Di Gary Chartier. Originale pubblicato il 22 gennaio 2016 con il titolo What’s Wrong with Inequality? Traduzione di Enrico Sanna.
A credere ai cosiddetti esperti, sembra quasi che tutto quest’odio verso la disuguaglianza sia frutto dell’invidia e di una certa ignoranza sul funzionamento dell’economia. Una ragione in più per non credere ai cosiddetti esperti.
Il fatto che qualcuno sia più ricco di me non mi urta né peggiora la mia situazione. L’economia non è una torta, per cui se qualcuno prende la fetta grande a qualcun altro tocca la più piccola. È una torta che cresce dinamicamente, e che potenzialmente arricchisce tutti.
Liquidando ogni critica della disuguaglianza come se fosse l’unica critica, però, questi esperti pensano di cavarsela a buon mercato. Perché il vero problema della disuguaglianza nella nostra società sta nelle sue origini e nelle conseguenze.
Le ricchezze estreme sono il risultato di un’ingiustizia. Nell’America di un tempo, prima la corona inglese e poi i governi rivoluzionari reclamarono a sé con atto legislativo le terre non occupate, negarono alle persone il diritto di appropriarsene per prime, le rubarono agli indiani che già ci vivevano e le lavoravano, quindi le parcellizzarono e le distribuirono tra i politici e i loro clientes. Altre terre furono poi appropriate per legge per la costruzione delle ferrovie. Furono fatte leggi che concedevano alle compagnie ferroviarie le terre adiacenti alle linee ferroviarie (il cui valore immobiliare andò alle stelle grazie allo sviluppo generato dalle ferrovie). Ancora oggi le amministrazioni rubano la terra con l’esproprio per pubblica utilità (retaggio dei tempi in cui tutto era di proprietà del sovrano) per poi venderla ai costruttori a prezzo politico (come Donald Trump).
La diseguaglianza è già un male quando è il risultato di un furto. Il privilegio la rende ancora peggio.
In un’economia di mercato non corrotta da privilegi, ovvero in un mercato liberato, si ha successo quando si servono i bisogni degli altri, quando si offre loro ciò di cui necessitano. Chi difende la situazione attuale spesso si richiama a questo principio per giustificare la ricchezza accumulata nell’attuale panorama economico. Anche chi la sua ricchezza l’ha rubata è costretto a servire il consumatore, dice qualcuno, sennò soccombe alla concorrenza.
Ma l’attuale mondo economico è gravido di innumerevoli privilegi. Incentivi e barriere commerciali canalizzano il profitto verso aziende ben introdotte a spese dei consumatori. Le norme sulle professioni servono a creare e proteggere cartelli di professionisti, che così possono gonfiare le tariffe, e questo avviene soprattutto in servizi di importanza vitale come la sanità. La proprietà intellettuale, creata artificialmente dallo stato, dà a qualcuno la licenza di dire ad altri cosa possono o non possono fare con quello che hanno comprato, concentra la ricchezza in poche mani e ingabbia l’informazione. Ci sono poi gli appalti affidati dallo stato senza gara che, soprattutto in settori opachi come le forniture militari, gonfiano enormemente i profitti. Vediamo infine come grandi banche e megaindustrie, come la General Motors, siano protette dalle conseguenze delle loro scelte sbagliate e salvate con denaro pubblico.
Altro fatto è che i privilegi tendono a generare e perpetuare la povertà. Le norme urbanistiche da un lato canalizzano gli affari verso i grandi costruttori, i quali hanno la capacità di soddisfare ogni requisito burocratico per quanto assurdo, mentre dall’altra impediscono ai singoli individui di farsi una casa da sé. Il risultato è che tanti sono costretti a ricorrere all’affitto, e altri finiscono sulla strada. Le stesse norme che concentrano la ricchezza nelle mani degli attuali proprietari, proteggendone il valore, impediscono allo stesso tempo a tanti altri di trovare un alloggio a prezzo accessibile. Le stesse norme riguardanti le licenze che proteggono certi professionisti, impediscono allo stesso tempo di avere servizi a costi accessibili e negano un’opportunità di lavoro ad altri.
Troppo spesso la disparità di ricchezza è il prodotto dell’ingiustizia. E troppo spesso genera a sua volta altra ingiustizia. Questo perché più ricchezza significa più possibilità di influire sul processo politico. Dalle pressioni alle mazzette, ci sono tanti modi per proteggere i privilegi dei ricchi e ottenere ulteriori favori politici. Finché esisteranno questi favori, esisteranno e si moltiplicheranno le disparità.
Il vero problema della disuguaglianza non è la differenza quantitativa in termini di ricchezza, quanto si guadagna o quanto si perde in una torta di dimensioni fisse. Ciò che fa arrabbiare la gente, compresi molti del Tea Party e di Occupy, è il furto, il privilegio e il clientelismo politico.
Possiamo cercare di risolvere questi problemi, e metter fine alla povertà strutturale che offende le coscienze, senza arrenderci alla politica dell’invidia e senza dover credere in teorie economiche sbagliate. La soluzione passa per la restituzione del maltolto, quando ciò è possibile: togliere a chi ha rubato. Ma occorre anche abolire i privilegi che impoveriscono tanti e concentrano la ricchezza nelle mani di pochi. E togliere allo stato il potere di creare e proteggere tali privilegi, che poi è quel potere che alimenta il clientelismo e perpetua le disuguaglianze ingiuste.
Per affrontare e eliminare i problemi causati dalla disuguaglianza bisogna quindi occorre soffocare la violenza insita nel sistema, porre fine ai privilegi e togliere allo stato la capacità di intervenire sull’economia.
Articolo citato in:
Gary Chartier, What’s Wrong with Inequality?, News LI, 3 febbraio 2016