Il venti febbraio è scoppiata una rivolta nella struttura correttiva di Willacy, un carcere texano per “immigrati illegali”. Duemila detenuti hanno protestato contro l’incuria e il superlavoro. La situazione è peggiorata rapidamente quando i detenuti sono venuti in possesso di armi contundenti, invadendo il cortile e smantellando o bruciando quelle strutture a cui erano incatenati da troppo tempo. Quando la rivolta si è trasformata in un’occupazione del carcere, i secondini hanno cercato di sedarla usando i lacrimogeni, ma il vento ha giocato a favore dei rivoltosi. Quando è montata la tensione, quando per i carcerati la sconfitta è apparsa inevitabile, allora hanno deciso di restituire il controllo della struttura alla direzione.
Le rivolte in carcere sono un fenomeno frequente. Fortunatamente, in questo caso non ci sono stati morti. I costi sono stati addebitati unicamente ai proprietari del carcere. La realtà è che questa rivolta ha letteralmente chiuso il carcere. Il 24 febbraio, gli ultimi 921 detenuti sono stati trasferiti in altre strutture e il carcere è rimasto vuoto.
Molti riformisti liberal non approvano la rivolta come tattica legittima volta ad ottenere cambiamenti in positivo. Come fanno tutti i controrivoluzionari, citano le vendette a cui sono soggetti i rivoltosi e la possibilità di critiche negative da parte del mondo esterno. Storicamente, però, le rivolte carcerarie si sono dimostrate un utilissimo strumento per far accogliere le richieste dei detenuti indignati, o almeno per dare voce a chi voce non ha. Nel 1986, come reazione al sovraffollamento, ci fu una rivolta nel penitenziario statale della West Virginia. I secondini furono presi ostaggio. I detenuti erano praticamente condannati a morte. Ma tutto finì in un dialogo tra il governatore e i detenuti, e l’accoglimento finale delle richieste.
A Manchester, in Inghilterra, nel carcere di Strangeway ci fu una rivolta e una successiva occupazione cominciata con un incontro nella cappella. I secondini accorsero in gran numero, anticipando le azioni dei detenuti. La situazione degenerò quando i detenuti cominciarono ad insultare i secondini. La tensione crebbe finché i detenuti non riuscirono ad immobilizzare i secondini e prendere loro le chiavi. Questo fatto convinse gli altri secondini a scappare con i calcagni sul sedere, assicurando una prima vittoria ai detenuti e dando inizio ad uno stallo durato 25 giorni.
I detenuti, alcuni dei quali in precedenza avevano avuto diritto ad una sola ora d’aria, furono liberati. Altre rivolte di solidarietà scoppiarono in altre carceri. Dopo aver provocato danni per 55 milioni di sterline, i detenuti ottennero la simpatia del pubblico e il miglioramento delle condizioni di vita, e il tutto portò ad una riforma a livello nazionale. Oltre a questi, ci sono tanti altri casi in cui la violenza contro le condizioni di vita oppressive si è dimostrata il migliore strumento per ottenere le riforme.
Queste sono persone che non dovrebbero neanche stare in carcere. Nel caso di Willacy, si tratta di persone che semplicemente non hanno i documenti giusti, e che perciò vengono costretti a vivere in tendopoli improvvisate. Dire che sono stati i detenuti a provocare la rivolta è sintomo di mentalità retriva. È stato il personale del carcere a provocarla. È stato lo stato. I secondini. La rivolta ha rappresentato il risultato inevitabile del fatto che persone che chiedevano semplicemente il miglioramento delle proprie condizioni materiali sono state imprigionate e dimenticate lì. Il mondo sarebbe freddo e privo di sentimenti se le prigioni non fossero rase al suolo da quelli che vi sono tenuti prigionieri.
E poi no, gli orrendi abusi dei diritti umani a cui sono soggetti i detenuti non sono il risultato della privatizzazione delle strutture, come sostengono molti riformatori. Sono il risultato dell’ambiente totalitario creato da tutte le prigioni. Se una persona rinchiusa in una cella anela a qualche contatto umano e desidera che gli venga restituita la sua vita, le sue condizioni non diventano improvvisamente solari perché il carcere appartiene allo stato invece che ad un privato. Forse queste imprese d’appalto si convinceranno che il loro modello aziendale è tarato quando le loro strutture cominceranno a bruciare. Empiricamente, la qualità della vita in un carcere cambia di poco se la struttura è gestita dallo stato o data in gestione esterna. Tutte le carceri dovrebbero essere smantellate e bruciate fino alle fondamenta, per poi essere consegnate alla storia assieme alla frusta e al boia. Non c’è alternativa all’abolizione e non c’è carcere che non meriti una rivolta.