È opinione comune che, secondo come vengono formulate le domande, i sondaggi possono produrre praticamente qualunque risposta desiderata. Emily Ekins, parlando dell’atteggiamento della generazione Y su questioni economiche e politiche (“Are Millennials Far Left on Economics? No,” Reason, 18 agosto), dimostra un’incoerenza concettuale quasi totale nell’inquadrare i risultati di un sondaggio Reason-Rupe sulla generazione Y (i giovani tra i diciotto e i ventinove anni, es). Considerato il suo ruolo centrale nell’ideare il sondaggio, non è sbagliato dire che il risultato dice molto più sulle sue premesse che sull’atteggiamento che avrebbe dovuto misurare.
Cosa c’è che non va nelle premesse della Ekins? Prima l’uso intercambiabile di termini come “estrema sinistra”, “sinistra” e “liberal in economia”.
Secondo, definisce implicitamente “di sinistra” chi è “interessato alla ridistribuzione economica”, o sostiene uno stato con larghi poteri. Il fatto che la generazione Y sia “molto scettica verso lo stato” a prima vista significa che non sono “di sinistra”.
Terzo, come prova della loro “vena libertaria” la Ekins nota l’atteggiamento favorevole verso il profitto e il mondo degli affari, e il fatto che i giovani siano più propensi delle generazioni precedenti a credere che le “grandi aziende rappresentino un bilanciamento equo tra profitto e interesse pubblico”.
“Se la generazione Y fosse di estrema sinistra in questioni economiche,” dice la Ekins, “avremmo osservato meno interesse per il mondo degli affari e più per le normative. … La scoperta del sondaggio Reason-Rupe è stata invece che questi giovani vedono favorevolmente gli affari, il profitto, la concorrenza e gli imprenditori.” E poi: “[s]e si stessero spostando a sinistra, non ci saremmo aspettati una crescita dello scetticismo verso lo stato…” E ancora, la maggior parte di loro preferisce un “libero mercato senza coinvolgimenti governativi” ad un “governo forte che mette mano ai complessi problemi economici di oggi”.
Le conoscenze della Ekins in fatto di spettro politico vanno da M a N. Dovrebbe allargare un po’ la visuale. Esiste un gruppo molto più a sinistra dei soliti socialisti e socialdemocratici statalisti (lasciamo perdere i bambocci di centrosinistra che lei identifica con la “sinistra”) che è molto più “scettico verso lo stato” di quanto non immagini. Siamo noi anarchici.
I “liberal” americani, al contrario, rappresentano un’ideologia manageriale-professionale che risale ai primi del novecento. Lungi dal favorire la lotta di classe o promuovere gli interessi dei lavoratori contro le direzioni aziendali, affrontano la società nel suo insieme, cercando di stabilizzarla e ridurne i difetti servendosi dello stesso processo usato in una fabbrica. Per gli aderenti a questa ideologia, il conflitto di classe è fonte di irrazionalità. Il giusto approccio consiste nel trascendere il conflitto di classe tramite la collaborazione di esperti disinteressati e la pianificazione, così che (con una sorta di volemose bene che spiega perché i liberal adorano i “miliardari patriottici” come Warren Buffett) lo stato interviene sia per garantire i profitti dei colossi industriali che per fornire un minimo di sicurezza sociale ai lavoratori. Ma il dominio di istituzioni gigantesche, gerarchiche, gestite da manager tayloristi come loro, è dato per scontato.
Se la Ekins vuole sentire qualcuno che denuncia il management, le gerarchie e la pianificazione in termini che farebbero rizzare i capelli a Friedrich Hayek, dovrebbe frequentare qualche anarchico.
Anche il fatto che consideri di “sinistra” chi sostiene un governo ridistributivo riflette l’assunto che l’attuale distribuzione della ricchezza sia frutto del “libero mercato”, e che solo l’intervento del governo possa mettervi rimedio. Questo ragionamento ignora la lunga tradizione analitica sul ruolo dello stato nel capitalismo fatta da radicali di sinistra. Tra questi, esponenti di sinistra anarchica di mercato come Thomas Hodgskin, Benjamin Tucker e Franz Hoppenheimer, per i quali la funzione principale dello stato consiste nel difendere diritti di proprietà artificiali e nel legare le mani al terzo stato così che la classe di governo possa estrarne la rendita. Visto da quest’angolazione di “estrema sinistra”, il governo distribuisce ricchezza verso i ricchi, e l’unico modo per ridurre la disuguaglianza economica sta nel bloccarlo immediatamente.
La Ekins, poi, identifica i libertari con persone “pro-business” e “pro-profitto” che vedono positivamente le grandi aziende. Io conosco molti commentatori libertari che definiscono i libertari stessi come “pro-mercato, non pro-business”. Ma immagino che la Ekins sia distratta. La realtà è che le grandi aziende sono intimamente connesse con lo stato, che sovvenziona e socializza i costi operativi, protegge dalla concorrenza, assorbe la produzione in eccesso e tiene in piedi l’impero globale entro cui le aziende possono saccheggiare le risorse di altri paesi.
Come si dice in informatica, “se metti immondizia viene fuori immondizia”. E il sondaggio di Reason è immondizia statalista.