Di Kevin Carson. Originale: $10,000 Handbags? Arrrr, Matey! del 29 giugno 2023. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Con un articolo dal titolo “Inside the Delirious Rise of ‘Superfake’ Handbags pubblicato sul New York Times,” Amy X. Wang parla della guerra persa dell’industria della moda contro le borse di lusso contraffatte indistinguibili dall’originale.
Giusto qualche tempo fa passeggiavo per le vie di Parigi con una borsa di Celine contraffatta. La Francia è orgogliosa del fatto che tanta della moda diffusa nel mondo ha origine lì. Le contraffazioni sono punite severamente, tanto che rischiavo tre anni di galera semplicemente per aver portato in giro una borsa contraffatta. Una contraffazione invisibile a occhio nudo, però. Mi portavo appresso un delizioso, esasperante segreto: come le barche fatte con lo stesso legno, anche la borsa che portavo con me era stata fatta con lo stesso design e apparentemente con lo stesso materiale eccelso della borsa “originale”. Ma era considerata un falso illegale, un pacco, na sola…
Così sono approdata a una comunità di Reddit composta da fan del contraffatto, dove ho appreso di “venditori fidati” che possono fornirti una Chanel 2.55, una Loewe Puzzle o una Hermés Birkin, presentate come indistinguibili dagli originali, ad un prezzo che è un ventesimo del prezzo consigliato per gli originali…
…Nell’ultimo decennio c’è stata un’ondata di borse contraffatte dalla Cina. Tutte vantano qualità eccellente. Passano tra le maglie della dogana come acqua in un colabrodo. E, come conferma un rivenditore, possono ingannare anche l’occhio più esperto. “Il problema è tremendamente diffuso,” mi ha detto Bob Barchiesi, presidente dell’associazione internazionale anti-contraffazione. Hunter Thompson, che controlla i processi di autenticazione presso il sito di articoli di lusso RealReal, spiega: “Ormai replicano articoli di stagione nella stessa stagione.”
Io, a dire il vero, non ci vedo tutto questo “problema tremendo”. Più che altro, mi sembra un problema loro.
A Canton, dove si pensa che nascano quasi tutti i superfalsi del mondo, secondo gli esperti sono due i fattori alla base della produzione istantanea di beni illegali: il perfezionamento delle tecnologie produttive e il perfezionamento dei produttori…
L’incredibile somiglianza agli originali… è semplicemente dovuta a un misto di capacità artigianali e di materiali di alta qualità. Alcuni superfalsari vanno in Italia a comprare la pelle dagli stessi produttori di cui si servono i marchi originali. O ancora comprano gli originali e ne studiano ogni cucitura.
Detto altrimenti, date le attuali tecnologie produttive le borse dovrebbero costare 200 dollari. Se ne costano 10.000 è perché 9.800 sono una rendita monopolistica garantita dallo stato.
A confermarlo è il fatto che probabilmente, come sospetta un addetto all’autenticazione, le contraffazioni vengono da “qualcuno che lavora presso Chanel o Hermès”. Ma perché, cosa si aspettano dagli operai strasfruttati? Lealtà? Rispetto della proprietà privata? Certo è interessante notare come i lavoratori dipendenti che producono borse “autentiche” possono produrre anche, con gli stessi materiali, le stesse tecniche produttive e gli stessi macchinari, delle repliche identiche, che poi vendono ad un cinquantesimo del prezzo approfittando della situazione.
È quasi come se… la proprietà intellettuale e i marchi fossero una trovata delle aziende per imporre prezzi che sono decine di volte il costo di produzione. Un esempio da manuale di rendita e di reddito ingiustificato.
Le vecchie generazioni cercano ancora snobisticamente “il vero”; o perlomeno vogliono apparire abbastanza ricchi da permettersi “il vero”. Ma i giovani sono oltre.
Se i giovani preferiscono una borsa contraffatta a quella originale è proprio perché i profitti di quella che è una replica all’infinito finiscono tutti nelle tasche (grasse e aziendali) di pochi. Per loro, un oggetto di lusso contraffatto, in un mondo che trabocca di “repliche” economiche di tutto, dall’ombretto all’elettronica, non è uno scandalo ma un segreto bello grande da urlare apertamente. Gli appassionati del falso ridono in faccia alle grandi firme con l’aria di vendicatori sovversivi.
In tutto quello che si produce la proprietà intellettuale ha la stessa funzione, anche se in grado minore. Come diceva negli anni Novanta il “rivoluzionario” guru di teoria gestionale, nonché babbeo totale, Tom Peters, il prezzo di gran parte dell’elettronica di consumo è giustificato non tanto da manodopera e materiali, ma dalle proprietà “intellettuali”; o, per dirla sinceramente, dalla rendita monopolistica. Ma al di là delle rendite, la proprietà intellettuale fa crescere il prezzo di ogni cosa, spingendo a adottare design che deliberatamente impediscono le riparazioni e il riciclaggio. Se non ci fosse la criminalizzazione del design modulare fatto di parti generiche intercambiabili, si potrebbe comprare un portatile o un cellulare che durano sempre semplicemente aggiornando il microchip o cambiando il monitor o la tastiera quando si rompono. Idem per le auto, le lavatrici e molto altro, che attualmente sono progettate per aumentare al massimo i pezzi da cambiare quando qualcosa non funziona, con costi aggiuntivi assurdi per i pezzi di ricambio, che sono originali e cambiano da marca a marca. Per non parlare della computerizzazione di tutto con software proprietario, come sanno gli agricoltori spennati dai trattori John Deere. O delle aziende farmaceutiche che letteralmente uccidono con i loro diritti di brevetto sull’insulina e altri salvavita, un problema che potrebbe essere risolto, si spera, con la pirateria biotecnologica faidatè.
E allora benvengano contraffazioni e piraterie! Il vero furto è la cosiddetta “proprietà intellettuale”, che non è altro che feudalesimo delle idee, e i veri ladri sono le aziende che se ne servono per ricavare rendita.
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