Scrivendo tempo fa su Alternet, Richard Eskow (“Rise of the techno-Libertarians,” 12 aprile 2015) ha fatto un’eccellente critica del modello capitalista dei “tecno-libertari” della Silicon Valley. Gran parte degli argomenti riguarda in qualche modo il modello mirato al profitto dell’industria tecnologica, che tratta i prodotti principalmente come fonte di guadagno (o, meglio, rendita) piuttosto che come un fine in sé. Questo male primario porta con sé un certo numero di sintomi secondari, come quella cultura patologica fatta di discorsi ispiratori, slogan alla moda e il culto di “Grandi Uomini” come Bill Gates, Steve Jobs e Peter Thiel. Un monopolio trasferisce ricchezza da lavoratori e consumatori ai rentier. Data la forma autoritaria assunta dalle tecnologie, sviluppatesi in un regime di software proprietari, gli utenti sono più una fonte di rendita, da tenere in scacco con licenze e contratti d’uso, che i destinatari ultimi delle tecnologie.
Se la comunicazione in rete e la cibernetica sono potenzialmente così liberatorie, perché assumono forme autoritarie? Il marxista italiano Antonio Gramsci, morto nelle carceri fasciste negli anni trenta, scrisse: “il vecchio mondo muore e il nuovo lotta per nascere: è il momento dei mostri”. Nel caso del mondo nuovo offerto dalle tecnologie affrancatrici, gran parte della lotta per nascere è dovuta al fatto che vecchi poteri e autorità cercano di rinchiudere le forze del nuovo mondo nella loro vecchia gabbia istituzionale.
Lewis Mumford prese dalla geologia il termine “pseudomorfosi culturale” per descrivere il processo con cui le nuove tecnologie, potenzialmente affrancatrici, vengono incorporate nelle forme istituzionali del vecchio mondo, come un nuovo deposito minerale che gradualmente dà forma ad un fossile nel guscio della materia organica sepolta. Si riferiva in particolare alle tecnologie, come il motore elettrico, di quella che lui chiamava l’età neo-tecnologica, tecnologie accessibili e decentralizzanti per natura. Un uso ottimale di queste tecnologie avrebbe permesso di rimpiazzare l’ordine paleotecnico (grandi fabbriche che economizzano facendo andare quante più macchine è possibile con un’unico generatore di vapore) con un nuovo modello produttivo in cui un motore dimensionato secondo necessità è incorporato all’occorrenza nella macchina, questa può essere regolata secondo il flusso produttivo, il flusso produttivo può essere adeguato alla domanda immediata, e il sito di produzione può essere situato vicino al luogo di consumo.
La tenacia del vecchio mondo paleotecnico fu tale che il vino nuovo dell’energia elettrica finì nelle vecchie botti di oscure Fabbriche Sataniche sotto forma di produzione di massa, rigettando così i particolari vantaggi che l’energia elettrica forniva in termini di produzione decentrata e snella.
Sebbene Mumford non visse abbastanza da conoscerla, la tendenza alla crisi interna e l’inefficienza della produzione di massa portarono finalmente, a partire dagli anni settanta, ad esternalizzare la produzione reale verso piccoli produttori indipendenti a contratto. Il nuovo vino tecnologico restava sempre nelle vecchie botti corporative, grazie a brevetti e marchi usati per imporre il monopolio della distribuzione di qualcosa fisicamente prodotto da altri. Ma la rapida implosione in termini di costi e dimensioni delle macchine a controllo computerizzato, soprattutto quelle open source, sta ora liberando forze produttive che rendono la “proprietà intellettuale” inapplicabile. È solo questione di tempo, ma un giorno queste piccole attività da garage, con macchinari generici che producono artigianalmente quantitativi limitati, ignoreranno brevetti e marchi per produrre beni da vendere sui mercati locali di tutto il mondo.
Lo stesso vale per le comunicazioni in rete e la cultura digitale. Libertari marxisti come il gruppo tedesco Oekonux e gli autonomisti Negri e Hardt considerano la “produzione da pari a pari basata su conoscenze condivise” il nocciolo della società post-capitalista, ciò che si diffonderà gradualmente dagli interstizi del sistema attuale per fondersi in un nuovo sistema che soppianti il vecchio.
Queste nuove tecnologie portatrici di abbondanza sono ancora prigioniere di schemi proprietari come i sistemi operativi Windows e OSX, applicazioni aziendali come Uber e AirBNB eccetera, racchiuse nella gabbia neofeudale della “proprietà intellettuale” che permette l’estrazione di rendite.
Ma questo stadio intermedio ha i giorni contati. Le forze produttive scatenate dalle nuove tecnologie non possono essere represse con vecchie, autoritarie relazioni di classe. Applicazioni proprietarie di “condivisione” come Uber, che crea valore semplicemente facendo da casello di pedaggio tra fornitori e utenti, possono essere facilmente sostituite con versioni piratate open source. E quando le tecnologie di comunicazione permetteranno alle reti orizzontali di coordinare i loro progetti più efficacemente delle gerarchie corporative, e le tecnologie relative alla microproduzione open source avranno costi così bassi che con sei mesi di paga di un operaio specializzato si potrà riempire di macchine una fabbrica garage, allora niente potrà impedire a produttori e consumatori di “esodare” (come dicono Negri e Hardt) dal vecchio sistema per instaurare rapporti da pari a pari, con la tecnologia che permette di rafforzare se stessi e acquisire dignità.