È l’ora della Microproduzione?

Di Kevin Carson. Originale pubblicato il 25 marzo 2020 con il titolo Is This Micromanufacturing’s Hour? Traduzione di Enrico Sanna.

Se operi nell’ambito delle micromanifatture o dell’hardware hacking, se fai parte di una comunità che produce macchine open-source, o anche se, come me, sei interessato alla rilocalizzazione economica al fine di sgonfiare il potere aziendale, probabilmente ti è capitato di leggere la storia di quegli italiani che si son messi a stampare in 3D le valvole che servono a far funzionare i respiratori che tengono in vita i pazienti gravi colpiti da Covid-19. Un articolo pubblicato su Fast Company racconta come l’ospedale di Chiari, un piccolo comune della Lombardia, non fosse più in grado di far funzionare i respiratori per i malati di coronavirus perché aveva finito le valvole di ricambio e il produttore, la Intersurgical, non poteva fornire ricambi a breve termine. Utilizzando le apparecchiature di un FabLab, Cristian Fracassi e Michele Faini hanno stampato cento valvole di ricambio al costo di un euro circa. Fracassi e Faini hanno dovuto ricavare il progetto facendo ingegneria inversa, avendo il fabbricante negato l’accesso al progetto originale citando questioni legali e di sicurezza.

Nella comunità il fatto è stato accolto in termini perlopiù celebrativi, ma, va detto, sono state sollevate questioni riguardo la sicurezza. Una persona proveniente dall’ambiente dell’ingegneria biomedica, che su Twitter va sotto il nome di @turzaak, ha sollevato la questione della biocompatibilità e della sterilizzabilità dei materiali. Secondo questa persona, a giudicare dalle immagini le valvole erano state stampate con acido polilattico (PLA) o acrilonitrile stirene butadiene (ABS), due materiali usati comunemente dalle stampanti 3D amatoriali. Secondo @turzaak si tratta di materiali difficili da disinfettare, si decompongono con l’umidità o rilasciano gas tossici.

Al momento, le informazioni disponibili sulla sicurezza dei ricambi stampati in 3D sono ambigue. L’articolo di Fast Company potrebbe (oppure no) essere almeno parzialmente esaustivo sul fronte sanitario e della biocompatibilità: “Anche se era la prima volta che la Lonati SpA stampava qualcosa per il settore medico, secondo Faini le stampanti 3D SLS dell’azienda sono in grado di stampare con PA12, un materiale che può sterilizzabile e utilizzabile a fini medici.” Ma, come spiega @turzaak in risposta ad una mia ulteriore domanda, il PA12 non può essere usato in apparati biomedicali perché è un tipo di nylon e il nylon assorbe l’umidità.

Ad ogni modo, secondo il fabbricante il design delle valvole stampate potrebbe non essere ottimale. “I pezzi originali potrebbero funzionare meglio di quelli stampati… perché hanno una forma complessa e forellini che sono difficili da stampare in 3D. Fracassi ha anche negato l’alto costo delle valvole commerciali (10.000 euro) riportato da certi media, anche se non ha detto quanto costano realmente.

Un articolo pubblicato su The Verge il 14 marzo spiegava che i pezzi di ricambio non autorizzati erano già stati usati con successo su dieci pazienti.

Le stesse questioni – sterilizzabilità, biocompatibilità, tossicità e così via – probabilmente valgono anche per altri progetti open-source come il Pandemic Ventilator, un prototipo pubblicato presso Instructables dodici anni fa ai tempi dell’influenza aviaria (vedi anche qui). La discussione sui materiali usati dedica poca o nessuna attenzione alla questione della sicurezza, e potrebbe far suonare molti campanelli d’allarme sulla base dei problemi segnalati sul lungo intervento sulla biocompatibilità di @turzaak riguardo il design del respiratore (“Bio compatibilità. Sostanzialmente, significa che occorrono materiali che a) non si disgregano, e b) non avvelenano o uccidono quando vengono usati con qualcosa che interagisce con la pelle”). Questa parte in particolare mi ricorda la discussione sui microcontrollori nell’intervento su Instructables:

Poniamo che tu voglia metterci qualche affare elettronico. Cosa? Se dici “una bobina”, grazie tanto, potresti uccidere qualcuno se il filo non è d’oro. Il rame è tossico. E bisogna essere ASSOLUTAMENTE SICURI quando si fa l’incapsulamento, altrimenti è meglio rinunciare…

O, poniamo, un controllo del tipo RPi o Arduino? Tienilo ben lontano da tutto quello che è bio, o dallo ai cani. Altro rame.

Naomi Wu (@RealSexyCyborg), figura importante della comunità maker, ha sollevato questioni simili riguardo le maschere stampate in 3D. I materiali non hanno la flessibilità necessaria a garantire la giusta adesione al volto, dice, e i design sono perlopiù un espediente per promuovere la stampa 3D e “vendere unicorni”. Maschere in tessuto con filati elastici sono molto più appropriati.

Nel dibattito sul design dei ventilatori open-source e sui pezzi di ricambio stampati in 3D ci sono anche voci critiche che arrivano a generalizzare dicendo che tutte le normative sulle specifiche hanno come obiettivo la sicurezza e che non rispettarle è incivile. Mi è anche capitato di leggere che l’alto prezzo delle valvole commerciali per respiratori (e quale sia questo prezzo è un po’ vago, come abbiamo visto) è dovuto esclusivamente al costo dei materiali biocompatibili e non ai diritti di brevetto.

Chiunque sappia quanto è importante la proprietà intellettuale nella creazione del profitto aziendale, o nella composizione del prezzo che incorpora rendite derivanti dalla proprietà intellettuale, accoglierà sicuramente con scetticismo queste asserzioni (e non si lascerà incantare dall’ingenuità). Non occorrono paranoici cospirazionisti per intuire che molte delle norme progettuali di qualunque prodotto industriale hanno a che fare più con il mantenimento dei diritti acquisiti sui prodotti da parte delle imprese preesistenti, o con la limitazione della concorrenza innovativa, che con la sicurezza in quanto tale. Basta vedere quante norme sui lavori pubblici vengono scritte dalle lobby degli appaltatori al fine di evitare la concorrenza da parte di più economici sistemi costruttivi tradizionali, o come le norme edilizie e altri regolamenti locali vengono utilizzati per proteggere le aziende con grosse strutture da cose come il piccolo commercio ambulante e le microimprese a conduzione famigliare.

La vera difficoltà che si trova ad affrontare un qualunque potenziale produttore di apparati medici sta nel capire quali specifiche riguardano la sicurezza e quali invece gli interessi delle aziende che vogliono imporre la scarsità artificiale e utilizzare i costi artificialmente alti come barriera d’ingresso che limiti la concorrenza. Il metodo migliore passa per l’eliminazione del lavorio sommerso, migliorando il dialogo tra la comunità ingegneristica e manifatturiera, da un lato, e gli specialisti di apparecchiature mediche, dall’altro. Queste parti interessate devono stare in contatto tra loro, formare una comunità paritaria che supervisioni ogni passaggio del processo di progettazione, mantenendo un dialogo costante con gli utilizzatori finali. Questo dovrebbe essere uno dei punti forti della produzione paritaria basata su beni comuni.

Lo sconvolgimento delle catene logistiche operato dalla pandemia dimostra la necessità della rilocalizzazione e della produzione per l’uso locale. L’alto costo delle apparecchiature mediche e la scarsa disponibilità dei pezzi di ricambio dimostra inoltre l’utilità delle micromanifatture e della progettazione open-source. In un caso o nell’altro, la micromanifattura può fare da salvagente, può sostituire le importazioni e aumentare la capacità di assorbire gli urti delle comunità quando le catene logistiche aziendali si interrompono. Ma se la comunità dei microfabbricanti intende fare l’eroe senza tenere conto dei bisogni e delle preoccupazioni degli utilizzatori finali – soprattutto, come in questo caso, in fatto di sicurezza –, o se non tiene conto delle sue conoscente tecnologiche in materia quando queste sono determinanti al fine della progettazione del prodotto, allora avrà sprecato la sua opportunità.

Nota: Non sono un tecnico né un fabbricante. Non conoscevo la differenza tra l’ABS e il PLA prima di aver consultato Google. In nessun modo questo articolo deve essere visto come opinione mia ferma riguardo la questione sicurezza della stampa 3D di valvole per ventilatori o della progettazione di apparecchiature mediche in generale. È solo il mio tentativo, in buona fede, di avviare una discussione, di dare voce alle preoccupazioni di tanti, da entrambe le “parti” del dibattito, che in materia sanno molto più di me. Spero di aver messo assieme informazioni, dalle parti coinvolte, tali da poter promuovere un’ulteriore discussione.

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