alle industrie di ricavare profitti in regime di monopolio senza spendere un centesimo in tecnologia. Nel 1999, tra le maggiori preoccupazioni dei leader del Congresso americano c’era l’estensione del credito d’imposta sulla ricerca e la sperimentazione e altri favoritismi fiscali a vantaggio delle grandi imprese. Quando gli chiesero se c’era qualcosa di importante nella politica fiscale, Hastert rispose “Credo che l’estensione [delle preferenze fiscali] sia qualcosa su cui dobbiamo lavorare.” Il presidente del comitato per il reperimento dei fondi Bill Archer aggiunse: “prima della fine dell’anno… approveremo l’estensione con un progetto di legge stringatissimo che non includerà altro.” L’estensione del credito d’imposta sulla ricerca e la sperimentazione (con retroattività al primo luglio 1999) aveva un costo previsto di 13,1 miliardi di dollari (e portò la tassazione a meno di zero).51.

La legge sui brevetti del 1980, con gli emendamenti del 1984 e 1986, permise alle industrie private di mantenere i diritti di brevetto su prodotti sviluppati con soldi pubblici, e di farli pagare venti o trenta volte il costo di produzione. L’AZT, ad esempio, fu sviluppato con soldi pubblici e nel pubblico dominio fin dal 1964. Il brevetto fu dato via alla Burroughs Wellcome Corp.52.

Come se non fosse abbastanza, nel 1999 le ditte farmaceutiche fecero attività di lobby sul Congresso affinché estendesse di due anni la durata di alcuni brevetti con una speciale legge ad personam53.

Secondo David Noble, durante tutto il ventesimo secolo i brevetti sono stati usati per “per aggirare le leggi antitrust”. Furono “comprati in grandi quantità per sopprimere la concorrenza”, cosa che comportò anche la “soppressione delle stesse invenzioni”.54. Edwin Prindle, un avvocato esperto in brevetti industriali, scrisse nel 1906:

I brevetti sono il sistema più efficace per controllare la concorrenza. In alcuni casi si arriva a dominare il mercato e fissare i prezzi senza tenere conto dei costi di produzione. … I brevetti sono l’unica forma legale di monopolio assoluto55.

I brevetti hanno giocato un ruolo chiave nello sviluppo delle industrie di elettrodomestici, telecomunicazioni e prodotti chimici. A cavallo tra ottocento e novecento la General Electric e la Westinghouse arrivarono a dominare il mercato degli articoli elettrici in gran parte attraverso il controllo dei brevetti. Nel 1906 si accordarono sulla risoluzione di alcune cause legali mettendo i loro brevetti in comune. Anche la AT&T si espanse “soprattutto usando strategicamente il monopolio dei brevetti”. L’industria chimica americana rimase marginale fino al 1917, anno in cui il responsabile della giustizia Mitchell Palmer si impadronì dei brevetti tedeschi e li distribuì tra le maggiori compagnie chimiche americane. La DuPont ottenne il permesso di usare 300 brevetti su 73556.

I brevetti sono usati anche su scala mondiale per mantenere le imprese transnazionali in uno stato di monopolio tecnologico permanente. L’aspetto più totalitario dell’Uruguay Round è probabilmente la “proprietà intellettuale”. Il GATT ha esteso scopi e durata dei brevetti ben oltre i limiti previsti dalla legislazione originale. In origine, in Inghilterra i brevetti avevano una durata di quattordici anni: il tempo necessario a formare due operai qualificati in successione (e, per analogia, il tempo necessario ad andare in produzione e incassare il profitto derivante dall’originalità del prodotto). Seguendo la stessa logica, dato che oggi i tempi di formazione professionale sono più brevi, e dato che la tecnologia dura meno, anche la durata del monopolio avrebbe dovuto accorciarsi. E invece gli Stati Uniti stanno cercando di portarla a cinquanta anni57. Secondo Martin Khor Kok Peng, gli Stati Uniti sono il più assolutista tra i partecipanti all’Uruguay Round, a differenza della Comunità Europea, soprattutto in materia di processi biologici che riguardano la protezione di animali e piante58.

Gli articoli sulle biotecnologie in realtà nascondono barriere commerciali, che costringono i consumatori a finanziare le imprese transnazionali del settore agricolo. Gli Stati Uniti vorrebbero isolare i geni contenuti nelle varietà tradizionali, incorporarli negli ogm e brevettarli, sfruttando così il lavoro di generazioni di allevatori del terzo mondo; e magari anche obbligandoli a pagare una licenza per usare i loro stessi prodotti. La Monsanto, ad esempio, durante un’udienza preliminare ha cercato di usare la presenza di un loro DNA in un raccolto come prova di pirateria, quando è più probabile che sia stata la loro varietà a contaminare altri campi contro le intenzioni dei loro proprietari. L’agenzia Pinkerton, quella che durante il secolo scorso buttava a calci giù dalle scale gli organizzatori degli scioperi, gioca un ruolo di primo piano nel fornire materiale per queste accuse. Anche i criminali in camicia nera devono diversificare per mantenersi nel mercato globale.

Il mondo sviluppato ha fatto grosse pressioni al fine di proteggere le industrie che utilizzano o producono “prodotti tecnologici generici”, e per impedire la diffusione delle tecnologie “a doppio uso” (pacifico e militare, ndt). L’accordo commerciale sui semiconduttori siglato tra Stati Uniti e Giappone, ad esempio, è un “accordo basato su un ‘mercato controllato’ e cartellistico”.59.

Tradizionalmente, le leggi sui brevetti imponevano l’uso dell’invenzione in una nazione per poter ricevere il diritto di brevetto. La legge britannica cancellava il brevetto dopo tre anni se un’invenzione non era utilizzata, o se era utilizzata parzialmente e la domanda era soddisfatta “in misura sostanziale” dalle importazioni, o nel caso in cui le esportazioni erano bloccate perché il proprietario di un brevetto si rifiutava di concedere la licenza a termini ragionevoli60.

La ragione principale della proprietà intellettuale contenuta nel GATT è: garantire alle imprese transnazionali il monopolio collettivo delle tecnologie avanzate, e impedire che nasca una concorrenza indipendente nei paesi del terzo mondo. Come dice Martin Khor Kok Peng, “[la proprietà intellettuale] impedisce la diffusione delle tecnologie nel terzo mondo, bloccandone il potenziale tecnologico, e incrementa il profitto monopolistico delle imprese transnazionali.” Solo l’uno per cento dei brevetti appartiene a paesi del terzo mondo. L’84% dei brevetti riconosciuti da nazioni del terzo mondo negli anni settanta era in mano a stranieri. Di questi, meno del 5% furono usati realmente. Come detto, i brevetti non sono lì per essere usati ma per impedire che altri lo facciano61.

Raghavan ha riassunto efficacemente gli effetti sul terzo mondo:

Considerati i grossi investimenti in ricerca e sviluppo, e il fatto che i prodotti hanno vita breve, le principali nazioni industrializzate cercano di soffocare la concorrenza controllando… il flusso delle tecnologie verso l’esterno. L’Uruguay Round serve a creare un monopolio delle esportazioni a favore dei paesi industrializzati e a bloccare l’emergere della concorrenza rivale, soprattutto tra i paesi del terzo mondo di recente industrializzazione. Allo stesso tempo, si cerca di esportare a sud le tecnologie obsolete delle industrie del nord del mondo a tutto vantaggio di chi vive di rendita62.

I propagandisti della grande industria denunciano ipocritamente gli anti-global come nemici del terzo mondo, e intanto usano le barriere commerciali per preservare lo stile di vita dell’occidente opulento a spese dei paesi poveri. Le loro preoccupazioni “umanitarie” servono a nascondere le barriere commerciali, che soffocano l’avanzamento tecnologico del terzo mondo e tengono l’emisfero meridionale in condizioni di sfruttamento. Non si tratta di opinioni diverse, o di un’interpretazione erronea ma in buona fede dei fatti. Mettendo da parte le false sottigliezze, quello che vediamo è il male puro all’opera: quello che Orwell chiamava “lo stivale che calpesta un viso in eterno”. Il fatto che qualche architetto di questa politica creda che il fine sia il benessere del genere umano dimostra solo la capacità dell’ideologia di giustificare gli oppressori e permettere loro di dormire sonni tranquilli.

INFRASTRUTTURE

Il finanziamento delle reti di trasporti e comunicazioni con fondi pubblici, e non con i proventi delle tariffe, permette alle grandi industrie di “esternalizzare i costi” sul pubblico, e nascondere i veri costi operativi. Chomsky descrive molto accuratamente questa situazione in cui il capitalismo di stato si accolla il costo dei trasporti:

Riguardo il commercio, è risaputo che riceve forti incentivi che distorcono il mercato. … È evidentissimo che ogni forma di trasporto è altamente incentivata. … Visto che per natura il commercio richiede il trasporto, nel calcolare l’efficienza del commercio si tiene conto dei costi di trasporto. Ma i grossi incentivi riducono i costi di trasporto attraverso la manipolazione del costo dell’energia e un gran numero di pratiche distorsive del mercato63.

Ad ogni incentivazione delle infrastrutture da parte dello stato è seguita un’ondata di concentrazioni di capitali. All’espansione delle ferrovie, costruite in gran parte su terreni forniti gratis o a basso prezzo dallo stato, seguì la concentrazione dell’industria pesante, l’industria petrolchimica e la finanza. Altro grande progetto infrastrutturale furono le autostrade, dai primi esempi degli anni venti fino alla rete interstatale di Eisenhower. E poi l’aviazione civile, messa su quasi interamente con soldi federali. I risultati furono le grandi concentrazioni nell’industria del commercio al dettaglio, dell’agricoltura e nell’alimentare.

Il terzo di questi progetti è il worldwide web, pensato originariamente per il Pentagono. Oggi, per la prima volta nella storia, si possono dirigere tutte le operazioni industriali da una sede unica, accelerando la concentrazione dei capitali su larga scala. Ancora Chomsky: “La rivoluzione delle telecomunicazioni… è… un altro di quei componenti statali dell’economia internazionale sviluppato non da capitali privati, ma dal pubblico, che così finanziò la sua stessa distruzione. …64.

L’esistenza dell’economia imprenditoriale centralizzata dipende dal fatto che il prezzo dei trasporti è artificialmente distorto dall’intervento dello stato. Per capire pienamente quanto le imprese dipendano dalla socializzazione dei costi di trasporto e comunicazione, basta immaginare cosa accadrebbe se il carburante dei camion e degli aerei fosse tassato in maniera tale da coprire i costi di realizzazione e manutenzione di autostrade e aeroporti, e se si togliessero le esenzioni fiscali. Il risultato sarebbe un enorme aumento dei costi di trasporto. Davvero qualcuno crede che a queste condizioni Wal-Mart potrebbe vendere a prezzi più bassi dei rivenditori locali, o che le grosse aziende agricole potrebbero continuare a distruggere quelle a conduzione famigliare?

I libertari di destra intellettualmente onesti lo ammettono liberamente. Tibor Machan, ad esempio, scrive su The Freeman che

Qualcuno dirà che una protezione rigorosa dei diritti [contro gli espropri] risulterebbe, nel migliore dei casi, in aeroporti più piccoli e una forte contrazione dell’edilizia. È vero… ma cosa c’è di male?

Forse la cosa peggiore della modernità industriale è il fatto che il potere politico ha garantito ad alcune attività il privilegio di violare i diritti di terzi, di cui sarebbe stato troppo costoso ottenere il permesso. La necessità di ottenere quel permesso sarebbe un ostacolo serio per quella che la maggioranza degli ambientalisti considera un industrializzazione rampante, se non scriteriata.

La proprietà privata – che richiede che… ogni… genere di… attività umana sia condotta entro i propri limiti o con la cooperazione volontaria di altri – è il principale moderatore delle aspirazioni umane. … In poche parole, una persona può raggiungere obiettivi fuori dalla portata delle sue risorse solo convincendo altri alla cooperazione con argomenti persuasivi e uno scambio onesto65.

Un risultato inevitabile degli incentivi sono le strozzature e gli ingorghi. Chi non capisce il perché di tutti quegli aerei ammassati nell’aeroporto di O’Hare, o perché le autostrade e i ponti si deteriorano prima che arrivino i soldi per le riparazioni, dovrebbe consultare le basi dell’economia. I prezzi di mercato sono segnali che mettono in relazione offerta e domanda. Quando gli incentivi distorcono questi segnali, i consumatori non percepiscono il costo reale dei prodotti che consumano. Non c’è rientro di informazione, e le richieste soffocano la capacità del sistema di rispondere. Quando la gente non paga il costo reale di ciò che consuma, finisce per consumare più di quello che necessita.

È interessante notare come tutti i maggiori casi di antitrust di quest’ultimo secolo abbiano riguardato risorse energetiche o infrastrutture di base, dalle quali dipende l’economia in generale. La Standard Oil, la AT&T, la Microsoft: sono tutti casi in cui la frode nel monopolio dei prezzi rappresenta un danno per tutta l’economia. Questo ricorda l’osservazione di Engels secondo cui il capitalismo avanzato sarebbe arrivato ad uno stadio tale per cui lo stato – “il rappresentante ufficiale della società capitalista” – avrebbe dovuto convertire “le grandi istituzioni comunicative” in proprietà pubblica. Engels non immaginava che l’antitrust sarebbe stato usato per gli stessi fini66.

“KEYNESISMO MILITARE”

I settori guida dell’economia, tra cui la cibernetica, le comunicazioni e l’industria militare, hanno vendite e profitti garantiti dallo stato. Tutto il settore manifatturiero, nel complesso, fu ingrandito oltremisura da un’iniezione di denaro pubblico durante la seconda guerra mondiale. Nel 1939, tutta l’industria manifatturiera americana era valutata in 40 miliardi di dollari. Entro il 1945 crebbe di 26 miliardi, “due terzi dei quali pagati direttamente con fondi dello stato”. Nel 1939, le 250 più grandi imprese possedevano il 65% degli impianti e delle risorse, ma durante la guerra gestivano il 79% di tutti i nuovi impianti costruiti con soldi pubblici67.

La guerra ampliò enormemente l’industria delle macchine utensili. Nel 1940, il 23% delle macchine utensili aveva meno di dieci anni. Entro il 1945, la percentuale era salita al 62%. Dopo il 1945 ci fu una grossa contrazione dell’industria, e sarebbe sicuramente precipitata in una depressione se non ci fosse stata la guerra di Corea a riportarla ai livelli della seconda guerra mondiale, e la seguente guerra fredda a garantire il mantenimento di quei livelli. Anche il complesso della ricerca e dello sviluppo fu opera della guerra. Tra il 1939 e il 1945, la percentuale della spesa sulla ricerca che lo stato affidò alla AT&T passò da 1 a 83%. Più del 90% dei brevetti che risultarono dalla ricerca finanziata dallo stato in tempo di guerra fu dato via all’industria. L’industria moderna dell’elettronica è in gran parte il risultato della spesa pubblica durante le due guerre mondiali (la miniaturizzazione dei circuiti usati negli inneschi delle bombe a prossimità, i computer ad alta capacità per sistemi di comando e controllo, e altro)68.

L’industria dei jumbo non sarebbe nata se la guerra fredda non avesse sostenuto la spesa militare. Le macchine utensili necessarie alla costruzione dei grossi aerei erano così complesse e costose che nessuna “domanda in tempo di pace” avrebbe potuto garantirne la proficuità. Senza gli ordinativi militari non sarebbero mai esistite. Dopo il 1945, l’industria aeronautica andò subito in rosso All’inizio del 1948 era ad un passo collasso. Fu Truman a portarla a nuova vita con una spesa massiccia. I finanziamenti statali alla ricerca aerospaziale crebbero finché nel 1964 toccarono il 90%, con grosse ricadute nell’industria dell’elettronica, delle macchine utensili, e di altri settori69.

ALTRI INCENTIVI

Le spese militari e infrastrutturali non sono gli unici esempi di privatizzazione del profitto e socializzazione dei costi e dei rischi, ovvero di quel fenomeno che è, come diceva Rothbard, “lo stato clientelare che usa il potere impositivo per accumulare capitale per le industrie o per abbassare i costi di produzione delle stesse industrie.70. Alcune di queste assunzioni di rischio dello stato sono su misura e mirate ad industrie specifiche.

Tra i grandi beneficiari di questi contratti ci sono i produttori di energia. Quasi il 100% della ricerca e sviluppo dell’energia nucleare è o condotta dallo stesso stato, tramite il suo programma di reattori militari, o finanziata attraverso sovvenzioni forfettarie; lo stato non tassa l’uso dei combustibili nucleari, incentiva la produzione di uranio, concede terreni pubblici a prezzi al di sotto del valore di mercato (e costruisce centinaia di miglia di strade d’accesso a spese dei contribuenti), arricchisce l’uranio, e smaltisce le scorie a prezzo di favore. La legge Price-Anderson del 1957 ha posto un limite alla responsabilità dell’industria dell’energia nucleare, scaricando sullo stato la responsabilità oltre quel limite71. Nel 1953, un rappresentante della Westinghouse ammise:

Se volete sapere se la Westinghouse ha preso in considerazione la possibilità di spendere soldi propri… la nostra risposta è “No”. Il costo degli impianti sarà un’incognita fino alla fine dei lavori: solo allora sapremo la risposta. Non saremo sicuri della convenienza finché non saranno in funzione e finché non genereranno profitto. … Ci troviamo ancora in una situazione in cui le difficoltà si accumulano come in una piramide. … Accollarsi un rischio è una cosa, buttarsi a rotta di collo è un’altra72.

Alla faccia del profitto come ricompensa per il rischio corso. Questi “imprenditori” fanno profitti alla maniera dei cortigiani del diciassettesimo secolo: con i favori del re. Citando Chomsky,

i settori economici che rimangono competitivi sono quelli che prendono soldi pubblici. … Le glorie della Libera Impresa sono un’arma efficace contro lo stato e potrebbero andare a beneficio della popolazione. … Ma i ricchi e i potenti… hanno capito da tempo il vantaggio di essere protetti dalle forze distruttive del capitalismo di libero mercato, parole altisonanti solo finché c’è la sicurezza della mano pubblica e dell’apparato protezionistico e normativo, e finché lo stato è a disposizione quando serve73.

Dwayne Andreas, amministratore delegato della Archer Daniels Midland, ammise che “[n]on un grammo di quello che si vende nel mondo si vende nel libero mercato. Non uno. Il libero mercato esiste solo nei discorsi dei politici.74.

Anche la politica fiscale serve ad aiutare la grande impresa. È probabile che gran parte dei Fortune 500 (le 500 maggiori imprese americane, ndt) fallirebbe senza benefici corporativi. Nel 1996, gli incentivi fiscali federali si avvicinavano ai 350 miliardi di dollari75. Questa cifra rappresentava oltre due terzi dei profitti aziendali del 1996 (460 miliardi)76.

Una stima degli incentivi fiscali a livello statale e locale è impressionante. In primo luogo, la definizione di “beneficio corporativo” è vaga. E poi occorre tenere conto dei sistemi fiscali di tutti i cinquanta stati e delle leggi locali di migliaia di municipalità. Aggiungete a questo il fatto che i magnaccia del denaro si vergognano dei regalucci fatti ai loro clienti della finanza. Nel mio stato, L’Arkansas, l’incorruttibile predicatore battista che fa da governatore si è opposto ad una legge che imponeva al Dipartimento per lo Sviluppo Economico la pubblicazione trimestrale di un elenco degli incentivi fiscali concessi alle imprese. “Mantenere la riservatezza degli incentivi è importante se si vogliono attrarre imprenditori”; e poi, pubblicare “informazioni proprietarie” potrebbe avere un “effetto frenante”.77. Le dimensioni dei benefici a livello locale, sommate, sono paragonabili a quelle dei benefici a livello federale.

Considerati nell’insieme, gli incentivi fiscali diretti concessi dai vari governi, nazionale e locali, sono probabilmente dello stesso ordine di dimensioni dei profitti. E questa è una sottostima degli effetti, perché in realtà questi incentivi vanno a vantaggio di una manciata di grosse industrie in ogni settore. Il deprezzamento accelerato, ad esempio, favorisce l’espansione delle industrie esistenti. Le nuove ne hanno un beneficio piccolo perché si ritrovano probabilmente in perdita nei primi anni di attività. Un’industria consolidata, al contrario, può gestire una nuova attività in perdita e scaricare sui vecchi impianti i costi del deprezzamento accelerato78.

La misura fiscale più oltraggiosa è rappresentata dall’incentivo alle transazioni finanziarie alla base delle concentrazioni di capitale. La deduzione degli interessi dal debito delle industrie, la maggior parte del quale è stato consumato in acquisizioni dell’intero pacchetto azionario, costa al tesoro più di 200 miliardi di dollari l’anno79. Senza queste deduzioni, non sarebbero mai esistite le ondate di fusioni degli anni ottanta e le megafusioni degli anni novanta. Questo è un aiuto diretto alle banche che si aggiunge a tutto il resto, un incremento di potere dei capitali finanziari nell’economia industriale superiore a quello raggiunto durante la cosiddetta Era di Morgan.

Strettamente connessa è l’esenzione dai capital gains delle azioni impegnate nelle fusioni (ad esempio gli “stock swaps”), nonostante solitamente il premio venga pagato ben oltre il valore di mercato dello stock80. La riforma fiscale del 1986 conteneva un provvedimento che impediva alle imprese di dedurre gli emolumenti pagati alle banche di investimenti e ai consulenti coinvolti nell’acquisto dei pacchetti azionari. Con la legge sul salario minimo del 1996 questo provvedimento fu abrogato con una sola eccezione: la deduzione degli interessi fu rimossa per i dipendenti81.

Libertari di destra come Rothbard ritengono che il fisco non debba essere usato come incentivo. Altrimenti è come dire che il denaro appartiene di diritto allo stato, quando in effetti lo stato sta semplicemente permettendo alle persone di tenere per sé quello che appartiene loro di diritto. Il sistema fiscale è ingiusto, ma la soluzione è l’eliminazione per tutti, non il livellamento verso l’alto82. Questo argomento è molto traballante. Negli anni ottanta i sostenitori della riforma fiscale insistevano a dire che l’unico fine legittimo delle tasse è il gettito, non un sistema di bastoni e carote usato per fare ingegneria sociale. Obiezioni semantiche a parte, l’attuale sistema fiscale non cambierebbe se partissimo da un’aliquota zero e poi imponessimo una tassa punitiva solo sulle attività non gradite. In un modo o nell’altro, un sistema fiscale sbilanciato dà un vantaggio competitivo alle industrie privilegiate.

REPRESSIONE POLITICA

Quando cresce la mobilitazione e si risveglia la coscienza popolare, e il sistema capitalista è seriamente minacciato, lo stato ricorre alla repressione finché il pericolo non è passato. Goldstein racconta i casi più eclatanti: la rivolta di Haymarket e il terrore rosso dopo le guerre mondiali83. L’ondata di repressione iniziata negli anni settanta, sebbene meno intensa di altre, è stata profondamente istituzionalizzata.

Fino alla fine degli anni sessanta, le prospettive delle élite erano dominate dal contratto sociale del New Deal. Lo stato corporativo comprava la stabilità e l’acquiescenza del popolo riguardo lo sfruttamento imperialista all’estero garantendo un certo livello di prosperità e sicurezza alle classi medie. I sindacati facevano la loro parte, imponendo il controllo sul posto di lavoro in cambio di stipendi più alti. A partire dalla guerra di Vietnam, però, le élite cambiarono profondamente.

L’esperienza degli anni sessanta fece loro capire che il contratto sociale era finito. In risposta alle proteste contro la guerra e agli scontri razziali, Lindon Blaise Johnson e Nixon misero su l’ossatura delle leggi marziali, che in futuro avrebbero permesso un approccio diverso ai disordini sociali. L’operazione di Johnson chiamata GARDEN PLOT richiedeva l’uso della sorveglianza militare, la cooperazione pianificata tra militari e polizia locale per la soppressione di disordini in tutti gli stati, piani che prevedevano la detenzione preventiva, ed esercitazioni congiunte di polizia e militari84. Il governatore Reagan e il capo della Guardia Nazionale Louis Giuffrida erano sostenitori entusiasti delle esercitazioni nell’ambito di GARDEN PLOT in California. Reagan fu anche uno dei primi a sperimentare le squadre paramilitari SWAT, oggi presenti in tutti i centri principali.

L’ondata di scioperi a macchia di leopardo dei primi anni settanta fu la prova del fatto che le organizzazioni sindacali non erano più in grado di fare la propria parte, e che il contratto sociale doveva essere ripensato. Allo stesso tempo, i giornali economici cominciarono a pubblicare articoli che parlavano di un’imminente “scarsità di capitali”, e che avvocavano uno spostamento delle risorse dal consumo all’accumulazione. Predicevano apertamente l’impossibilità di imporre un tetto ai salari reali nell’attuale ambiente politico85. Questo sentimento fu espresso da Huntington et al. in The Crisis of Democracy (un documento scritto per la Trilaterale e che rappresenta bene il pensiero delle élite). Parlavano di un sovraccarico della domanda, che stava facendo collassare il sistema per eccesso di democrazia.

Per spezzare i sindacati, le grandi imprese usarono fino in fondo la legge Taft-Hartley, rischiando solo delle multe simboliche da parte della NLRB (ufficio per le relazioni sul lavoro, ndt). Aumentarono drasticamente le risorse da impiegare nel controllo e nella sorveglianza sul posto di lavoro, una misura resa necessaria dallo scontento causato dai salari stagnanti e dal carico di lavoro crescente86. In percentuale sul valore aggiunto, dagli anni settanta i salari cominciarono a calare drasticamente; tutti gli incrementi della produttività furono incanalati nel profitto e nell’investimento, piuttosto che nei salari. L’aumento della spesa militare della guerra fredda, in aggiunta, contribuì a trasferire altre risorse pubbliche all’industria.

Una serie di eventi, come la caduta di Saigon, il movimento dei non-allineati, e il Nuovo Ordine Economico Internazionale, furono interpretati come segno del fatto che l’impero corporativo transnazionale stava perdendo il controllo. L’escalation di interventi di Reagan in America Centrale fu una risposta parziale a questa percezione. Ma il fatto più importante fu l’Uruguay Round del GATT, che strappò la vittoria dalle fauci degli sconfitti, tolse ogni barriera imposta alle industrie transnazionali all’acquisizione di intere economie, garantì all’occidente il monopolio della tecnologia moderna, e creò un governo mondiale al servizio delle industrie globali.

Nel frattempo gli Stati Uniti, per dirla con Richard K. Moore, stavano spostando le tecniche di controllo sociale dalla periferia al centro dell’impero. L’apparato repressivo continuò a crescere con l’aiuto della Guerra alla Droga e della Sicurezza Nazionale. La Guerra alla Droga ha trasformato il Quarto Emendamento alla Costituzione in cartastraccia; le confische di beni, con l’aiuto di soffiate ottenute in carcere, danno alla polizia il potere di rubare senza neanche un’accusa: una ricca fonte di fondi da spendere in elicotteri e giubbotti in kevlar. Le SWAT (squadre di intervento rapido, ndt) hanno portato alla militarizzazione della polizia locale, e l’addestramento congiunto con i militari ha fatto sì che la polizia veda i civili come la popolazione di un paese occupato87.

Giuffrida, compagno di Reagan, fu ripescato e messo alla testa di FEMA (la protezione civile americana, ndt), dove collaborò con Oliver North alla rifinitura di GARDEN PLOT. North, dal 1982 al 1984 intermediario tra FEMA e NSC (consiglio per la sicurezza nazionale, ndt), sviluppò un piano “per sospendere la costituzione in caso di crisi nazionali, come una guerra nucleare, la diffusione del dissenso violento o l’opposizione all’invasione di un paese estero da parte dell’America.”88. È interessante notare come GARDEN PLOT sia stato messo in pratica durante gli scontri sul caso Rodney King e durante le recenti proteste anti-globalizzazione. La Delta Force fornì informazioni e consigli in tutti quei casi oltre che a Waco89.

Altra innovazione è la trasformazione in agenti di polizia di tutte le persone con cui abbiamo rapporti. Le banche segnalano regolarmente movimenti “sospetti” di denaro; grazie a campagne del tipo “conosci il tuo cliente”, i negozianti segnalano ogni acquisto di merci che combinate con altre possono essere usate per fare droghe; le biblioteche sono invitate a segnalare i lettori di materiale “sovversivo”; il DARE (programma antidroga mirato agli studenti, ndt) trasforma i ragazzini in informatori della polizia.

Con l’informatica il potenziale spionistico è arrivato a livelli orwelliani. Si è scoperto che i processori Pentium III incorporano codici identificativi nei documenti. Le forze di polizia stanno sperimentando combinazioni di telecamere pubbliche, tecnologie di riconoscimento facciale e database di foto digitali. La Image Data LLC, una società che sta acquistando le foto digitali di tutte le patenti auto d’America, si è rivelata una copertura dei servizi segreti.

CONCLUSIONE

È fin troppo facile far resuscitare Bob Novak e il segretario O’Neill per un’altra battuta, ma la tentazione è forte. “Lotta di classe marxista?” “La retorica dei baroni?” Queste pagine raccontano la “lotta di classe” combattuta dagli stessi baroni. Se strillano tutte le volte che parliamo di classe, è perché si sentono toccati. Ma tutti gli strilli del mondo non serviranno a cambiare la realtà.

Tutti questi fatti citati che implicazioni hanno per il nostro movimento? Tutti riconoscono che l’economia feudale si basava sulla coercizione. Anche se non sentirete mai Milton Friedman parlarne, libertari di destra intellettualmente onesti riconoscono il ruolo dello stato nella creazione del feudalesimo europeo e della schiavitù americana. Rothbard, partendo da questo fatto e tirando le ovvie conclusioni, riconosceva il diritto dei contadini e degli schiavi liberati a “quaranta acri e un mulo” senza indennità per i possidenti.

Ma sappiamo che anche il capitalismo industriale, così come la servitù della gleba e la schiavitù, nacque dalla coercizione. Come i sistemi che lo precedettero, il capitalismo non sarebbe sopravvissuto se ad un certo punto della storia non fosse intervenuto lo stato. Le imposizioni dello stato negarono passo passo l’accesso dei lavoratori al capitale, costringendoli a vendersi a condizioni favorevoli al compratore, e proteggendo i centri di potere economico dai pericoli del libero mercato. Tanto per citare un’altra volta Benjamin Tucker, possidenti e capitalisti non possono estrarre valore aggiunto dal lavoro senza l’aiuto dello stato. Il lavoratore moderno, come lo schiavo o il servo, è la vittima di questa ruberia; l’impresa per cui lavora è stata messa su con il frutto del lavoro rubato in precedenza. Usando gli stessi principi che Rothbard riconosceva nel mondo agricolo, il lavoratore moderno è giustificato quando prende il controllo diretto della produzione e tiene per sé tutto il frutto del suo lavoro.

Realisticamente intesi, tutti i privilegi e gli incentivi descritti qua sopra sono una forma di schiavitù. La schiavitù, in parole semplici, è l’uso della coercizione che permette di vivere del lavoro di qualcun altro. Prendete il caso di un lavoratore che paga 300 dollari al mese per un farmaco brevettato, che nel libero mercato costerebbe 30 dollari. Se la sua paga è di 15 dollari l’ora, le diciotto ore che lavora ogni mese per pagare la differenza sono schiavitù. Ogni ora lavorata per pagare l’usura su una carta di credito o un ammortamento è schiavitù. Le ore lavorate per pagare i costi inutili della distribuzione e del marketing (fino a metà del prezzo finale), a causa degli incentivi alla centralizzazione economica, sono schiavitù. Ogni ora che occorre lavorare in più per soddisfare i bisogni primari, necessaria perché lo stato fa pendere l’ago della bilancia in favore dei capi costringendo il lavoratore a vendere il proprio lavoro per meno del suo valore, è schiavitù.

Probabilmente, metà delle ore lavorate sono schiavitù. Se fossimo pagati per quello che vale il nostro lavoro, potremmo mantenere gli attuali livelli di consumo lavorando venti ore la settimana. Come disse Bill Haywood, per ogni uomo che riceve un dollaro che non ha sudato, ce n’è un altro che ha sudato per un dollaro mai ricevuto.

In questo scritto metto in dubbio anche la posizione del socialdemocratico “anarchico” Noam Chomsky, noto per la sua distinzione tra “visioni” e “obiettivi”. Nel lungo termine, la sua visione è quella di una società decentralizzata formata da comunità e posti di lavoro autogestiti e blandamente legati tra loro: la visione tradizionale degli anarchici. Il suo obiettivo immediato, al contrario, è il rafforzamento dello stato normativo al fine di spezzare il “concentramento del potere dei privati” prima di arrivare all’anarchia. Ma se, come abbiamo visto, il capitalismo dipende dallo stato per la sua sopravvivenza, il primo passo è proprio l’eliminazione dei sostegni statalisti al capitalismo. In una lettera del quattro settembre 1867, Engels riassunse appropriatamente la differenza tra socialisti anarchici e socialisti: “Loro dicono ‘abolite lo stato e il capitale se ne andrà al diavolo’. Noi proponiamo il contrario.” Esattamente.

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Mark Zepezauer and Arthur Naiman. Take the Rich Off Welfare (Odonian Press/Common Courage Press, 1996). RED LION PRESS, 2001

Ultima revisione: gennaio 2002

NOTE

1. Marx, Il Capitale vol. I, Capitolo 27: L’Esproprio”

2. The Village Labourer 27-28, 35-36

3. Marx, “L’Esproprio

4. Marx, “L’Esproprio…”

5. Village Labourer 42

6. Captain Swing 27

7. Thompson, The Making of the English Working Class, 219-220, 358

8. Marx, “L’Esproprio. …”

9. “L’Esproprio. …”

10. Capitolo 26: Il Segreto dell’Accumulo Originale,” Il Capitale Vol. 1

11. “L’Esproprio…”

12. Wealth of Nations 61

13. Smith 60-61

14. Smith 60

15. Hammonds, The Town Labourer 1:146

16. Hammonds, The Town Labourer 1:44, 147

17. Thompson 223-224

18. Smith 61; Hammonds, Town Labourer 1:74

19. Ivi pagg. 199-202

20. The Town Labourer 123-127

21. Ivi pag. 61

22. Hammonds, Town Labourer 1:33-34

23. “What Do Bosses Do?

24. Philosophy of Manufactures, in Thompson 360

25. Ivi pagg. xi-xii

26. Town Labourer 72

27. Ivi pag. 80

28. Ivi. 91-92

29. Capitolo Cinque, “Planting the Liberty Tree,” in Thompson

30. Ivi pagg. 197-198

31. Chomsky, World Orders Old and New

32. Harrington, Twilight of Capitalism

33. Historical Capitalism 41-42, 105-106

34. The Persistence of the Old Regime

35. Mutual Aid 225

36. Mutual Banking

37. Instead of a Book

38. The Economics of Liberty

39. pag. 73

40. Ivi pagg. 80-81

41. Gary Elkin, “Benjamin Tucker – Anarchist or Capitalist

42. Gary Elkin, Mutual Banking

43. Maurice Dobb, Studies in the Development of Capitalism; Marx, Capitolo 25: “La Teoria Moderna della Colonizzazione,” in Il Capitale Volume 1

44. Testimony of Chairman Alan Greenspan

45. Man, Economy, and State vol. 2 p. 655

46. Raghavan, Recolonization p. 124

47. Ivi p. 118

48. Ivi pagg. 655, 658-659

49. Raghavan, op. cit. p. 122

50. Hearing on Global Innovation-Based Competition

51. Citizens for Tax Justice, GOP Leaders Distill Essence of Tax Plan

52. Chris Lewis, “Public Assets, Private Profits

53. Benjamin Grove, “Gibbons backs drug-monopoly bill

54. America by Design, pagg. 84-109

55. America by Design pag. 90

56. America by Design, pagg. 10, 16

57. Raghavan, Recolonization pagg. 119-120

58. The Uruguay Round and Third World Sovereignty pag. 28

59. Dieter Ernst, “Technology, Economic Security and Latecomer Industrialization”, in Raghavan pagg. 39-40

60. Raghavan pagg. 120, 138

61. Ivi pagg. 29-30

62. Ivi pag. 96

63. “How Free is the Free Market?

64. Class Warfare pag. 40

65. “On Airports and Individual Rights

66. Anti-Duhring

67. Mills, The Power Elite pag. 101

68. Noble, Forces of Production pagg. 8-16

69. Noble, Forces of Production, pagg. 6-7; Kofsky, Harry S. Truman and the War Scare of 1948

70. Confessions of a Right-Wing Liberal

71. Adams and Brock pagg. 279-281

72. Ivi pagg. 278-279

73. Chomsky, Deterring Democracy pag. 144

74. Don Carney, “Dwayne’s World

75. Calcolo mio basato sui numeri forniti in: Zepezauer and Naiman, Take the Rich Off-Welfare

76. Statistical Abstract of the United States 1996

77. Arkansas Democrat-Gazette 3 febbraio 2001

78. Baratz, “Corporate Giants and the Power Structure

79. Zepezauer pag. 122-123

80. Green pag. 11

81. Judis, “Bare Minimum

82. Rothbard, Power and Market pag. 104

83. Political Repression in Modern America

84. Morales, U.S. Military Civil Disturbance Planning

85. Boyte, Backyard Revolution pagg. 13-16

86. Fat and Mean

87. Weber, Warrior Cops

88. Chardy, “Reagan Aides and the ‘Secret’ Government

89. Rosenberg, The Empire Strikes Back; Cockburn, The Jackboot State

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory