Di William Gillis. Originale pubblicato l’otto agosto 2019 con il titolo Anti-State Responses to Terrorism. Traduzione di Enrico Sanna.
Un’altra settimana e un altro attacco terroristico misogino e/o del nazionalismo bianco. Si incitano a vicenda, formano vasti movimenti, ecosistemi, reti di cellule. The Base, Atomwaffen, The Rise Above Movement, American Identity Movement, Hammerskin Nation, Wolves of Vinland, European Kindred, Proud Boys. Nomi e fazioni si moltiplicano. Le orde si riuniscono online per esultare all’ennesima atrocità e spingere avanti. Non si sa se le sparatorie continueranno con questa cadenza o se convergeranno in qualche drammatica escalation. Forse faranno una strage in un asilo. O gaseranno una città. O, mettendo in pratica il nome “Squadre della Morte di Destra”, andranno a sterminare il nemico porta a porta. Pare che tutto lo spettro politico tranne gli antifascisti abbia deciso di stare a guardare lo spettacolo.
Mi chiedo molto spesso perché la coalizione anti-Bush si sia frantumata di fronte al riemergere del fascismo. Le ragioni sono tante: la saga dei paleoconservatori, ad esempio. Io però credo che si sottostimi il fatto che ci sono due concetti di insurrezione.
Ai tempi dell’undici settembre, quando sinistra, liberal e libertari finirono per accettare la drastica espansione del potere statale e si strinsero alla ricerca di qualche calore, era normale sentire due diverse analisi della Guerra al Terrore:
La prima era che la guerra islamista non fosse una minaccia reale.
La seconda era che questa guerra fosse così potente contro lo stato che gli Stati Uniti non potessero abbatterla.
Non ci si rendeva mai conto di quanto fossero contraddittorie queste due posizioni.
Nel primo caso, Al Qaeda era un’organizzazione criminale che poteva e doveva essere arrestata e condannata nel contesto della tutela penale. Nel secondo caso, Al Qaeda era i Vietcong destinati alla vittoria contro l’impero, e prima gli Stati Uniti si sarebbero ritirati e più se la sarebbero cavata a buon mercato.
Genericamente parlando, i liberal assunsero la prima posizione e gli anarchici la seconda. Libertari e sinistra si divisero, un po’ da una parte e un po’ dall’altra.
Questa divisione era originata dal riconoscimento di un conflitto asimmetrico. I liberal credevano nelle capacità infinite dello stato, mentre gli anarchici confidavano sull’alta efficacia della lotta decentrata.
Per questa ragione, spesso dimenticata, noi anarchici prendiamo molto seriamente l’organizzazione fascista: perché crediamo nel potere dell’attivismo estremista e della rivolta (pur respingendo forme specifiche di terrorismo). Se uno crede che queste forme organizzative decentrate, o dal basso, siano efficaci o possano addirittura mettere a terra l’impero americano, allora i fascisti, quando usano le stesse strategie, costituiscono logicamente una minaccia più grossa di quella dell’impero.
In quest’ottica, se da un lato riconosciamo che la Guerra al Terrore è un male e neoconservatori e neoliberali sono dispotici, dall’altro capiamo che la lotta fascista è peggio.
Ma per quei liberal che non credono nel conflitto asimmetrico e nella rivolta, e che per anni hanno detto che il terrorismo non era una minaccia reale, per loro la logica è capovolta. Il terrorismo misogino e nazionalista bianco deve essere inquadrato come distrazione marginale. È da condannare, ma non è un pericolo esistenziale.
Un punto di vista che però porta sempre a temere la repressione di stato più del terrorismo paramilitare, istintivamente separando nettamente le due cose. Così la lotta anarchica contro l’attività neonazista è inquadrata prima di tutto in termini di paura dei liberal di “dare allo stato la licenza di opprimere”.
Mentre per gli anarchici l’impero americano, pur sempre un male, è quasi periferico rispetto al pericolo potenziale della lotta reazionaria. Da qui gli anarchici che vanno in Siria a combattere l’Isil e quelli che combattono le squadracce fasciste. Questi conflitti sono più guerre del tipo rivoltosi contro rivoltosi piuttosto che istituzioni contro rivoltosi, quest’ultimo rappresentato dalla Guerra al Terrore condotta dagli Stati Uniti.
In virtù della nostra politica, noi anarchici crediamo nella forza della rivolta decentrata. Crediamo che una piccola minoranza possa rifare il mondo, che la lotta possa imporre costi tali da rendere insostenibili le ingiustizie. Sappiamo che certi contesti tecnologici e sociali creano relazioni asimmetriche di conflitto a vantaggio di chi attacca. Che si tratti di diffondere torrent per mettere in crisi l’industria o di armi per innalzare i costi della repressione di stato. Sabotare convogli militari e riprendere clandestinamente la repressione brutale sono forme di lotta dal basso che intralciano, complicano e scardinano il sistema di potere. Se non credessimo nella forza di una tale rivolta, staremmo con Noam Chomsky, che non vede alcuna possibilità di erodere o far crollare il leviatano e pertanto pensa che si debba votare e riformare lo stato.
Ma se, da anarchici, adottiamo certe forme di lotta, è vero però che rifiutiamo il terrorismo sia come attacco contro civili che come sfruttamento ai fini del controllo dell’irrazionalità creata dal terrore. Una persona sensata potrebbe avere dubbi sullo status di combattente di un propagandista dei Proud Boys (organizzazione di estrema destra, es) che dovesse unirsi a lui in un attacco contro avversari politici rivelando i loro segreti, ma è chiaro che neanche partecipare alla fiera dell’aglio è un atto da combattenti. Scoraggiare un’organizzazione razzista con la denuncia, lo sputtanamento e il boicottaggio è un raro esempio di mercato in opera: scelte razionali e reazioni. Chi spara alla folla in un centro commerciale sta intenzionalmente sfruttando qualcosa che è molto più primordiale e irrazionale ovvero, in altre parole, reazionario.
Se è vero che noi anarchici crediamo fermamente nella lotta dal basso, e purtroppo questo ha significato talvolta uccidere direttamente qualche oppressore, è però vero che il terrorismo vero e proprio non è nel nostro menù. Non può esserci.
La lotta è fatta di impicci e complicazioni, il terrorismo semplifica. Il terrorismo è il brodo primordiale dello stato, una violenza che ci induce a non pensare criticamente, ad affidarci a rassicuranti e semplicistici poteri gerarchici, a concetti immediati di ordine e potere. Lo stato è l’espressione massima del terrore armato, tiene in scacco l’intera popolazione servendosi del disturbo da stress post-traumatico.
Bastano poche gocce di sangue ad innaffiare le radici del dispotismo più radicale. La polizia non ha bisogno di uccidere tutti i negri per far sì che nessuno osi alzare la testa. Basta un po’ di sangue, qualche assassinio occasionale, e tutta la popolazione è sottomessa.
Chi fa il solito sarcastico confronto quantitativo tra terrorismo e malattie cardiache non capisce che ciò che accade ai margini può cambiare drasticamente il resto della società.
Quando, tra gli anni ottanta e novanta, i neonazisti presero d’assedio le strade di Portland (fatto documentato da un giornalista in A Hundred Little Hitlers dopo un assassinio di alto profilo da parte di East Side White Pride), la cosa ebbe un forte impatto sulla vita quotidiana di attivisti e minoranze. Quando ognuno cambia il proprio comportamento per evitare di esser preso di mira dalla polizia o dai nazionalisti bianchi, basta che il braccio repressivo colpisca quei pochi che si pongono in vista per tenere tutti gli altri in riga.
Io credo che molti conservatori, eccitati dalle parole e dalla disinformazione diffuse dai fascisti veri nell’ambiente dei media conservatori nell’era di Trump, sinceramente vedano l’antifascismo in termini di terrorismo. Ogni bullo fascista dotato di tatuaggi nazisti fatti in carcere non è altro che un innocente sbruffone, terrorizzato da ragazzini che credono di essere giustizieri sociali e indotto a criminalizzare ogni opinione leggermente diversa dalla sua. Ha fatto proprio un certo falso vittimismo la prima volta che ha sentito parlare di antifascismo da parte di certi conservatori creduloni e opportunisti nel 2017, e ora è passato troppo tempo, ha interiorizzato troppo e molto difficilmente cambierà, nonostante le evidenze.
La verità è che l’antifascismo è stato deriso per decenni dai comunisti dispotici e dalle giovani generazioni che credono nella giustizia sociale perché ritenuto troppo accondiscendente, troppo pragmatico, troppo limitato. Una volta un’amica mi ha stressato lamentandosi di certi antifascisti che si erano rifiutati di pestare un razzista che lei aveva visto in un bar. Quando li ho interessati alla cosa, ha detto, gli antifascisti hanno alzato gli occhi al cielo: “Noi cerchiamo di evitare che i fascisti si organizzino e facciano danni, e questo è già pesante anche senza fare a botte con tutti i nonnini fascisti che incontriamo, e ce ne sono milioni. Non la finiremmo più. Ci sono nazisti usciti di galera che hanno giurato di farci fuori; abbiamo cose più importanti a cui pensare.” Lei era scandalizzata da quella risposta così “problematica”.
Bè, io ho sempre ammirato queste risposte. Gli strumenti usati dagli anarchici servono a smontare, bloccare, non a creare qualche nuovo regime sostenuto dal terrore. Se i fascisti si organizzano, rovinagli la festa. Quando cercano di farlo di nascosto, denunciali pubblicamente. Quando cercano di seminare terrore per le strade, respingili. In maniera accorta, con rare insistenze, e senza arrivare mai al loro livello. Quando poi tornano a una qualche normalità, lasciali stare.
Non abbiamo detto nulla quando si buttava sangue finto in un ufficio di reclutamento militare, e non diciamo nulla quando si butta un milk-shake ad un raduno di reclutamento fascista (allusione a due fatti avvenuti negli Stati Uniti; es). Non c’è differenza. Che si tratti di marines, l’Isis o Atomwaffen, sono tutte organizzazioni terroristiche.
La “Guerra al terrore” è stata una guerra DI terrore fin dall’inizio. Una simbiosi. L’impero bombardava e gli islamisti bombardavano in risposta. Una palude in cui terrorismo istituzionale e terrorismo sovversivo erano l’uno contro l’altro. Da notare che l’Isis è collassato solo grazie ai volontari e al sacrificio di forze insurrezionali antidispotiche. Sono stati gli insurrezionalisti anti-terrore a fermare gli insurrezionalisti del terrore. Ma anche se l’Isis è in ritirata, non c’è modo di togliere l’incarico all’apparato imperiale americano. La sola idea suscita le risate.
Per contrasto, data la sua natura decentrata, dal basso, volontaristica, l’attivismo antifascista, a differenza della polizia, si è coerentemente ritirato quando il mostro è tornato nella tana.
È deludente vedere così tanti liberal negare anche solo l’idea che il terrorismo possa essere una minaccia reale. Lo fanno per la stessa ragione ideologica per cui i conservatori rifiutano d’istinto l’idea che il riscaldamento globale possa essere reale. Temono l’ovvietà della conseguenza: Se una data minaccia è reale, la risposta più ovvia è l’allargamento del potere dello stato. E allora preferiscono negare la realtà della minaccia.
Ma il terrorismo è una minaccia reale. E per loro non solo non c’è altra opzione all’infuori dello stato, ma lo stato è l’opzione peggiore.
Ma per combattere il terrorismo che nasce dal basso non ervono apparati ancora più terroristici, rigidi e burocratici come lo stato. Dobbiamo ricorrere invece a forme resistenziali volontaristiche di base.
Ed è qui che l’antifascismo rappresenta forse la sfida più seria mai rivolta contro lo stato di polizia creato dalla Patriot Act. Oggetto della sfida è la necessità di proteggerci con un apparato statale oggi diventato un sistema spionistico grottesco ed estremista. Se gli abitanti di un quartiere riescono ad unirsi nella lotta contro i nazionalisti bianchi, se riescono a generare un loro sistema investigativo e garantirsi sicurezza e solidarietà reciproca, se riescono in tutto ciò la legittimità dello stato scompare.
Anche solo per questo, gli antifascisti meritano la nostra attenzione e la nostra simpatia. Ed è probabilmente per quest’unico peccato che i vari Ted Cruz del mondo si stanno scatenando contro di loro.
Due cose: il terrorismo dei nazionalisti bianchi non potrà mai essere sconfitto dallo stato, e non c’è minaccia più grande per lo stato della popolazione che risolve i propri problemi per conto proprio. In fin dei conti, è questo il peccato mortale che assilla i conservatori. Quando i contestatori riportano l’ordine e scacciano via la minaccia dei nazionalisti, il monopolio della violenza, lalegittimità, dello stato vengono meno. Ed è un mondo nuovo costruito nel guscio del vecchio.