Di Logan Marie Glitterbomb. Originale dal titolo Libraries Offer a Model for the Sharing Economy, pubblicato il 15 novembre 2021. Traduzione di Enrico Sanna.
L’espressione “economia della condivisione” è spesso associata ad applicazioni come Uber, Lyft o AirBNB, che sono poco più di un tentativo di cooptare il marchio dell’economia della condivisione senza seguirne i principi. Un’economia della condivisione è genuinamente paritaria; al contrario, le applicazioni sono un intermediario tra lavoratore e cliente. Come esempio, ci sarebbero applicazioni che davvero rappresentano l’economia della condivisione, come Cell 411, freecycle e simili, io però preferisco puntare ad un esempio molto più semplice e meno tecnologico: le biblioteche.
Le classiche biblioteche, pubbliche o private, con i libri, i computer e altro, che rappresentano un modello applicabile a tante altre cose. Secondo gli stessi principi possono funzionare anche le librerie di strumenti, gli infoshop, i laboratori scientifici comunitari, gli hackerspace, i makerspace, le palestre, i frigoriferi comunitari, i centri comunitari, gli orti comunitari e molto altro. Si tratta in tutti i casi di spazi comunitari condivisi in cui i soci hanno accesso alle risorse comuni contenute nello spazio. Le palestre diventano così librerie di attrezzi da ginnastica, gli infoshop librerie di materiale propagandistico radicale, gli orti comunitari librerie di semi, attrezzi da giardinaggio e spazi da coltivare. E così via.
Questo modello permette a più persone di avere ampio accesso a più risorse a costi bassissimi e con pochissimi sprechi. Perché acquistare un attrezzo se lo usi qualche volta e resta inutilizzato per il resto del tempo? Magari fa così anche il tuo vicino, così che ci sono due attrezzi che dopo l’uso stanno lì a prendere polvere. Al contrario, si può andare in una libreria degli attrezzi, prendere quello che serve e renderlo dopo l’uso. Se la libreria degli attrezzi di zona non ha lo strumento che cerchi, puoi comprarne uno e magari donarlo affinché altri possano servirsene. Non c’è nessuna perdita visto che quando ti serve puoi andare a prendere non solo quello che hai donato tu ma anche quello che hanno donato altri. E ci guadagnano tutti.
Questi spazi necessitano ovviamente di persone che li gestiscano, la roba si usura, e poi ci sono diversi costi operativi. Ma come finanziare questi spazi? Soprattutto in modo da renderli più accessibili. Una biblioteca è aperta a tutti, ma questo perché, almeno in parte, usa fondi pubblici. Ma in assenza di fondi pubblici, come si fa a tenere in piedi uno spazio? Si possono ad esempio ampliare le funzioni del modello Friends of the Library (organizzazioni senza fini di lucro che gestiscono biblioteche locali, ndt). Sono tanti oggi i gruppi che rientrano nella Friends of the Library e che offrono aiuti alle biblioteche locali, anche tramite raccolte di fondi. Molti organizzano fiere del libro, oppure raccolgono fondi altrimenti per donarli alla biblioteca locale. Si possono organizzare eventi, o gestire una fiera perenne. Ci sono biblioteche private, e molti infoshop radicali, che ricevono finanziamenti individuali o di gruppi pur mantenendo l’accessibilità universale.
Finanziamenti possono venire anche dalle quote d’iscrizione. Molte biblioteche private, palestre, hackerspace e altro seguono questo modello. Il problema, purtroppo, è che così si esclude chi non è iscritto e si creano barriere, anche se la quota d’iscrizione costa molto meno delle risorse accessibili. Molti di questi spazi cercano di rendersi più accessibili abbassando i costi d’ingresso, ma non è detto che debba essere così sempre, in ogni singolo caso di economia della condivisione. L’accesso e l’uso condiviso offrono benefici a prescindere dal modello seguito. Sarebbe meglio rendere questi spazi di economia condivisa il più possibile finanziariamente accessibili, ma in un mondo capitalista non sempre è possibile, e le quote d’iscrizione possono supplire un’insufficienza di donazioni. In molti casi gli spazi cercano di bilanciare la cosa offrendo dei bonus. Molte palestre offrono prove gratuite, in molte biblioteche il prestito è solo per gli iscritti ma l’ingresso è gratuito, molti hackerspace e makerspace offrono spesso visite gratuite o organizzano eventi gratis ai non soci. E molto altro.
Altra importante questione riguarda la proprietà. Mentre uno spazio pubblico è, almeno in teoria, proprietà condivisa di tutti i contribuenti, quello privato varia: in alcuni casi la proprietà è di terze parti e dato in affitto agli utenti (molte palestre, ad esempio), mentre in altri casi la proprietà è condivisa, e tutti o una parte degli utenti ne detengono democraticamente una quota. La proprietà condivisa è ovviamente più in linea con i principi dell’economia condivisa, ma anche laddove la proprietà non è condivisa ci sono comunque benefici indiretti che derivano dall’uso condiviso. Pertanto è bene utilizzare queste risorse per i loro benefici indiretti e per la loro economicità, ma dobbiamo anche sostenere e incoraggiare i dipendenti quando esercitano i loro diritti sindacali non ostacolando le eventuali forme di protesta attuate. Va detto che il fatto che uno spazio sia sindacalizzato facilità il suo avvicinamento al modello della proprietà condivisa.
Anche la proprietà condivisa segue modelli diversi. I due tipi principali sono la proprietà dei lavoratori e la proprietà dei soci. Molti seguono l’uno o l’altro esempio, ma ce ne sono che operano su un modello misto in cui i soci sono comproprietari dello spazio. Questi ultimi possono tornare utili ma solo quando non c’è da assumere personale. Palestre e biblioteche, al contrario, devono assumere personale, così che, secondo i principi dell’economia della condivisione e le loro implicazioni logiche, l’ideale diventa il lavoratore dipendente che partecipa alla proprietà e alle decisioni.
Il potere decisionale condiviso è un aspetto importante in molti casi di economia della condivisione. Ci sono spazi in cui il potere decisionale condiviso è limitato, mentre in altri casi tale potere viene democratizzato ed esteso fino a comprendere soci, dipendenti o entrambi. Anche qui, come in quei casi in cui non serve personale dipendente, è meglio se i soci condividono il potere decisionale. Quanto agli altri casi, se vogliono operare secondo i principi dell’economia condivisa dovrebbero cercare di coinvolgere i dipendenti nelle decisioni. L’alternativa migliore è la sindacalizzazione del personale, che permette ai dipendenti di partecipare al potere decisionale.
Dunque una biblioteca rappresenta, è vero, un esempio per chi vuole creare uno spazio nell’economia condivisa, ma è bene notare che il modello bibliotecario presenta vari approcci in termini finanziari, di accesso, proprietà e potere decisionale. Alcuni sono più in linea con i principi dell’economia della condivisione e altri meno, ma tutti vanno nella direzione giusta. L’importante è non sedersi mai. Dobbiamo continuare a lottare affinché questi spazi siano sempre più vicini ai principi dell’economia condivisa. Non tutti gli spazi sono finanziati indipendentemente tramite fondi e donazioni, non tutti sono accessibili a tutte le persone a prescindere dalle condizioni finanziarie, non tutti sono di proprietà collettiva e gestiti da impiegati e soci in maniera democratica, ma da qualche parte dobbiamo pur partire. Partiamo da qui, allora, e puntiamo verso un futuro condiviso.