L’atteggiamento isterico riguardo lo Stato Islamico ora incentra l’attenzione sui rifugiati che cercano di sfuggire alla violenza in Siria e Iraq. Prevedibilmente la camera dei deputati, a maggioranza repubblicana, ha deciso ieri di incrementare i controlli sulla vita dei potenziali rifugiati: una pretesa di onniscienza che si traduce in esclusione. Ma il progetto di legge trova ostacoli in senato, e il presidente Obama, che vuole far entrare 10.000 rifugiati l’anno prossimo, ha minacciato l’uso del veto.
Il Washington Post riporta così:
“Secondo il progetto di legge repubblicano, il direttore dovrebbe certificare le ricerche sulla vita di ogni rifugiato siriano e iracheno ammesso negli Stati Uniti, mentre gli uomini della Homeland Security e dello spionaggio dovrebbero certificare che non minacci la sicurezza.
“L’amministrazione Obama ha detto mercoledì che il progetto di legge ‘introdurrebbe requisiti inutili e inattuabili, i quali sarebbero d’intralcio al nostro tentativo di assistere delle persone che sono tra le più vulnerabili al mondo.’”
Prevedibilmente, a Washington l’attenzione si concentra sul contenimento della reazione al militarismo americano da tanto tempo presente in Medio Oriente, nonché sull’ondata di conseguenze, invece di affrontare la causa di fondo del terrorismo antioccidentale: l’imperialismo. Il problema è che il piano messo giù per affrontare questa reazione creerà probabilmente altre reazioni.
Impotenti come sono, i rifugiati sono un facile capro espiatorio, e chi condanna questa gente a vivere in quell’inferno in terra che l’America ha creato merita soltanto disprezzo, anzi doppio disprezzo perché sono in gioco anche le ambizioni presidenziali. La storia vergognosa della paura degli immigrati, di come vengono allontanati dalle nostre coste, è stata convenientemente dimenticata da opportunisti alla ricerca di qualche facile successo facendo leva sulle paure della gente.
Come era facile intuire, poi, i seminatori di paure (che tendono ad essere anche seminatori di guerra) gonfiano a dismisura i pericoli insiti nell’accoglienza dei rifugiati. Al contrario, essere umanitari non necessariamente comporta rischi irragionevoli. Scrivendo su The Atlantic, Russell Berman dice:
“Nei quattordici anni trascorsi dall’undici settembre 2001, gli Stati Uniti hanno accolto 784.000 rifugiati da tutto il mondo, secondo dati del Migration Policy Institute, un gruppo di esperti di Washington. Di tutti questi, solo tre sono stati arrestati per attività legate al terrorismo. Nessuno di loro stava per compiere un attentato negli Stati Uniti. Due stati presi mentre cercavano di espatriare per unirsi a gruppi terroristici all’estero…”
Questa volta, ci dicono, è diverso, e illustrano scenari da incubo con enormi infiltrazioni terroristiche. Ma, scrive Berman:
“Come fanno notare le autorità e i sostenitori dell’accoglienza, una cosa del genere non è mai avvenuta nel corso della storia moderna. Non è avvenuta quando gli Stati Uniti accolsero decine di migliaia di rifugiati vietnamiti negli anni settanta. Né nel 1980, quando arrivarono in barca 125.000 cubani Marielitos. Né nella disperazione seguita alle più recenti guerre di Bosnia, Somalia e Ruanda.
In realtà un’infiltrazione terroristica è tutt’altro che probabile perché:
“Chi chiede lo status di rifugiato è soggetto a controlli al più alto livello di sicurezza. Dopo un primo controllo, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite sceglie quali rifugiati si possono rivolgere agli Stati Uniti. A loro volta, le autorità americane conducono una serie di interviste [mentre i rifugiati stanno lontano in campi dell’Onu] e verificano la storia di ogni rifugiato con l’aiuto dei servizi segreti, controllando i precedenti tramite diversi database governativi, tra cui il Dhs (Dipartimento per la Sicurezza Interna, es) e il Centro Nazionale Antiterrorismo. Il risultato di questo ampio processo è che solo 2.000 rifugiati siriani sono stati ammessi in America dall’inizio della guerra civile nel 2011: un numero bassissimo se paragonato ad altre emergenze rifugiati.”
Berman aggiunge: “Un rifugiato che chiede di potersi stabilire negli Stati Uniti, per contro, deve sottostare ad una serie di controlli che possono durare anche due anni prima di mettere piede sul territorio americano.” (Enfasi aggiunta)
I libertari diventano giustamente scettici quando sentono parlare di governo competente, e ciò nonostante le testimonianze positive citate da Berman. Queste testimonianze possono essere spiegate anche senza dover credere che lo stato abbia fatto qualcosa di buono. Tenuto conto del fatto che chi chiede lo status di rifugiato deve sottoporsi ad un controllo severissimo, è poco probabile che chi desideri infiltrarsi scelga gli Stati Uniti come meta preferita; fatti i conti, ci si rende conto che le probabilità di essere accolti come rifugiati sono più alte che non ricorrendo ad altri mezzi. “Se l’Isis volesse attaccare gli Stati Uniti,” nota il Niskanen Center, “non gli basterebbe mandare uno dei tanti combattenti venuti appositamente dagli Stati Uniti o dall’Unione Europea” (o, come ci ricorda David Friedman, potrebbe mandare qualche turista. Dovrebbe anzi mobilitare i cosiddetti cittadini americani radicalizzati sui social network. Isis “non s’imbarcherebbe in una missione della durata di due o tre anni e dalla probabilità di successo bassissima.”
Dunque lo stato riesce a tenere lontani i terroristi perché questi neanche si presentano davanti alle autorità.
Certo lo stato che esamina i rifugiati innervosisce (quasi?) tutti i libertari. (Per prima cosa, è un’attività finanziata con le tasse, anche se non dovrebbe esserla). Ma questa è la realtà da qui al futuro immaginabile. Ciononostante, dobbiamo chiederci come una società completamente libertaria (ovvero, senza stato) si comporterebbe. Questa società sarebbe vulnerabile da parte chi vuole il suo male? Ne dubito. Una popolazione libera è innovativa, flessibile e intraprendente. Possiamo essere sicuri che una società libera troverebbe il modo per garantire quella sicurezza comune che da un lato garantirebbe gli stranieri, e dall’altro darebbe agli altri la certezza di poter trattare con loro senza pericoli. In realtà, già in passato si sono sviluppati meccanismi del genere, che potrebbero essere aggiornati in modo da renderli coerenti con i diritti individuali se solo lo stato lasciasse il campo libero.
L’alternativa all’accoglimento consiste nel lasciarli nelle grinfie dello Stato Islamico o in campi per rifugiati dove molti finirebbero per lasciarsi risucchiare dal “radicalismo”. Il confino ha questo effetto. L’ammissione negli Stati Uniti invece ridurrebbe il terrorismo (adottare una politica estera non-interventista sarebbe un passo complementare indispensabile).
Non dobbiamo mai temere quando diamo una mano a chi fugge dall’oppressione. Un mondo a rischio zero non è fattibile, ma il rischio, almeno in questo caso, non è affatto significativo.