L’esagerazione demagogica della “minaccia terroristica”, al centro dell’ultimo dibattito dei repubblicani, si sgonfia immediatamente alla prima riflessione. Che probabilità c’è che un residente in America si trovi esattamente dove si trova qualcuno che vuole uccidere nel nome dello Stato Islamico, al Qaeda o qualche altra causa? Scarsissima. In America è molto più probabile morire per cause comuni prima di incontrare un islamista, un sostenitore della supremazia bianca o un terrorista antiaborto. Di solito pensiamo che non valga la pena spendere tanto per ridurre sostanzialmente questi rischi. Potremmo ridurre di molto gli incidenti stradali vietando la svolta a sinistra e portando il limite di velocità a dieci. Ma chi potrebbe sostenere queste misure? Allora perché si tollera che lo stato spenda trilioni di dollari (senza parlare del restringimento della libertà) nel tentativo futile di salvare noi e la nostra società aperta da ogni possibile atto terroristico, soprattutto se si pensa che potrebbe renderci più sicuri spendendo meno, rispettando la nostra libertà e con una politica estera non interventista?
La stima di un rischio limitato cambierebbe (anche se non di molto data l’estensione e la popolazione dell’America) se sapessimo che gli aspiranti terroristi stanno aumentando. Ma possiamo essere sicuri, come notano John Mueller e Mark G. Stewart, che sono pochissimi. Lo sappiamo perché non si vede molto terrorismo negli Stati Uniti. Come osservano Mueller e Stewart, l’Undici Settembre è stato un evidente caso isolato e molte delle trame terroristiche scoperte sono state istigate o almeno caldeggiate da infiltrati dell’Fbi. (Gli attentati a strutture militari dovrebbero essere considerati terrorismo, una parola abusata che permette ai governi americano e israeliano di commettere omicidi e farla franca). E non è che quel poco di terrorismo che abbiamo visto finora fosse terribilmente sofisticato.
Alcune tipologie di atti terroristici sono difficili da compiere. Il dirottamento coordinato di diversi aerei da parte di uomini armati di taglierine (low-tech) era una missione improbabile già di per sé, ma con serrature (pure low-tech) in cabina di pilotaggio diventa ancora più improbabile. Ma le probabilità di successo aumentano se la morte non fa paura, o se è voluta. Non occorre essere scienziati per inventare un modo per uccidere un gran numero di innocenti. Sayed Farouk e Tashfeen Malik sono entrati in un ufficio durante una festa con armi acquistate legalmente, hanno ucciso quattordici persone e ferito altre ventidue. E ieri in Israele un palestinese ha ucciso degli israeliani investendoli mentre aspettavano l’autobus. Queste azioni non possono essere sventate a meno che gli attentatori non dichiarino le loro intenzioni pubblicamente, cosa che, ovviamente, Malik non ha fatto. Né è probabile che lo facciano altri.
Se l’America pullulasse di cellule dell’Isis o di lupi solitari auto-“radicalizzati”, vedremmo molta più violenza. Subito dopo l’Undici Settembre, autorità e analisti erano certi dell’imminenza di una “seconda ondata”. Che non c’è stata.
Come notano Mueller e Stewart, poi, questi atti terroristici sembrano opera di disadattati incapaci di far saltare una cuccia, che neanche ci proverebbero se non fossero pungolati dagli infiltrati dell’Fbi. Il complesso antiterrore, seminatore di paura (un’industria formata da “esperti di terrorismo” al servizio dei media e dello stato), dipinge gli aspiranti terroristi come una forza invincibile formata da operativi esperti guidati da “menti” che sarebbero maghi della tecnologia (i terroristi mediatici vorrebbero farvi credere che i messaggi criptati sono stati inventati dall’Isis). Ma ciò che sappiamo non corrisponde a questa immagine. Come i sostenitori della Guerra Fredda avevano interessi finanziari e di potere a farci credere che i russi erano alti tre metri, così la lobby antiterrore ha lo stesso interesse a farci credere che gli “islamisti” hanno un’astuzia unica e diabolica: verranno con l’atomica nella valigetta, insinuano, a far saltare Times Square.
I repubblicani candidati alla presidenza godono a dire che “siamo in guerra”. Se contiamo la Guerra Fredda, siamo alla Quarta Guerra Mondiale. Cretinate! Gli atti terroristici avvenuti in occidente dimostrano semmai la natura asimmetrica di ciò che sta accadendo tra gli Stati Uniti e le loro vittime nel mondo musulmano. Il governo americano e i suoi complici stanno conducendo una vera e propria guerra. Anche se le forze di terra sono (per ora) poche, e i droni teleguidati prendono sempre più il posto dei convenzionali bombardieri e delle navi da guerra, la guerra condotta dall’occidente non è molto diversa dalla guerra tradizionale.
Per contro i terroristi commettono reati penali (in realtà civili) contro persone negli Stati Uniti, Francia, eccetera. Sparano ad una festa, ad un concerto o in un ristorante. È terribile, ma non è guerra. Isis e al Qaeda non hanno eserciti in grado di invadere gli Stati Uniti, né navi, né aerei. Non hanno la possibilità di conquistare un paese o di rovesciarne il governo. In nessun modo possono sconfiggerci. Solo noi possiamo farlo.
“Noi” siamo in guerra con loro. Non loro con noi. Ricorrono al terrorismo proprio perché loro, o più precisamente i loro simpatizzanti che vivono qui, sono incapaci di condurre una guerra contro la società americana. Chi insiste di più a dire che c’è una guerra contro di noi sa che ad uno stato in guerra sarà concesso un potere su di noi altrimenti inammissibile. Gli aspiranti presidenti sbavano all’idea di poter diventare comandanti in capo.
Quando Rick Santorum, facendo l’eco agli altri candidati, dice che “l’islam radicale è in marcia e il suo obiettivo è la distruzione dell’occidente”, non fa altro che andare a caccia di voti diffondendo paure infondate. Qualche “lupo solitario” non fa un “islam radicale”, e le motivazioni (anche se accertate correttamente) sono irrilevanti quando manca la capacità. Mueller e Stewart immaginano un “terrorista” che fa cadere la Sears Tower di Chicago, la fa scivolare nel lago Michigan creando così (spera lui) uno tsunami, che poi torna indietro, spazza la città e apre una prigione, liberando i detenuti. Dobbiamo perdere il sonno dietro a questi complotti?
Come ho detto prima, il prezzo imposto agli americani da questo cinico sistema antiterrore è la perdita della libertà, della privacy e della ricchezza, e un inutile esaurimento. Ma c’è anche un altro caro prezzo: la distruzione sociale provocata dal sospetto gettato sui musulmani americani (e di altri paesi). È un dato di fatto che Isis e al Qaeda vogliano aumentare le distanze tra musulmani e non musulmani, in America e altrove. I politici negano di volerlo, ma la logica dei loro ragionamenti e le loro proposte autoritarie non fanno altro che seminare ostilità verso tutti i musulmani.
Pubblicato anche su Free Association