Cos’hanno in comune Barack Obama e Donald Trump? Fra l’altro, il fatto che non sanno, o fingono di sapere, perché i musulmani ci odiano. Trump dice (stavo per scrivere “crede”, ma non so se esiste qualcuno, compreso Trump, che sappia in cosa crede) che i musulmani dovrebbero essere tenuti alla larga dagli Stati Uniti finché “i rappresentanti della nazione non avranno capito cosa sta succedendo.”
Notate che tra quelli che non hanno capito cosa accade Trump mette anche se stesso; altrimenti l’avrebbe detto. O non sa, oppure non gli importa, di sapere perché qualcuno vuole uccidere americani.
Riconosciamo lo sforzo di questi membri dell’élite americana: occorre un grande sforzo per trasformare in mistero il terrorismo antiamericano (e antioccidentale) che arriva dal Medio Oriente. Occorre una forza eccezionale per tenere un’aria innocente davanti ai fatti di San Bernardino e di Parigi, perché nessuno che sostiene di essere informato può dire di non essere al corrente della lunga esperienza imperialista americana e occidentale nel mondo musulmano. Tra le altre cose, la sovversione della democrazia iraniana ad opera della Cia nel 1953, il sistematico appoggio del governo americano alle dittature e alle corrotte monarchie arabe compiacenti, il via libero agli sciiti iracheni, e l’appoggio incondizionato alla politica israeliana contro la Palestina (l’attacco selvaggio del 2014 a Gaza uccise molti civili).
Durante i dieci anni che precedettero gli attentati dell’undici settembre, le amministrazioni di George H. W. Bush e di Bill Clinton bombardarono l’Iraq, e imposero un embargo che colpì soprattutto le infrastrutture idriche e sanitarie che le forze armate americane avevano distrutto durante la Guerra del Golfo. Morì mezzo milione di bambini. A quei tempi le autorità americane promisero, salvo rimangiarsi la parola, di spostare le basi americane via dai luoghi sacri dell’Arabia Saudita.
Gli americani uccidono civili dall’alto, regolarmente, in Siria e in Iraq; il caso più recente questa settimana, quando “almeno 36 civili, compresi 20 bambini, di un villaggio della Siria orientale” sono stati uccisi, secondo McClatchyDC. Gli americani ci fanno caso? Certo che no. Ecco perché i fatti di San Bernardino e Parigi possono essere fatti passare per misteriosi.
Cose così accadono continuamente. L’attacco americano contro l’ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, Afganistan, spicca particolarmente sullo sfondo fatto di crimini di guerra.
È dal 2001 che il governo americano porta avanti una guerra a distanza con i droni in un gran numero di posti, come l’Afganistan, lo Yemen, la Somalia e il Pakistan. Gli americani hanno un’idea di cosa significhi vivere sotto la minaccia dei droni? Sapete già che la risposta è no. Ma molti musulmani lo sanno, e molti altri potrebbero simpatizzare con loro.
Visto che gli assalitori di San Bernardino avevano origini pakistane, vale la pena concentrare l’attenzione sulla guerra condotta lì con i droni, una guerra che fa parte della lotta contro al Qaeda e i talebani in Afganistan. Steve Coll, nel suo articolo pubblicato il 24 novembre 2014 sul New Yorker, “The Unblinking Stare: The Drone War in Pakistan” (Lo Sguardo Impassibile: La Guerra con i Droni in Pakistan), evidenzia come quel paese “ha subito più attacchi con i droni – circa quattrocento – di ogni altro paese.” Scrive Coll: “I droni armati sono velivoli lenti senza pilota equipaggiati con videocamere, apparecchiature d’ascolto e missili aria-terra. Possono sorvolare l’obiettivo per ore, trasmettendo filmati di ciò che accade di sotto, e poi colpire improvvisamente.” Il più delle volte, i “piloti” a distanza non sanno chi stanno colpendo.
Obama ha detto che la guerra condotta con i droni uccide pochi civili, ma è stato smentito da molte fonti autorevoli, tra cui, dice Coll, un gruppo di studenti di legge della New York University e di Stanford, che ha scoperto come “i droni comandati dalla Cia abbiano una capacità di distinguere i civili molto più bassa di quanto non dicano i vertici dell’agenzia.”
Le stime sulle vittime variano ma è il totale che conta, soprattutto per le famiglie, gli amici e i musulmani lontani che vedono i loro correligionari uccisi mentre badavano ai propri interessi.
Cosa trasforma un musulmano arrabbiato e dolorante in una persona disposta ad uccidere americani indiscriminatamente? Difficile rispondere in maniera esauriente. Ma quando una violenza come quella imposta dagli Stati Uniti spinge un musulmano verso forme di fede più “radicali” alla ricerca di una vendetta, la ragione è più politica che religiosa. Se gli atti terroristici avvenissero in tempo di pace, sarebbe un’altra cosa. Ma non è così.
Non sono i musulmani “moderati” che devono muoversi per mettere fine al terrorismo. Il compito spetta ai responsabili della politica estera americana, le cui atrocità trasformano gli americani in obiettivi a casa loro.
Pubblicato anche su Free Association.