Un articolo pubblicato nello stato di San Paolo in Brasile (“Brasil que se vire com arenas vazias, diz FIFA. ‘O problema é de vocês’”, Estadão Esportes, 21 marzo) nota come la Fifa abbia perso interesse per il Brasile: gli inutili stadi costruiti per la Coppa del Mondo del 2014 non sono un problema loro; ad occuparsene dovrebbe essere esclusivamente il paese.
I burocrati della Fifa, impersonati al meglio dal cabarettista Jerry Seinfeld, guardano ai problemi del Brasile post-mondiale, un paese che ha permesso loro due miliardi di profitti, e dicono sarcasticamente: “È una vergogna!” Uno di loro arriva a dire che “spetta al Brasile, non al calcio” risolvere i problemi. Un altro punta il dito contro le recenti proteste antigovernative e ironicamente si chiede: “Ma non stavano protestando contro i mondiali di calcio?”
È chiaro che per la Fifa è comodo riempirsi le tasche per poi voltare le spalle al paese. Anche per i politici brasiliani è comodo fingere di essere stati colti di sorpresa quando le inevitabili conseguenze dell’evento sono arrivate. La Fifa e lo stato brasiliano, alleati tra loro, per dieci anni hanno pianificato e orchestrato l’attacco alla popolazione: a cominciare dall’amministrazione Lula fino a quella del presidente Dilma. La campagna propagandistica è stata massiccia: le infrastrutture e gli stadi promessi avrebbero portato sviluppo economico e benessere, dicevano.
All’atto pratico, però, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Decine di articoli scritti da esperti nel corso degli anni dimostrano che non solo questi grossi stadi rappresentano una spesa enorme e non aiutano l’economia locale, ma sono anche una palla al piede perché non si reggono in piedi da soli. Aggiungiamo, poi, che distruggono le aree urbane circostanti, sulle quali scaricano le esternalità negative.
In verità i mondiali, così come le olimpiadi di Rio del 2016, erano una scusa velata che serviva a nascondere una concentrazione di potere quasi dittatoriale e a pompare soldi nelle tasche delle società di costruzioni, probabilmente l’industria più addentro nello stato in Brasile.
Ai miliardi di dollari spesi per il mondiale, secondo il dossier Mega-Events and Human Rights Violations in Brazil (Megaeventi e Violazione dei Diritti Umani in Brasile, es), si aggiungono i costi nascosti: l’esproprio e l’evacuazione forzata di 150.000-170.000 persone dalle loro case; atti di dubbia legalità e violazione dei diritti dei lavoratori (nel 2011 avevano già paralizzato le attività dieci volte) che hanno costruito gli stadi; la cacciata di lavoratori e attività economiche locali entro una certa distanza dagli stadi con conseguente repressione poliziesca degli ambulanti; servizi negati alle comunità costrette all’evacuazione; e trasporti pubblici concentrati esclusivamente in aree interessate dagli eventi sportivi, vietando di fatto l’accesso in città ai poveri.
Alcuni costi post-mondiale stanno venendo a galla adesso sotto forma di debiti, ai quali si aggiunge l’incapacità dei consorzi, alcuni dei quali piagati da accuse di corruzione, di gestire i nuovi stadi. È innegabile che lo stato e la Fifa sono complici in questa estorsione ai danni della popolazione. Se i politici, ora che il conto è arrivato, non sanno cosa fare, poco importa: tanto i costi saranno scaricati sulla società, mentre i profitti, per la Fifa e le società di costruzioni, sono già stati privatizzati e intascati.
Durante il mondiale, i brasiliani pensavano che la peggiore umiliazione fosse il sette a uno per mano della nazionale tedesca. La vera umiliazione, invece, è stata l’evacuazione forzata di 170 mila persone dalle loro case in cambio del privilegio di riempire le tasche della Fifa.
Ultima curiosità, durante i mondiali sono stati fatti 171 gol: uno ogni mille persone cacciate dalle loro case.