Il Baratto

Di Karl Hess. Pubblicato il 18 febbraio 2014 con il titolo di Bartering. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

Questo articolo di Karl Hess è stato pubblicato sul New York Times il 9 novembre 1975. Un ringraziamento a Left-Liberty.net blog.

Una decina di anni fa, mentre davo una mano ai politici repubblicani nella loro lotta contro i presidenti democratici, fui costretto dalle continue seccature del fisco americano a mandarli a quel paese e smettere del tutto di pagare le tasse. Noiosi dettagli a parte, informai l’esattore della mia decisione inviando in allegato una copia della Dichiarazione d’indipendenza. Mi rispose a giro di posta dicendo che mi avrebbero ipotecato tutto ciò che avevo e preso tutto il dovuto, cento per cento, fino all’ultimo centesimo dei miei guadagni che loro fossero riusciti a scovare.

Chiesi allora cosa avrebbero fatto se per vivere mi fossi dedicato al baratto. La risposta: “Se lavora in cambio di rape, prenderemo le rape.” Fortunatamente per me, o il fisco abbonda di rape oppure le rape sono molto più difficili da scovare rispetto al vile denaro.

Sopravvivo così. Alcuni giorni fa ho fatto una grata per affumicare il pesce per una famiglia di Washington. Mi pagano con una fornitura di pesce affumicato per un anno. Più o meno allo stesso tempo ho aiutato un amico a gettare le fondamenta di una casa. Lui in cambio mi dà una mano a costruire l’officina. Per una lezione in un college del New England ho avuto il permesso, tra le altre cose, di usare l’officina scolastica per fare diverse sculture di metallo. Con tre di queste sculture mi son pagato l’avvocato che mi aiuta nella lotta contro gli esattori, che è la ragione per cui il baratto è diventato parte integrante della mia vita.

Non che il denaro sia scomparso del tutto. Innanzitutto, la donna con cui vivo ne guadagna un po’ e ci paga sopra le tasse. Secondo, posso fare dei lavori in cambio di denaro a monte della tassazione. Ovviamente, anche se non pago le tasse faccio comunque la mia brava dichiarazione dei redditi, parlo in pubblico della mia lotta e sovrastimo il reddito, non lo nascondo né lo falsifico. Il che non sarebbe più una lotta contro il fisco, ma frode.

Il baratto, una volta che ci fai il callo, fa dieci a zero al denaro.

Nonostante la loro utilità pratica come “deposito” di lavoro, dopo un po’ i soldi diventano un simbolo senza sostanza. Dovrebbero rappresentare qualcosa: lavoro, scambio, ma per molti non è così. Non per me, almeno. Io ci vedevo un valore fine a se stesso.

Con il baratto, il simbolico non surclassa mai l’originale. Si scambia lavoro con lavoro e valore con valore. E quando si dona liberamente un lavoro o una cosa si fa un trasferimento effettivo di qualcosa che vale. Condividere alimenti con il vicino (baratto caritatevole) è un gesto personale, significativo; ma anche, presumibilmente, reciproco, dovessi essere tu un giorno ad aver bisogno. Non è un atto umiliante, come l’assistenza burocratizzata. Con quest’ultima, che comporta un sistema assistenziale statale fatto di freddi miliardi, i valori mal si conciliano.

Forse è proprio questa la lezione migliore che mi ha insegnato il fatto di essere stato “ridotto” in parte a ricorrere al baratto. Far parte di uno stato è come far parte di un sistema contabile in cui tu sei un semplice dato.

Un esempio: qualche tempo fa mi è scaduta la patente. A dire il vero, sono andato a rinnovarla, ma mi hanno detto che il distretto della Columbia ha cambiato le norme: adesso serve la tessera della previdenza sociale. Dato che l’avevo persa, ho dovuto compilare un modulo per richiederne un’altra. La pratica, mi hanno detto, sarebbe stata evasa in non meno di un mese. Alla fine la tessera mi è arrivata per posta. A patente già scaduta, ovviamente.

Ora, questa benedetta patente non è solo un aiuto alla mia vita veicolare. È anche l’unico, assolutamente unico, strumento identificativo ufficiale. E la ragione, come potete intuire, è la mia vecchia lotta contro il fisco. Che significa niente conto in banca, niente carte di credito, nessuno dei soliti strumenti identificativi. Giusto la patente.

Mi è capitato di recente che mi hanno chiesto di tenere una conferenza all’università del Wisconsin, a Milwaukee. Come rimborso spese mi hanno dato un assegno, tanto da potermi ripagare il viaggio di ritorno a Washington. A me servivano contanti, però. Mi hanno detto che potevo incassare l’assegno presso la banca che l’aveva emesso. Vado allo sportello, allungo l’assegno e mi risponde una voce gelida: “Un documento d’identità, prego.”

Ho capito allora che senza quel coso per la banca non esistevo. Per la banca, la patente, la foto, la descrizione fisica, insomma l’intera persona, dopo la data di scadenza della patente non erano più riconoscibili.

“Bè,” ho detto io, “la patente sarà anche scaduta, ma io no.” La cassiera probabilmente ha pensato la stessa cosa. Ha fatto una risatina e mi ha dato ragione. E io ho avuto i miei contanti! Ma so che per la banca la mia identità era scaduta.

Inutile dire che una scena del genere col baratto sarebbe inconcepibile. Partecipare ad un baratto significa essere una persona come le altre che fa uno scambio onesto con altri. Persone in carne ed ossa, che si guardano negli occhi.

Certo, visto che il denaro rientra nella forma di baratto che ho scelto, non vedo alcuna obiezione al suo uso. Quando serve, lo uso, ad esempio per comprare un biglietto aereo e recarmi presso un college dove posso guadagnare un onorario in cambio di una lezione. Il denaro che guadagno, dato che è il risultato immediato di uno scambio con una prestazione, mi sembra più che valido.

Ricordo che quando andavo in banca a depositare i contanti in un conto bancario, dove cominciava una danza frenetica col debito, l’idea del denaro come valore di scambio si perdeva. La mia impressione era che si perdeva la corrispondenza tra quantità di debito e quantità di lavoro svolto. Tutto si riduceva a numeri.

Ora, un contabile pignolo potrebbe vederci grossi svantaggi nel baratto. Le sue dinamiche è come se ti costringessero ad andare oltre il dovuto, a cercare di dare più di quello che ricevi, giusto per eliminare il dubbio che rode la coscienza. Per quanto ne so, chiunque pratichi il baratto si sente così, ed è per questo che il sistema è dinamico, lascia soddisfatti, non stordisce, non crea rimorsi.

Ma non è qualcosa che potrebbe praticare ogni americano: io ci sono stato costretto, e non cercherei mai d’imporre questo mio stile di vita economico a nessuno. Con me funziona. L’importante per me è che i soldi che guadagno con questo saggio, se trovo qualcuno disposto a darmi qualcosa, siano trasformati direttamente da me in beni da scambiare con qualche lavoro nel mio quartiere.

È tutto un processo di vita.

Pubblicato originariamente sul New York Times del nove novembre 1975.

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