Oggi un individualista in politica rischia di farsi una nomea. Non c’è da sorprendersi. Dopotutto la politica è dominata da politici eletti, e la politica elettorale va essenzialmente contro l’individuo. In un libero mercato o in un’associazione volontaria di qualsiasi genere, le persone in disaccordo sarebbero libere di andare da qualche altra parte. Le elezioni governative, al contrario, servono a dare alla maggioranza politica la possibilità di imporre a forza le sue leggi, i suoi progetti e i suoi governanti contro le obiezioni della minoranza, costringendo tutti quanti ad obbedire a quelle leggi, finanziare o partecipare a quei progetti, e accettare quei governanti.
Eppure, anche se è irrealistico aspettarsi che chi è fortemente interessato alla politica elettorale accetti l’individualismo, non è esagerato chiedergli di non cercare un tornaconto politico distorcendo la nostra posizione. Ma, visto che così è, vale la pena di perdere un po’ di tempo a mettere i puntini sulle i.
Prendete ad esempio “The Social Animal”, scritto dall’opinionista David Brooks sul neoconservatore New York Times (12 settembre 2012). Comincia citando Goldwater (da The Conscience of a Conservative) secondo cui “Ogni uomo è responsabile del progresso verso il bene suo e della sua società. Le scelte che governano la sua vita sono scelte che lui, e nessun altro, deve fare… La questione più importante per un conservatore deve essere sempre: Stiamo massimizzando la libertà?”
Concetti Démodé?
Secondo Brooks, i concetti di Goldwater sembrano venire da una concezione dell’uomo basata su un individualismo rude e solitario: “il duro pioniere che emigra ad ovest, l’imprenditore che accetta il rischio per seguire il suo sogno, l’eroe che combatte il nemico collettivista.” Brooks protesta dicendo che c’è “un mare di ricerche” sociologiche che dimostra come il concetto démodé di individualismo alla Goldwater non sia supportato dalle recenti scoperte empiriche perché, così dice Brooks, gli esseri umani sono creature sociali per natura, intrecciati tra loro nel tessuto dell’esistenza sociale.
Quindi attacca certe politiche repubblicane che secondo lui sono troppo legate al vecchio concetto di libero mercato alla Goldwater: tagli alle tasse, buoni scolastici finanziati fiscalmente, e in ambito sanitario “una libera scelta individuale finanziata con le tasse”. Brooks fa capire che i principi individualistici del libero mercato hanno impedito ai moderni conservatori di dare una spiegazione razionale ai giganteschi salvataggi accordati dallo stato, con soldi pubblici, alle grosse società di investimento e ai capitalisti a ipoteca (apparentemente, il fatto di non saper spiegare razionalmente questi salvataggi è un problema legato all’individualismo, non ai salvataggi in sé). E conclude dicendo che l’eredità di Goldwater, un irrealistico individualismo di libero mercato, è oggi “ciò che maggiormente impedisce la modernizzazione dei repubblicani”, cosa che a suo parere ha azzoppato il tentativo dei suoi amici repubblicani di offrire risposte plausibili ai “più gravi problemi di oggi”, problemi che hanno origine nel fatto che “le persone mancano di un ambiente sicuro in cui condurre la propria vita”.
Forse Brooks ha ragione quando dice che l’eredità di Goldwater tiene i repubblicani in condizioni di arretratezza politica. È difficile far passare le idee individualistiche, particolarmente perché, concentrandosi sulla politica come soluzione ideale di ogni male sociale, le idee individualistiche restano permanentemente fuori dai media e dalle discussioni pubbliche. Ora, che abbia ragione o meno quando parla del modo migliore in cui i repubblicani possono “modernizzarsi pienamente”, a me non interessa né il partito repubblicano né le sue ottiche politiche né la reputazione di Barry Goldwater. Mi interessa l’ottica dell’individualismo e di un mercato davvero liberato. E l’arringa di Brooks contro entrambi contiene una serie di errori gravi e fuorvianti.
In sostanza, Brooks condanna una politica di libero mercato perché sa di individualismo, e condanna l’individualismo perché gli uomini sono animali evidentemente sociali, che vivono vite indipendenti ma ricavano soddisfazione e importanza attraverso le reti sociali, la comunità e la condivisione dei progetti. Brooks cita pensatori conservatori come Edmund Burke, che apprezzava “il valore delle associazioni, le istituzioni e i legami invisibili tra individui”. Apparentemente, crede che tutto ciò sia avulso dagli individualisti sostenitori del libero mercato. Certo gli esseri umani sono creature sociali, e le associazioni, le istituzioni, e i legami invisibili tra individui hanno un’importanza profonda quando si condivide l’esistenza e i mezzi di sussistenza. Ma usare questo argomento contro l’individualismo non ha fondamento logico. Quando mai un individualista ha negato queste cose?
Generalmente gli individualisti, contrariamente a ciò che sostiene Brooks, non hanno niente contro il vivere sociale. È nella vita di tutti i giorni che capiamo quanto dipendiamo gli uni dagli altri. Questo è evidente nel fatto che crediamo che l’inquadramento dello stato possa essere sostituito da associazioni volontarie in un mercato liberato. E se non è abbastanza evidente, cerchiamo di renderlo ancora più chiaro.
Un mercato liberato è né più né meno una forma di collaborazione sociale spontanea. Il mercato non esiste se non ci sono persone che collaborano tra loro per acquistare e vendere, persone che dipendono da altri che lavorano, inventano, trovano opportunità e che generalmente si danno da fare per barattare qualcosa. Ogni individuo ha infinite possibilità di collaborare senza usare il denaro: la famiglia, il volontariato, le comunità, le confraternite, o anche le società di mutuo soccorso e le unioni di lavoratori.
Collaborazione o Coercizione
Il dibattito tra individualisti e collettivisti “modernizzati” in realtà non ha niente a che vedere con la questione se un essere umano debba vivere socialmente o meno; ha a che vedere con il modo in cui ci si associa per lavorare e vivere assieme. Ovvero, il mutuo rapporto deve essere collaborativo o coercitivo? Un mutuo rapporto è veramente collaborativo solo se è volontario, se si basa sulla persuasione e il libero accordo tra le persone coinvolte piuttosto che sulla forza e l’obbedienza imposta da pochi.
Brooks sembra credere che gli uomini abbiano due sole possibilità: vivere come eremiti solitari, non collaborativi ma liberi, “rudi individualisti” incuranti degli ultimi, oppure vivere in una rete di collaborazioni come “creature integrate nella società”, prive di libertà, sotto il peso delle tasse e dei regolamenti che lo stato getta sulle spalle degli uomini per assicurarsi che stiano buoni entro lo schema sociale voluto dallo stesso stato incurante della loro volontà. E dov’è la terza, ovvia possibilità: la collaborazione volontaria?
L’individualismo non è una teoria filosofica che giustifica comportamenti antisociali, l’indifferenza, l’ostilità verso i propri simili. È il collettivista, non l’individualista, che considera gli esseri umani creature aggressive per natura. È lui che neanche prova a cercare la collaborazione ma si serve di programmi che la impongono dall’alto. Promettendo armonia sociale e sicurezza, il collettivista porta solo discordia e violenza.
Gli individualisti credono nell’individualismo proprio perché credono che gli uomini possono e devono avere un atteggiamento civile e sociale tra loro; e perché pensano che la società non abbia bisogno di qualcuno che guidi gli altri con la forza costringendoli a seguire un certo schema. Quello che Brook non capisce è che, partendo dall’individuo, si può mettere su, in maniera naturale, libera a pacifica, una comunità, delle istituzioni e un insieme di legami sociali man mano che si procede nella vita.