Qualche tempo fa la cantautrice Ani DiFranco ha dovuto cancellare il suo “Righteous Retreat in the Big Easy”, un ritrovo di autori di canzoni ospitato nella Nottoway Plantation and Resort, una ex piantagione di schiavi in Luisiana. La scelta del luogo aveva provocato un meritato scontento, costringendo la DiFranco alla ritirata. La cantante ha poi scritto quella che Callie Beusman, di Jezebel, ha chiamato “una richiesta di scuse senza una richiesta di scuse”. Più che chiedere scusa per il gesto, lo ha difeso.
La Nottoway Plantation and Resort non descrive la storia della schiavitù: le dà una mano di tinta e la glorifica. Dice il suo sito che “Randolph [Nottoway] sapeva che per mantenere i lavoratori ben disposti era necessario provvedere non solo alle necessità di base dei suoi schiavi, come l’alloggio, il cibo e le medicine, ma occorreva anche dare loro una ricompensa e un premio per la produttività.” Invece di mettere in evidenza la violazione dei diritti insita nella schiavitù, il sito definisce gli schiavi “lavoratori ben disposti” e propaganda i presunti benefici ricevuti dagli schiavi.
Il sito vanta anche il fatto che “Una ristrutturazione profonda costata milioni di dollari ha riportato questa piantagione storica ai suoi giorni di gloria”. Io non definirei i giorni della schiavitù, dell’abuso, e dello sfruttamento, “giorni di gloria”.
Il problema qui va oltre una semplice ripulitura della storia della schiavitù. Dovremmo chiederci per quale ragione questa piantagione esiste ancora. Dovremmo chiederci perché è ancora proprietà di persone ricche. Gli schiavi mischiarono il loro lavoro con la terra, facendola fruttare. Furono loro, non gli schiavisti criminali che ritennero il titolo dopo la guerra civile, a lavorare e sudare su quella terra. Come scrive l’economista libertario Murray Rothbard,
“un elementare principio di giustizia libertaria avrebbe richiesto non solo la liberazione immediata degli schiavi, ma anche l’attribuzione a loro, senza compenso alcuno per i padroni, della proprietà della piantagione in cui avevano lavorato e sudato.”
Ma questa giustizia fu negata. I negri liberati non possedevano le loro terre. Al contrario, erano costretti a lavorare per quelli che avevano monopolizzato ingiustamente il territorio. Alla schiavitù seguì la mezzadria, il lavoro a stipendio da sfruttamento, la disoccupazione e altre forme di sfruttamento della povertà strutturale. Le origini dell’attuale povertà strutturale che piaga le comunità di colore possono farsi risalire in gran parte alla schiavitù e al relativo problema del monopolio delle risorse. Questo è un buon esempio di quello che Kevin Carson chiama “il sussidio della storia”, in cui una storia fatta di violenza e razzia gioca un ruolo critico nell’ordine economico moderno.
Le terre delle piantagioni restarono nelle mani dei proprietari di schiavi, per poi passare in quelle dei ricchi capitalisti. Oggi la Nottoway Plantation appartiene alla società di investimenti Paul Ramsay Group. Il suo proprietario, Paul Ramsay, è tra i maggiori contribuenti dei partiti politici australiani. Distribuisce grosse somme ai politici dell’Australia’s Liberal Party, un partito di destra, omofobico e misogino.
L’eredità della schiavitù è evidente non solo nel monopolio delle risorse e nei profitti che la classe dirigente trae dai “centri vacanze” ricavati da queste piantagioni. Il tredicesimo emendamento proibisce la schiavitù “eccetto come punizione conseguente ad un crimine”. Così dopo l’abolizione formale della schiavitù gli stati del sud approvarono una serie di Leggi sui Neri, che in sostanza li criminalizzavano. Questo permise alle popolazioni del sud di continuare a tenere i negri in schiavitù servendosi di un sistema che permetteva di affittare i detenuti. Alcune piantagioni furono convertite in prigioni. Il penitenziario di stato della Luisiana, conosciuto come Angola, è un’ex piantagione di schiavi modificata dove i negri vengono ancora oggi sfruttati come manovalanza agricola. Il razzismo della schiavitù esiste ancora: il 60% dei carcerati è di colore.
Dalla punizione del crimine all’ordine economico, la nostra società è profondamente influenzata dalla schiavitù. Questa è tenuta in piedi dall’ideologia e dalla struttura del razzismo. Kilie Brooks, un’attivista che ha protestato contro il ritrovo dei cantautori nella piantagione, ha espresso chiaramente il concetto:
La debacle di Ani DiFranco fa parte di una serie composta da molti, molti esempi quotidiani di odio per i neri, un fenomeno globale che questi ultimi devono combattere ogni giorno. L’odio per i neri è rappresentato sia dall’esperienza ancestrale della schiavitù che da quella attuale del sistema carcerario: entrambi sono esempi di genocidio.
Opporsi al razzismo contro i neri significa opporsi al monopolio delle risorse, il sistema carcerario e altri metodi di oppressione.