Sento spesso persone che, senza riflettere, dicono: “Lo stato ha il diritto di tassare”, “lo stato ha il diritto di punire i criminali”, o “lo stato ha il diritto di controllare i confini nazionali”. Dentro di me, provo orrore per la facilità con cui si fanno queste affermazioni, per il fatto che molti considerino queste affermazioni come vere e evidenti di per sé. Per molti si tratta di cose scontate, fuori discussione. Nessuno si chiede com’è lo stato ha acquisito questi speciali diritti su tutti e, apparentemente, su tutto. L’unico “diritto” che lo stato può avere è il diritto derivante dalla conquista, la nozione barbara secondo cui la forza fa il diritto. Lo stato non ha altro modo legittimo per procurarsi quello che possiede, non beni immobili acquisiti tramite uno scambio pacifico e consensuale, né terre acquisite con l’occupazione e l’uso, entrambi standard riconosciuti teoricamente da tutti i libertari. I difensori dello stato danno origine a molte domande quando affermano scontatamente che la loro istituzione favorita ha avuto origine da un contratto o da un accordo sul modo di istituire la legge e preservare l’ordine. Dicendo così, assumono come premessa centrale un fatto altamente controverso che, messo a confronto con l’esperienza storica, non sta in piedi. E una giustificazione dello stato su basi apparentemente utilitaristiche non è meno capziosa. Gli statalisti, ad esempio, sostengono spesso che, in assenza di un governo, la società crollerebbe in una guerra brutale e caotica di tutti contro tutti. Apparentemente, questo sarebbe in contrasto con la pace e l’ordine sublime offerti dallo stato. Come notava Albert Jay Nock,
Sostenitori del legalismo e dell’autoritarismo amano dire che la quasi totalità del genere umano comincerebbe immediatamente a rubare, uccidere e commettere altri crimini se dovessero essere rimosse le restrizioni rappresentate dalla legge e dall’ordine. Gli anarchici, che hanno le stesse possibilità dei sostenitori della legalità di vedere il genere umano nelle sue condizioni naturali, pensano che questa credenza sia priva di fondamento.
Davanti alle spiegazioni ridicole e arretrate dei sostenitori della legalità, ci chiediamo quali siano gli utopisti che vedono tutto rosa. Dopotutto, la violenza e il caos che, dicono, caratterizzano una società anarchica, sono solo speculazione e ipotesi, mentre la violenza e il caos che accompagnano lo stato sono ben documentati da millenni di testimonianze scritte in ogni parte del mondo. Ma anche se non dubitiamo della sincerità di chi ha fede nello stato, dovremmo però dubitare della fede in sé, del fatto di credere ingenuamente che la forza e la costrizione rappresentino il modo migliore di organizzare gli essere umani.
Per di più gli statalisti sembrano scordare che, in ultima analisi, anche gli stati sono attori del mercato, che quando ci costringono ad adattarci con la forza e l’autorità ai loro schemi, non agiscono magicamente fuori dalla legge della domanda e dell’offerta, che è reale e immutabile quanto le leggi della fisica. E visto che non ci sono due statalisti d’accordo tra loro su quali beni e servizi dovrebbero essere considerati “fuori dal mercato”, da lasciare nelle mani dei burocrati di uno stato centralizzato, non si capisce come si possa tracciare una linea di confine. Gli attuali sostenitori dell’autorità dello stato denunciano coralmente i regimi autoritari del ventesimo secolo, ma non spiegano mai quando è che l’autorità di uno stato è eccessiva; esclusa la rivelazione divina, non si capisce come facciano a sapere quanto potere coercitivo debba esercitare una élite di potere su una società altrimenti pacifica e produttiva. Che si tratti di stabilire quanti millilitri di bevande possiamo bere, o di vietare l’uso di sbiancanti per i denti senza un permesso speciale, ogni sostenitore dello stato ha le sue piccole manie tiranniche. Quanto a noi, è praticamente impossibile distinguere una persona che, pur sbagliando, vuole fare del bene, dalla persona autoritaria, opportunista e alla ricerca di una rendita di posizione, per il quale la politica è solo un modo per guadagnare personalmente. Alla fin fine, non importano le intenzioni che stanno dietro le leggi coercitive che violano i diritti, soprattutto quando si guarda cosa queste leggi hanno prodotto. Gli statalisti ripongono le loro speranze sulla credenza sciocca e storicamente screditata secondo cui se cediamo ad una piccola élite il potere di fare le regole per tutti, questa userà tale potere per il bene dell’intera comunità. Di colpo, gli umani cessano di essere quegli esseri rozzi, violenti ed egoisti che sarebbero in una società anarchica; ma no, sotto lo stato gli esseri umani diventano giusti e altruisti, esenti da tutti quei difetti antisociali che ordinariamente si attribuiscono alla natura umana.
Una volta che cominciamo a vedere lo stato per quello che è, un’organizzazione criminale predatrice; che si arroga con la forza e l’arroganza il potere di fare leggi per gli altri all’interno di una certa area geografica; una volta che cominciamo a capire questo, cominciamo a capire i problemi strettamente pratici che questo sistema comporta. Senza limiti e restrizioni al potere monopolistico dello stato, qualunque altra istituzione sociale che sia in competizione con questo potere diventa una minaccia distruttiva e bellicosa al massimo grado per gli esseri umani. Il risultato è che, al contrario delle parole vuote secondo cui abbiamo bisogno dello stato per proteggerci l’uno dall’altro, è lo stato stesso a rappresentare la più grande minaccia alla pace e al buon vivere degli uomini. Noi anarchici non crediamo che le fondamenta della natura umana possano cambiare, né ce lo aspettiamo. Crediamo, però, che possiamo continuare a cambiare le istituzioni della nostra società, fino ad allinearle il più possibile con i principi della dignità, dell’autonomia e dell’agire umano. Non accettiamo il principio, nato dall’evidenza di fatti storici come la guerra, la conquista e la povertà, per cui non ci resta che alzare le mani e ammettere che queste debbano essere le forze che dominano e governano tutta la vita sociale. In passato abbiamo cambiato teorie e istituzioni e siamo arrivati alla conclusione che alcune sono sicuramente meglio di altre. Non consideriamo più la donna diversa dall’uomo, e non pensiamo più (almeno la maggior parte di noi) che la schiavitù sia un dettaglio legittimo delle relazioni economiche. Allo stesso modo, noi anarchici guardiamo con speranza e lavoriamo perché ci siano cambiamenti nella vita sociale, cambiamenti che ci portino più vicini all’ideale della sovranità individuale e della libertà totale; anche se riconosciamo che una realizzazione assoluta, perfetta, di questo ideale non è possibile.
Il fatto che non possiamo costruire il grattacielo perfetto, privo della minima imperfezione o di errori ingegneristici, non ci ha mai portato a pensare che dobbiamo fermare il progresso e smettere di cercare un grattacielo migliore: il grattacielo perfetto, anche se un’ipotesi inesistente, resta il nostro modello. Non di meno i principi scientifici si applicano a questioni che riguardano la politica, la società e la civiltà. La differenza è apparentemente nel fatto che un grattacielo costruito male, di qualità inferiore, non è usato in maniera propagandistica e egoistica da cortigiani e ruffiani per ottenere vantaggi mantenendo lo status quo. E poi c’è il fatto che le controversie nel mondo ingegneristico non sono passionali quanto quelle politiche. La politica ha a che fare con quello che sentiamo riguardo la comunità, il giusto e l’ingiusto, la guerra e la pace; su questi argomenti non possediamo verità precise e condivise da tutti come accade nel mondo della “scienza esatta”. Ma anche se le verità politiche e sociali non si presentano immediatamente al nostro intelletto, non per questo dobbiamo pensare che non esistano affatto. In natura si trovano verità più generali e altre più specifiche, più evidenti e più nascoste, fenomeni di diverso tipo e ordine, tutte cose che riflettono la verità a modo loro. Una ragione di più per accettare il pluralismo e lo sperimentalismo inerenti un mondo anarchico, cosa che ci renderebbe liberi di scoprire naturalmente e senza costrizioni artificiali la più sincera, la migliore tra le relazioni sociali attraverso un processo decentrato basato sul tentativo. In un mondo schematizzato e unificato come quello prodotto dallo stato, gli errori hanno conseguenze care e di lungo raggio: lo stato pone le basi per crisi sistemiche che costituiscono una minaccia per moltissimi. In un mondo anarchico, gli errori non hanno conseguenze su milioni di persone perché non esistono relazioni gerarchiche costrittive, non si possono obbligare gli altri ad obbedire ad ordini arbitrari. Il mondo anarchico produce più evoluzione che rivoluzione, si espande come ghiaccio tra le fessure della roccia finché quest’ultima, il vecchio sistema decrepito, non si spacca. In pratica così come in teoria, l’anarchia pone interrogativi semplici su cosa significhi essere uomini e sulla maniera migliore di convivere come persone che agiscono liberamente. Lo stato non ha il diritto di dire a te cosa puoi e non puoi fare: nessuno lo fa, e nessuno può farlo. Solo l’individuo possiede diritti su se stesso, nessuno ha il diritto di comandare sugli altri.