Da decenni i regolamenti sui taxi sono un esempio da manuale di come le norme governative creino artificialmente barriere, rendite e lavoro salariato. Oltre ad una serie di normative di stampo proibitivo che arrivano a definire anche il colore dei calzini di un tassista, il sistema dei “medaglioni” (come sono chiamate le licenze dei taxi in America, es) limita drammaticamente il numero dei taxi nelle maggiori città creando allo stesso tempo un mercato in cui le licenze vengono date in affitto o vendute (a New York il prezzo varia da qualche centinaio di migliaia a oltre un milione di dollari). Ovviamente questa scarsità imposta ha portato a situazioni di monopolio in cui i medaglioni sono controllati strettamente da mediatori, obbligando gli autisti ad operare in condizioni di lavoro disperate agli ordini di boss capricciosi.
Oggi finalmente questa eterna, dolorosa distorsione sta per dissolversi. Con una complicazione, però: l’edificio sta crollando non tanto per lo sforzo delle organizzazioni di base, ma attraverso il potere di due giganteschi speculatori, Uber e Lyft, che con un proprio capitale politico sono in grado di contrastare gli interessi monopolistici radicati in varie città.
Uber e Lyft non sono santi, e per molti versi anche loro confidano sui privilegi di stato. Le riserve inimmaginabili di capitali speculativi che li proteggono dalle pressioni del lavoro organizzato e della comunità affondano le radici nelle enormi rendite estratte con la proprietà intellettuale e il settore bancario. Questi profitti non esisterebbero senza l’aiuto armato dello stato. Il modello imprenditoriale dei Uber e Lyft, inoltre, prevede che gli utenti – in questo caso i tassisti che vogliono essere indipendenti – siano rinchiusi in “giardini murati” centralizzati online al fine di estrarne la rendita.
A parte ciò, però, il fatto che sfruttino carenze delle normative dei taxi e l’apertura della professione ad autisti indipendenti che non hanno pagato cifre esorbitanti è indubbiamente positivo. Certo, niente garantisce che Uber e Lyft non cercheranno di mettersi d’accordo tra loro per tagliar fuori la concorrenza, così da poter depredare clienti e aspiranti tassisti dalle possibilità limitate, ma le porte della concorrenza, basata su un modello più decentrato e cooperativo, sono state aperte. Le cose stanno finalmente cambiando.
Purtroppo tutto ciò è stato accolto con sdegno dalle fila meno radicali della sinistra.
È comprensibile che i tassisti che si sono già imbarcati in grossi investimenti con le attuali normative siano atterriti all’idea che la professione possa essere aperta agli esterni. La concorrenza farà sicuramente calare le tariffe, e con le regole attuali, con tutto quello che devono pagare tra controlli e norme, molti tassisti riescono a malapena a pareggiare i conti. E anche se riuscissero a liberarsi dalla rete di predatori che attualmente li avvolge per servirsi delle nuove possibilità, vedere che altri entrano nell’attività senza oneri può essere umiliante.
Il tentativo di spacciare le normative dei taxi per garanzia di “professionalità” non è che l’ultimo capitolo nella storia di sindacati conservatori che fanno guerra ad altri lavoratori, invece che ai boss e allo stato, cercando di limitare l’accesso al lavoro con mezzi come le leggi che proibiscono agli immigrati di svolgere certi lavori “per questioni di standard”. È questa mentalità miope che dà la precedenza a chi ha già un lavoro e manda a quel paese tutti gli altri.
Nel tentativo di salvare i posti di lavoro esistenti, la sinistra ingenua finisce per proteggere il lavoro salariato in sé.
Se si vuole una vera soluzione radicale bisogna smettere di aspettare lo stipendio che arriva dall’alto; bisogna smettere di stare attaccati ai datori di lavoro, in attesa che arrivi la rivoluzione nel lontano futuro. Occorre invece generare lavoro per conto proprio. In un mondo in cui la gente ha creatività e capacità, l’insensatezza della disoccupazione e della precarietà di massa sono possibili soltanto se si permette ai guardiani di stabilire chi può fare qualcosa per gli altri. Questo è l’inevitabile effetto perverso delle “normative” della sinistra; quelle che permettono ai parrucchieri di fare lobby per vietare ad una persona di fare le trecce in cambio di denaro se non spende migliaia di dollari per una certificazione.
In un’epoca in cui abbondano guide del consumatore affidabili e largamente diffuse come Yelp, oltre a sistemi di certificazione decentrati, l’urlo disperato degli statalisti, “Occorre una regolamentazione!”, è morto e sepolto. Ciò che impedisce servizi e condizioni di lavoro standard sono le oligarchie. Le barriere all’ingresso e le finte scarsità create in punta di fucile (di poliziotto) non sono amiche della classe lavoratrice, e chi a sinistra le difende è incoerente e reazionario.