Venerdì scorso (undici aprile), un terreno nei sobborghi di Rio de Janeiro è stato reso al gigante della telefonia fissa Oi. L’area, conosciuta come “favela da Jelerj” era stata occupata da 5.000 persone, provenienti soprattutto dalle favelas di Mandela, Manguinhos e Jacarezinho, che lì avevano costruito le loro case improvvisate. Ci sono stati scontri con la Polizia Militare durante l’applicazione dell’ordine di sgombero e un giornalista del quotidiano O Globo, che seguiva le operazioni della polizia, è stato arrestato.
Questa è la stessa Rio de Janeiro in cui migliaia di famiglie sono state espropriate delle loro case per fare spazio alle strutture dei mondiali di calcio 2014. Non solo sono stati sloggiati, ma mediamente hanno ricevuto un risarcimento minimo e sono stati trasferiti in zone molto lontane. Secondo il Comitato Olimpico e dei Mondiali di Calcio, che si è lamentato al proposito, gli espropri, che vanno oltre il necessario, spazzano via intere comunità povere per lasciare spazio a progetti di sviluppo urbano a beneficio delle imprese immobiliari.
Nel frattempo, l’Aneel (l’ente nazionale per l’energia elettrica) ha approvato l’esproprio di territori indigeni per la costruzione della diga di Belo Monte. Una lamentela fatta alla Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani ha spinto quest’ultima nel 2011 a chiedere che lo stato brasiliano “garantisca subito il completamento del processo di regolarizzazione dei territori delle popolazioni indigene del bacino del fiume Xingu, adottando misure efficaci per la protezione delle terre, considerata l’occupazione e appropriazione illegittima da parte di popolazioni non indigene e il loro sfruttamento e spreco di risorse naturali”. Ma il governo ha fatto finta di nulla: Nel 2012 è stato formalizzato l’ultimo esproprio, che autorizza lo sfratto delle popolazioni lungo il fiume, nativi e piccoli agricoltori, per via amichevole o giudiziaria.
A vedere con quanta “efficienza” è stata restituita la proprietà alla Oi, uno potrebbe pensare ingenuamente che il governo brasiliano è un grande difensore della proprietà privata. Ma è lo stesso governo, e controlla la stessa polizia, che ha espropriato gli indigeni senza dare loro la possibilità di difendere effettivamente i loro possedimenti. Con il pretesto del “bene comune”, si fa carta straccia del diritto alla proprietà e ad una casa.
In un’intervista, il sindaco di Rio de Janeiro disse che non avrebbe permesso “privilegi agli occupanti abusivi”, che lui contrappose a quelli che sono in lista d’attesa in programmi come Minha Casa, Minha Vida (“La Mia Casa, la Mia Vita”). Questo è solo un piccolo esempio di quanto il governo brasiliano sia determinato a controllare l’accesso ai terreni edificabili.
Come nota Pedro da Luz Moreira, presidente regionale dell’Istituto Brasiliano di Architettura, “Minha Casa, Minha Vida viene promosso nelle periferie, molto lontano dal centro dove è il lavoro. La sopravvivenza delle famiglie dipende da questo. Non ho informazioni precise sull’occupazione del palazzo Telerj, ma so che si trova vicino al cuore della città, dove sono le opportunità di lavoro.”
Questo è un esempio di quello che l’anarchico individualista Benjamin Tucker chiamava “monopolio territoriale”. Scrivendo verso la fine dell’ottocento, Tucker si concentrò sugli aspetti rurali del problema, descrivendo il metodo usato dal governo per “garantire titoli di proprietà su terre che non sono né occupate né coltivate”.
Nella sua versione aggiornata al ventunesimo secolo, uno degli strumenti principali dello stato per l’emarginazione dei poveri è il controllo delle terre edificabili. Primo, con i regolamenti edilizi nega ai poveri l’accesso all’edilizia a basso costo (a Rio tramite il divieto di costruire condomini, che ha dato origine alle moderne favelas, e il divieto di entrare in possesso di una terra pubblica con l’usufrutto). Secondo, queste persone diventano soggetti dello stato quando si iscrivono in lunghe liste d’attesa per poter avere un terreno, fuori dalle aree urbane e sotto lo scrutinio attento della burocrazia.
Albert Jay Nock diceva che lo stato è stato creato con l’obiettivo criminale di creare una classe subordinata priva di accesso alla proprietà, a beneficio delle élite che hanno accesso alla terra. Lo stato brasiliano, con la sua difesa assidua della “proprietà privata” delle grandi imprese, combinata con lo sforzo costante di privare i poveri della loro proprietà e controllare il loro accesso alla terra, è la prova di questo obiettivo criminale. Dopotutto, a chi possono chiedere il risarcimento gli espropriati di Belo Monte e dei Mondiali di Calcio?