È da tanto che anarchici e libertari prendono in giro, riducendola a stereotipo, la classica risposta dell’infantilismo di sinistra di fronte alla prospettiva di una società senza stato: “Come la mettiamo con le strade?” Ma ora due libertari (autodefinitisi tali) hanno fatta loro questa espressione. Rispondendo all’asserzione chiaramente autoevidente secondo cui, da un punto di vista libertario, le persone dovrebbero essere libere di muoversi senza limitazioni imposte da linee immaginarie tracciate su una mappa, Hans Hermann Hoppe e Lew Rockwell, eminenze grigie paleo-libertarie, strillano: “Come la mettiamo con le strade?”
Durante una discussione al Mises Circle, all’inizio di questo mese (Open Borders Are an Assault on Private Property), Rockwell, alla maniera dello sceriffo Joe Arpajo che batte i piedi, ha ribadito un pensiero già formulato da Hoppe:
Noi crediamo nel diritto alla proprietà privata. Nessuno ha diritto alla “libertà di parola” nella mia proprietà, perché sono io a fare le regole, e se è il caso posso espellere chi trasgredisce. Può dire quello che vuole nella sua proprietà, o nella proprietà di chiunque voglia ascoltarlo, ma non nella mia.
Lo stesso principio vale per la libertà di movimento. I libertari non credono in questo principio in maniera astratta. Io non ho il diritto di girare per casa tua… Come nel caso della “libertà di parola”, anche qui la proprietà privata è il fattore rilevante. Io posso entrare in qualunque proprietà, mia o di chiunque mi dia l’accesso. Ma non posso andare dove mi pare.
Da qui in poi, Rockwell continua ad elaborare sull’argomento le cui assunzioni di base sono (lo dico senza equivoci) stupide da far girare la testa.
Ora, se ogni particella di territorio in tutto il mondo fosse proprietà privata, la soluzione al cosiddetto problema dell’immigrazione sarebbe chiara. Anzi, sarebbe meglio dire che il problema dell’immigrazione non esisterebbe affatto. Chiunque volesse andare da qualche parte dovrebbe avere prima il consenso del proprietario di quel luogo.
Ma questa assunzione di partenza non ha senso. Come sostengono Franz Oppenheimer e Albert Jay Nock, tutto il territorio del globo non potrà mai essere acquisito con mezzi legittimi.* Ogni particella di territorio può diventare proprietà privata solo tramite quella che Oppenheimer chiama “appropriazione politica”, e Nock “proprietà a forza di legge”. E non è una coincidenza, perché entrambi considerano l’appropriazione del territorio un prerequisito dello sfruttamento economico. Solo quando alle persone viene tolta la possibilità di un’appropriazione originaria, ovvero l’acquisizione di un territorio vergine, e solo quando i datori di lavoro sono protetti dalla concorrenza rappresentata dal lavoro autonomo, soltanto allora è possibile obbligare le persone ad accettare un lavoro a condizioni svantaggiose per loro e a discrezione di chi detiene i diritti di proprietà.
A questo fine, Rockwell cita Decomposing the Nation State, di Rothbard:
Se ogni particella di territorio in un dato paese dovesse essere di proprietà di alcune persone, o di una società, questo significherebbe che nessuno potrebbe entrarci se non dietro invito, o con l’autorizzazione a prendere in affitto o acquistare la proprietà. Un paese interamente privatizzato sarebbe più o meno chiuso a discrezione del suo proprietario. Appare chiaro, dunque, che la politica delle frontiere aperte che di fatto esiste negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale si riassume nell’obbligo di apertura all’esterno da parte del potere centrale, ovvero di quello stato che ha in carico tutte le strade e tutti i luoghi pubblici ma non riflette pienamente il volere dei suoi proprietari.
(Questo è lo stesso Rothbard che, in un periodo della sua vita meno reazionario e ripugnante, denunciava quella che lui chiamava proprietà feudale e l’accaparramento delle terre inutilizzate). Da The Ethics of Liberty:
CI SONO DUNQUE DUE tipi di diritti di proprietà terriera eticamente invalidi: il “feudalesimo”, che si traduce in un’aggressione continua da parte dei titolari della proprietà terriera contro i contadini impegnati nella trasformazione della terra; e l’accaparramento terriero, dove la rivendicazione di un territorio vergine serve a tenerne lontani gli utilizzatori originari. Queste due aggressioni si possono definire “monopoli terrieri”; ma non perché qualcuno possiede tutto il territorio, bensì perché in entrambi i casi si tratta di privilegi arbitrari che consistono nel possesso del territorio, e questo è in contrasto netto con la regola libertaria secondo cui una terra non può essere posseduta che da chi la lavora, i suoi eredi o i suoi cessionari.
Ripeto: non è possibile che ogni particella di territorio possa diventare proprietà privata se non tramite l’accaparramento.
Andiamo avanti. “Ma nella situazione attuale,” si lamenta Rockwell,
“gli immigrati hanno accesso a strade pubbliche, trasporti pubblici, edifici pubblici e così via. Combinate tutto ciò con le restrizioni che lo stato impone ai diritti di proprietà e il risultato è uno slittamento demografico artificiale che in un regime di libero mercato non ci sarebbe. I proprietari sono costretti ad associarsi e a fare affari con individui di cui in altre condizioni potrebbero fare a meno.
“Per cavare un senso da tutto ciò e arrivare all’appropriata conclusione libertaria,” continua Rockwell, “dobbiamo esaminare meglio la questione della proprietà pubblica e chiederci chi, se esiste, ne è il vero proprietario.”
Certamente non possiamo dire che una proprietà pubblica appartiene allo stato, visto che lo stato non può possedere legittimamente nulla. Lo stato acquisisce la proprietà con la forza, solitamente tramite le tasse. Un libertario non può accettare che questa acquisizione della proprietà sia considerata moralmente legittima, perché comprende un’aggressione originaria (il prelievo fiscale) contro persone innocenti. Dunque qualunque pretesa di proprietà da parte dello stato è illegittima.
Ma d’altro canto non si può neanche dire che una proprietà pubblica sia senza proprietari. Una proprietà nelle mani di un ladro non è senza proprietario, anche se in quel dato momento non è il proprietario legittimo. Lo stesso vale per la cosiddetta proprietà pubblica. Che è stata acquistata e sfruttata utilizzando denaro estorto ai contribuenti. Sono questi ultimi ad essere i veri proprietari.
L’idea di base, dunque, sarebbe che tutte le strade sono “proprietà privata” della maggioranza, che ha il diritto di restringerne l’uso a piacere. Ma questa è una sciocchezza al quadrato.
Per prima cosa, è una sciocchezza dire che tutti i diritti pubblici di passaggio sono stati “rubati” ai loro possessori privati. Molti, forse la maggior parte, sono quella che Roderick Long chiama “proprietà pubblica”, appropriata originariamente dalla collettività e usata come bene comune fin dall’inizio. Il tracciato delle strade di grande comunicazione nella maggior parte dei casi riprende i passaggi basati sulla topografia, e ricalca gli antichi percorsi in uso comune da tempi immemorabili (dai sentieri indiani di epoca precolombiana nel Nord America a quelli paleolitici nel Vecchio Mondo). Le strade di città e paesi sono state costruite in gran parte ai tempi dei primi insediamenti, e non sono mai state proprietà privata.
È inoltre chiaramente infondato pensare che questi diritti di passaggio debbano essere necessariamente “proprietà privata” collettiva di un gruppo di persone abitanti di un dato centro o di una particolare zona attraversata da loro, e che la maggioranza di questi abitanti debba avere debba possedere il diritto di vietare il passaggio a chiunque. Infatti, dato che la popolazione cambia continuamente, l’unico modo per definire un corpo specifico di proprietari consisterebbe nell’appartenenza ad una qualche forma di municipalità definita per legge. E perché non imporre anche l’obbligo di denuncia delle nascite e dei matrimoni, già che ci siamo!?
Quanto alla stragrande maggioranza del territorio americano, soprattutto ad ovest del Mississippi, non fu mai proprietà privata prima che lo stato se lo accaparrasse. La parte posseduta era soprattutto proprietà collettiva delle tribù indigene. E bisogna aggiungere che solo una piccolissima parte di quel territorio è stato migliorato o alterato a spese del pubblico, anche dopo essere entrato a far parte del demanio. Perciò è una sciocchezza dire che debba tornare ad essere “proprietà privata” degli americani quando dovesse cessare il diritto di proprietà statale, o che non debba essere considerato senza proprietario finché qualcuno non lo fa fruttare con il sudore della propria fronte. E se c’è la possibilità di passare in questi territori senza chiedere permesso, ecco che lo schema di Rothbard, Hoppe e Rockwell, ovvero l’utilizzo della proprietà privata delle strade per impedire la libera circolazione, cade a pezzi.
Semmai, la vera conclusione è l’esatto contrario delle loro argomentazioni: Ci sono vasti tratti di territorio inutilizzato nelle mani di proprietari privati sulla base di accaparramenti (spesso risultato di concessioni governative); grossi baroni terrieri che tengono le terre inutilizzate per ragioni speculative. E, dunque, un qualunque “straniero illegale” che si trovasse ad attraversare quei territori si troverebbe ad avere maggior titolo di quegli accaparratori che attualmente ne hanno il diritto di proprietà.
Forse la parte più inconsapevolmente comica della diatriba di Rockwell è quando cita nientemeno che l’Unione Sovietica come esempio lampante dei mali portati da una politica delle frontiere aperte e di una libertà eccessiva di circolazione. Viene da pensare che nutra una sorta di rispetto professionale per l’Unione Sovietica, visto che la sua utopia “libertaria” è una versione privata del sistema sovietico di passaporti interni.
Altra bizzarria è quando Rockwell cita Hoppe dicendo che le leggi sui servizi pubblici rappresentano una violazione della “libertà di associazione” di chi possiede una data proprietà:
Chi possiede un’attività commerciale, un albergo o un ristorante, non è più libero di vietare o restringere l’accesso secondo la propria volontà. Un datore di lavoro non è più libero di assumere o licenziare a propria discrezione. Nel mercato immobiliare, i locatari non sono più liberi di escludere affittuari indesiderati. E poi ci sono contratti restrittivi che obbligano ad accettare associati e azioni in violazione delle regole interne.
È ironico il fatto che Hoppe e Rothbard ignorino le somiglianze tra la loro posizione riguardo il sentire maggioritario, che governa la libertà di movimento sulle strade pubbliche, e il diritto comune su cui si basa il principio dei servizi pubblici nel Titolo II della Legge sui Diritti Civili. Nell’ambito del diritto comune inglese, l’idea era che una locanda con l’insegna in una strada finanziata pubblicamente dovesse essere considerata un servizio pubblico, costretta ad offrire servizi a tutti senza discriminazioni irragionevoli. Ma una società in cui una maggioranza ha il diritto di proibire l’uso delle strade agli indesiderati è anche una società in cui la stessa maggioranza può influenzare le attività economiche di cui disapprovano il comportamento, sia limitando l’uso delle strade per il trasporto delle merci, che vietando a certi clienti di servirsi di quelle attività.
Hoppe e Rockwell danno per scontato che la maggior parte dei costumi sociali che governano l’uso delle strade in una società post-statale saranno stabiliti da proprietari bigotti, maschi e bianchi. Ma, e se la maggioranza della società fosse invece formata da persone oneste che vogliono negare l’accesso alle strade pubbliche a quelle attività che si rifiutano di servire persone di colore o LGBT?
La loro idea di base (usare “le strade” come strumento nelle mani della maggioranza per regolare le azioni e l’esistenza stessa delle minoranze indesiderate) non solo offre innumerevoli occasioni d’abuso. È essa stessa un abuso, e di spirito antilibertario al massimo. È già un male che due autoproclamatisi “libertari” idealizzino una società in cui alcuni pater familias proprietari, maschi e bianchi utilizzano la proprietà delle strade per realizzare una versione reale del romanzo Il Racconto dell’Ancella, dove tutti quelli che non passano all’esame di uno scanner retinico possono essere mandati via a discrezione di un tipo che vive in cima ad una collina e possiede tutto il territorio del paese. Pensate all’uso che avrebbe potuto farne Hitler (via dalle strade del Volk tedesco tutti quelli con la stella gialla!), o il sud della segregazione razziale (qualunque nero trovato a passare in una strada dell’Associazione dei Cristiani Bianchi senza il passi del suo principale sarà condannato ad un anno di lavoro nella fattoria di Boss Hogg e quindi espulso).
La cosa più ridicola è il tono lamentoso di questa stronzata di articolo. Mette in evidenza come la produzione di LewRockwell.com sia in sostanza la danza degli spiriti di quel patetico e morente settore della popolazione a cui si rivolgono. È pieno di umiltà autocommiseranti (“È decisamente fuori moda esprimere preoccupazione per i diritti dei proprietari”; “negli Stati Uniti va di moda prendere in giro chi suggerisce cautela con l’immigrazione di massa”). Sentire i lamenti per la “decostruzione della nostra cultura” da parte di un uomo la cui cultura è stata imposta ad un intero continente tramite la conquista e il genocidio è roba da far venire i conati. Difficile non immaginare Lew come Hedley Lamar (“Non mi piace vederti così, capo. Ti sentiresti meglio se andassi a sparare quegli immigrati illegali?” “Credo di sì.”).
Il fatto che questi due siano alla ricerca disperata di un pretesto, uno qualunque, per mandare via gli immigrati bruni messicani, che potrebbero “decostruire la loro cultura”, il fatto che si appiglino a concetti così idioti e moralmente morti come questi, tutto questo è ciò che abbiamo bisogno di apprendere se vogliamo sapere cos’è il “paleo-libertarismo”. Che non è affatto libertario, ma spinto dal desiderio impellente di una società controllata da persone dall’aspetto e dal pensiero esattamente come loro, una società in cui a nessuno è permesso fare ciò che non piace a quelli come loro. Il loro bisogno di odio e bigottismo è così forte che non esitano a rendersi stupidi e abbracciare una teoria senza alcun senso.
Ma perché fingere? Perché l’uso della parola “libertario” è così importante per loro, quando odiano la libertà e la diversità dal profondo del loro essere? Perché cercano febbrilmente una scappatoia legale, una qualunque, che consenta loro di vantare il diritto di mettere le catene e di controllare il comportamento di chiunque non sia di loro gradimento? E il tutto continuando a mettere l’etichetta fraudolenta con la scritta “libertario” sulla loro roba adulterata. Andiamo, ragazzi, la libertà non è roba per voi. Sareste molto più felici se smetteste di illudervi, buttaste via Locke e Hayek e cominciaste a leggere Mencius Moldbug. Non dovreste più inventare deboli pretesti per giustificare la vostra voglia di essere dei miseri despoti teocratici e neofeudali tecnicamente coerenti con i principi libertari. Potreste smettere di prendere in giro voi stessi e gli altri. Abbracciate il lato oscuro e fatela finita.
Addendum: I sentimenti espressi in quest’ultimo paragrafo, per quanto forti, si sono intensificati dopo la lettura di un secondo articolo di Jack D. Douglas pubblicato su LRC (“America’s Disintegrating Culture,” Nov. 11). Dice Douglas, nel corso di una diatriba degenerante riguardo l’aspetto decadente insito nel rispetto dell’identità transessuale: “In una cultura viva e forte la popolazione non lascia che qualcuno decida la propria identità, né gli lascia fare tutto quello che vuole.” E continua citando l’indesiderabile livello di libertà e tolleranza in patria contro l’atteggiamento “imperialistico e totalitario” altrove. Questo è rivelatore. Se questo autoritarismo da scala F è il prezzo da pagare per vivere in una “cultura viva e forte”, al diavolo la cultura. Quando un “libertario” parla in termini di Volk e Kulture riguardo l’autonomia e la libertà d’agire individuale, quando invoca la disciplina come cura contro la “disintegrazione culturale” e la decadenza, potete stare sicuri che la parola “libertà” nella loro propaganda è vuota come la parola “Freiheit” nella propaganda nazista. Il paleo-qualcuno è il cancro di qualunque movimento che davvero rispetti la libertà e la dignità umana.
* Qualcuno parla della possibilità che l’intera terra possa essere appropriata legittimamente, in un futuro lontano, tramite la crescita demografica. Ma la curva demografica si sta appiattendo, e sarà probabilmente piatta o in declino entro la fine del secolo. Dunque, almeno estrapolando dalla tendenza attuale, appare improbabile che tutti gli esseri umani arriveranno mai ad occupare e coltivare gran parte dei territori, o addirittura conquistare tutte le terre selvagge.