Gettare il seme dell’infrastruttura ecologica universale
Di Evan Pierce. Originale pubblicato il 13 aprile 2020 con il titolo Beyond UBI: Sowing the Seeds of Universal Ecological Infrastructure. Traduzione di Enrico Sanna.
Ultimamente, si parla tanto di reddito di base universale (RBU), che servirebbe a riequilibrare le disuguaglianze, affrontare la crescente precarietà data dalla disoccupazione tecnologica, e provare a dare a tutti la possibilità di soddisfare i bisogni di base. Da anarchico che vuole la libertà di tutti, concordo con gli obiettivi.
Qui non intendo contestare particolari proposte, tanto meno oppormi al concetto in generale. Anzi credo che se si riuscisse a mettere in pratica una qualche sorta di RBU, questo, come dice Kevin Carson, “accrescerebbe probabilmente la capacità d’azione individuale, perché dipendere dai padroni di casa e dai datori di lavoro significa di fatto dipendere da parti dello stato.” Un RBU funzionante servirebbe certamente a realizzare le idee esposte più giù. Penso però che il RBU abbia ancora molti problemi. Voglio pertanto illustrare un approccio complementare che porti alla realizzazione degli obiettivi.
Il problema più evidente delle varie proposte, almeno dal punto di vista anarchico, è la dipendenza dallo stato. Lo stato e i suoi beneficiari hanno interesse a tenere la popolazione in condizioni di dipendenza. Se l’accesso ai beni necessari a sopravvivere dipende dallo status di cittadino o da altro status legale, cresce l’obbedienza al volere dello stato, anche quando questo volere è un male. Il rischio che corrono certe classi di persone di non essere comprese tra i beneficiari non è nel futuro, ma qui e oggi.
Agli immigrati vengono regolarmente negati beni primari e libertà. L’acqua e il territorio delle popolazioni indigene subiscono continuamente furti e avvelenamenti. Ogni giorno c’è chi viene pestato, derubato, incarcerato e/o ucciso dalla polizia. Elencare i crimini attuali dello stato, per non dire di quelli sanguinari del passato, è immane e non rientra nei fini di questo saggio. Non è difficile immaginare che lo stato continuerà a dividere la popolazione in categorie arbitrarie, estendendo i privilegi di alcuni a spese (spesso mortali) di quelli considerati “altri”.
Se vogliamo soddisfare i nostri bisogni di base con dignità e libertà, non possiamo confidare nello stato, che è sempre stato e continua ad essere il primo espropriatore e distruttore degli strumenti indipendenti di sussistenza. Considerato ciò, qualcuno propone un reddito di base in criptovalute astatuali. Penso che sia un’iniziativa lodevole e spero che abbia successo, anche se non avendo le conoscenze tecniche necessarie posso fare poco per contribuire direttamente. Credo però che abbia punti deboli in comune con le varie proposte statuali.
Una questione spesso trascurata, anche dalle proposte di RBU astatuale, è che poggia su un mezzo di scambio. Una volta riscosso il RBU sotto forma di tot buoni alimentari, dollari o criptomonete, bisogna trovare qualcuno che le accetti in cambio del necessario per vivere, come alimentari, acqua, medicine, vestiti, una casa, energia e così via. Non è precario come dipendere direttamente dallo stato, almeno finché tali risorse non vengono monopolizzate, ma non è come accedere direttamente a ciò che occorre per vivere.
Considero il RBU poco di base e poco universale. Il fatto che si concentri sul reddito monetario è limitante e miope. Come programma, è fragile come il sistema politico-economico in genere. E sostanzialmente non risolve la questione di base della totale dipendenza dall’ambiente fisico con la sua circostante e sottostante ecologia.
Quella che propongo, come strategia complementare di transizione e come componente di lungo termine di una futura società libera, è la rinascita di una Infrastruttura Ecologica Universale.
Molti dei bisogni di base, attualmente ottenuti con il denaro, possono essere soddisfatti con l’interazione in reti viventi tessute consciamente nell’habitat umano. La casa in cui viviamo e l’ambiente circostante possono essere progettati e costruiti in modo da avere una temperatura confortevole, raccogliere l’acqua piovana, fare compostaggio, produrre alimenti, combustibile, fibre, farmaci e mille altre cose e servizi. Possiamo farlo incrementando la diversità biologica e allo stesso tempo fornendo alimento e habitat a tutte quelle forme di vita che ci circondano.
Tecniche e processi, probabilmente un misto di pratiche vecchie e nuove, variano da zona a zona. Crescendo in potere e imponendo egemonia e leggibilità verticale, gli stati imperialisti praticavano una politica di appropriazione dei beni comuni, soffocavano generalmente i mezzi indipendenti di sussistenza e, cosa molto importante, disperdevano le conoscenze locali. C’è molto da [re]imparare.
Si può iniziare osservando e studiando le specie vegetali locali. Mentre studiando le costruzioni più vecchie, cercando di capire perché alcune durano più di altre, si possono ottenere ottime informazioni riguardo il clima e i materiali da costruzione locali.
Informazioni importanti si possono avere cercando su internet alle voci design solare passivo, agricoltura rigenerativa, ristrutturazione ecologica, abitazioni autonome, architettura tradizionale e permacultura. Vedo con grande simpatia la permacoltura e credo che il fenomeno in generale sia spinto da buone intenzioni, anche se con tendenze problematiche purtroppo molto comuni, dalle fregature all’ecofeudalesimo alla proprietà intellettuale. Da migliorare.
Conoscenze e tecniche di base su come mettere su un’infrastruttura ecologica universale si trovano relativamente gratis su internet. Sta a noi diffondere queste conoscenze e aiutare gli altri a metterle in pratica. Serve solo la forza di iniziare a provvedere direttamente ai nostri bisogni, occorre coordinarsi con fantasia per difendere l’ambiente in cui viviamo dalla distruzione, gli sprechi e il parassitismo dello stato e del capitalismo.
Non è un progetto attuabile all’istante con qualche atto d’imperio o per decreto. Nascerà nelle pieghe del sistema con il graduale risanamento della terra, con la ricostruzione dell’habitat, con la [ri]nascita di reti di mutuo soccorso tra esseri umani e non. Né costruire un’infrastruttura ecologica è sufficientemente liberatorio di per sé. Piuttosto è una parte necessaria, così come l’occupazione di spazi inutilizzati, gli scioperi, i mercati equi, l’autodifesa della comunità e l’edificazione di strutture sociali, culturali e tecnologiche che contribuiscano alla libertà.
Forse il denaro non cresce sugli alberi, ma molti alimenti, combustibili, fibre e farmaci sono di origine vegetale. La presenza massiccia di piante, inoltre, come nei boschi, può influire sulla piovosità locale. Le piante possono anche regolare la temperatura facendo ombra di giorno e rallentando il rilascio del calore di notte, o arginare il vento. E poi aiutano a purificare l’aria dagli inquinanti e assorbono biossido di carbonio rilasciando ossigeno. Popolare di alberi l’ambiente umano è un modo per soddisfare i bisogni basilari e un passo verso la soluzione di molti problemi.
L’analisi di settore è un concetto molto utile della pianificazione di una permacoltura che parte dall’osservazione dei pattern energetici che entrano nella composizione di un sito. Per certi versi, niente potrebbe essere più fondamentale o universale di questa “composizione”. Qual è la posizione del sole nel corso della giornata o dell’anno? Quale il vento prevalente? Dove scorre l’acqua e dove si accumula? È importante individuare questi e altri pattern e farne la base del nostro progetto.
Se queste energie sono di aiuto o d’intralcio alla vita in una data località dipende da come tale località è stata preparata ad accogliere tali energie. Gli incentivi perversi del capitalismo di stato fanno sì che molte strutture abitative siano inutilizzabili senza l’apporto costante di energia fossile. Questo bisogno costringe a dipendere dalle industrie estrattive, che a loro volta impongono significative esternalità negative.
Un recente articolo di Kevin Carson, Pandemia: Lo Stato Cura o Provoca?, tocca l’argomento quando cita un articolo di Vinay Gupta, di cui intendo ribadire i temi: “la ricchezza come capacità di sostenere la vita” e la “enorme libertà insita nel possesso dei mezzi di sussistenza”:
Mille dollari al mese in combustibili significano la tua vita che finisce nella spazzatura, perché il posto dove vivi ti succhia l’esistenza con perdite di calore, che significano perdite di soldi, che significano perdite di tempo. […] il tempo utilizzato per guadagnare quei soldi è sprecato perché si tratta di sistemi inefficienti, niente affatto ottimali!
Invece di edifici che succhiano la vita, possiamo edificare, come dice Emma Goldman, “cose utili e belle, cose che aiutano a migliorare il corpo, a creare ambienti che invitano a viverci.”
Nei climi freddi, una casa ben progettata avrà le finestre rivolte verso il sole così da assorbire calore durante il giorno, magari con degli alberi o altro che rallentino o devino i venti freddi. Nei climi caldi, lo stesso principio verrà applicato in senso inverso, sfruttando le correnti d’aria per rinfrescare e l’ombra per evitare l’esposizione al sole durante le ore più calde. In quasi tutti i climi, il sottosuolo ha una temperatura prossima alla media annuale, una stabilità termica può essere usata per minimizzare il bisogno di scaldare o rinfrescare l’ambiente. Il principio secondo cui si può usare la massa termica per moderare il microclima in uno spazio isolato trova molte applicazioni.
Ogni località ha il suo insieme unico di clima e microclima, e se è vero che individualmente si può fare poco per influire sul clima globale, è però vero che si può fare molto per influire sul microclima. Con l’osservazione e una progettazione adeguata, possiamo arrangiare e orientare le varie parti di un ambiente in modo da utilizzare le tante diverse energie al fine di soddisfare passivamente le necessità basilari.
Molte cose sono difficili da produrre localmente, ma dipendere per quasi tutto da una rete di approvvigionamento globale genera precarietà e insostenibilità. Se però si mantiene un sistema di supporto vitale resistente e adattato alla natura del luogo, osservando l’ambiente circostante e adattando il comportamento ad esso, si possono soddisfare le necessità di base quasi ovunque.
Occorre progettare e realizzare sistemi agro-ecologici resistenti che forniscano l’habitat a una ricca diversità di vita e che allo stesso tempo diano alimenti, medicine, materiali da costruzione e così via. Occorre costruire e adattare le abitazioni esistenti così da aumentarne l’efficienza passivamente. Generare e rigenerare l’infrastruttura ecologica necessaria alla vita significa agire direttamente, autonomamente e gradualmente. Si può partire localmente e crescere tutti assieme fino a diventare un movimento globale e universale. Non abbiamo bisogno del permesso dello stato o dei padroni, basta semplicemente organizzare la resistenza assieme, difenderci quando, inevitabilmente, cercheranno di fermarci.
Come dice il permacoltore Bill Mollison, “La tragica realtà è che sono pochissimi i sistemi sostenibili pensati o realizzati da chi ha il potere, e la ragione è ovvia e semplice: lasciare che sia la gente a procurarsi il cibo, l’energia e la casa da soli significa perdere il controllo politico e economico su di loro. Dobbiamo smettere di chiedere aiuto alle strutture di potere, ai sistemi piramidali, allo stato, e cercare un modo per aiutarci da soli.”
Vogliamo un mondo che soddisfi i bisogni di tutti e diffonda una libertà illimitata. Se vogliamo avere un qualche successo, ci sono infinite tattiche, tecniche e procedimenti su cui confidare. Adottare come obiettivo di lungo termine e come strategia immediata la creazione di infrastrutture ecologiche universali significa guardare la realtà attraverso molte lenti, avere molti strumenti per costruire, e alleati con cui vivere e lottare.
Nella sua forma matura, una infrastruttura ecologica universale potrebbe somigliare ad una utopia solarpunk, non il comunismo automatizzato di lusso ma almeno qualche comodità passiva, l’orto dietro casa e niente bollette da pagare. In un lontanissimo futuro, infrastruttura ecologica universale potrebbe significare trasformare in giardini gli asteroidi, perché, come dice Octavia Butler, “Il destino del seme terrestre è di germogliare tra le stelle.”
E tutto questo può partire dai fiori nelle crepe del marciapiede, le piantine sul davanzale, una buca per l’acqua, un giardino forestale, e case che si integrano nell’ambiente circostante.