Se date uno sguardo ai dati ufficiali senza mettere in questione i numeri, sembra che la disoccupazione stia calando drasticamente. A maggio le aziende hanno aggiunto 288.000 posti di lavoro, e il tasso di disoccupazione è sceso dello 0,4% al 6,3%. Sembra che il paese si stia riprendendo dalla recessione. Ma prendere questi numeri per quello che appare è un errore.
A guardare bene le statistiche sulla disoccupazione ci si accorge che non solo i numeri “ufficiali” sono fuorvianti, ma anche che il tentativo della stato di controllare e dirigere l’economia è un fallimento completo. Ad aprile, 800.000 persone sono uscite dalla forza lavoro. Quasi un milione hanno smesso di cercare un lavoro. Il numero di nuovi posti di lavoro non è neanche sufficiente a coprire la crescita della popolazione, che è di quasi il 7%.
Ora, agli occhi di una persona normale questi dati statistici sono un brutto segno, significano che non c’è crescita e che l’economia è ancora arenata. Ma nella sua crociata contro il senso comune, governo e media enfatizzano quei dati statistici che fanno apparire ogni cosa meno deprimente di quanto non sia in realtà. In questo caso, le statistiche migliorano quando le persone esce dalla forza lavoro.
La statistica più diffusa tiene conto soltanto di quei disoccupati che sono nella forza lavoro. Se una persona smette di cercare un lavoro, esce dalla forza lavoro. Questo fa “calare” statisticamente la disoccupazione anche se nessuno viene assunto. Una persona è sempre disoccupata, ma i numeri trasformano la sua disoccupazione in un miglioramento statistico. Questo genera discussioni sulla crescita economica che vedono tutto al contrario. Commentatori e politici vantano il calo del tasso di disoccupazione e dimenticano convenientemente chi ha smesso di cercare un lavoro.
Quando, ad aprile, la forza lavoro è scesa ad appena il 62,8% della popolazione, il livello più basso dagli anni settanta, i dati statistici sulla disoccupazione sono calati in parallelo. Più persone uscivano dalla forza lavoro e meno persone venivano considerate disoccupate. Ad abbassare sempre più il tasso di disoccupazione è il calo progressivo di chi è disposto a lavorare, non la crescita economica. Ma lo stato non vuole che lo sappiate.
Questa bizzarra illustrazione dei dati statistici sulla disoccupazione potrebbe essere interpretata come pura stupidità dello stato. È la rappresentazione di un’illusione. La verità è nascosta in fondo alle statistiche ufficiali. È una cosa ingegnosa. Gli stati cadrebbero se la verità dovesse venire allo scoperto. Se lo stato è terribilmente patetico quando si tratta di gestire un’economia, è fenomenale nel creare propaganda. Soprattutto quando la propaganda nasconde i veri effetti dell’intervento statale. Lo stato ha prima provocato la recessione attraverso una bolla immobiliare causata dall’inflazione. Quindi ha prolungato questa recessione con salvataggi e nuove normative. Ora ha convinto la popolazione di aver risolto la recessione usando, tra le altre cose, calcoli fuorvianti sulla disoccupazione.
Lo stato esige obbedienza senza dissenso. Ecco perché l’amministrazione rifila queste statistiche e ignora altri numeri, meno generosi (ma più accurati), sulla disoccupazione. Se la popolazione sapesse che i numeri sulla disoccupazione sono solo propaganda, perderebbe fiducia nello stato. Soprattutto quando si parla del suo successo nella risoluzione della crisi. Questa limiterebbe pesantemente le politiche che lo stato può perseguire. Se la gente fosse intellettualmente radicale e mettesse in questione lo stato, quest’ultimo perderebbe tutto il suo potere.