Di Cayce Jamil. Originale pubblicato il 6 ottobre 2020 con il titolo Towards Methodological Situationism. Traduzione di Enrico Sanna.
Gli anarchici col tempo hanno finito per assorbire alcune parti del pensiero proprio dell’economia, l’antropologia, la psicologia e la macro-sociologia, ma hanno incredibilmente trascurato la micro-sociologia. La cosa stupisce visto che al cuore dell’analisi anarchica troviamo le strutture gerarchiche, che sono un fenomeno sociologico. Il concetto anarchico standard di struttura gerarchica si concentra quasi esclusivamente sul potere strutturale. In termini generali, gli anarchici sostengono di essere contro tutte le strutture gerarchiche, ma sembrano non accorgersi di quelle gerarchie che essi stessi riproducono nel loro quotidiano. L’ignoranza dei processi micro-sociologici è pressoché universale nell’attuale pensiero anarchico. Con questo saggio, più che parlare degli individui, intendo evidenziare le possibilità esplicative derivanti dall’analisi di quelle situazioni sociali in cui gli individui stessi sono avviluppati.
Secondo Georges Gurvitch, un sociologo che ha sviluppato le idee di Proudhon e Marx integrandole con intuizioni derivate dalla fisica, l’universo non può più essere visto come una macchina composta di singole parti. Deve invece essere considerato un insieme dinamico e indivisibile fatto di parti interconnesse. Chi non ha familiarità con la sociologia vede solitamente gli individui come entità indipendenti e distinte l’una dall’altra. È questo che porta a distinguere tra individui “buoni” e “cattivi”. La lotta sociale è sostanzialmente vista in termini di “buoni contro cattivi”, ma si tratta di una visione errata del mondo. Ilnoi, come spiega Gurvitch, precede ontologicamente l’io. Ovvero, il gruppo precede l’individuo. L’individuo è un prodotto della società, non il contrario (Bosserman 1968).
Tra parentesi, l’uomo è tra quelle rare specie che superano il test dello specchio, ovvero che riconosce se stesso allo specchio. Se un animale supera il test, si desume che abbia quello che i sociologi chiamano “il sé”, o coscienza. Si dice che un individuo acquisisce un sé solo quando prende coscienza del “comportamento dell’altro” e diventa un oggetto nei suoi confronti. Un fatto interessante è che gli scimpanzé, che di norma superano il test, non acquisiscono tale capacità quando sono tenuti in isolamento dalla nascita. Ma la acquistano quando possono socializzare con altri scimpanzé (Gallup 1977). Queste scoperte sono in linea con le teorie comportamentali sociali di George H. Mead, poi chiamate interazionismo simbolico, secondo cui l’acquisizione del sé richiede l’interazione con altri. “Il sé, in quanto oggetto, è sostanzialmente una struttura sociale, nasce dall’esperienza sociale (Mead 1934, 140).” Il concetto di sé dell’individuo dipende completamente da come la società agisce nei suoi confronti. Pertanto il sé è un costrutto. La cosa non sorprende visto che tutti i linguaggi e i simboli sono di per sé costrutti sociali e costituiscono una cospicua attività mentale.
L’idea del sé come costrutto sociale è una scoperta importante perché dimostra l’influenza profonda della società sulla nostra mente. L’interazione è sostanzialmente modellata da processi sociali inconsci assorbiti fin dall’infanzia. Ci crediamo razionali, ma siamo ingabbiati nella nostra razionalità. Utilizziamo spesso processi euristici, o scorciatoie mentali, per agevolare l’interazione. La quantità di informazioni che fluisce tra due persone che interagiscono tra loro è inimmaginabile e, in genere, scontata. Tono, volume, inflessione e ritmo danno un sensibile significato simbolico alla lingua parlata. Come spiega Randall Collins (1992, 12), “La società funziona proprio perché le persone non devono decidere razionalmente in termini di possibili benefici o perdite. Ciò che rende possibile la società è il fatto di non doversi occupare di queste cose.” Ogni persona incapsulata nella società confida inconsciamente in una quantità enorme di processi euristici sociali che permettono l’interazione.
Non sorprende, dunque, se nel corso di una normale giornata mettiamo in pratica tutta una serie di copioni culturali, che comprendono ruoli di rispetto e comportamenti che sono al fondo della nostra psiche. “Come gli attori professionisti, gli attori sociali inscenano ruoli e personaggi e agiscono sulle scene interagendo tra loro. Insomma, mettono su uno ‘spettacolo’ (Trevino 2003, 18).” Questi spettacoli garantiscono il flusso dell’interazione e si basano su convinzioni culturalmente condivise che influiscono sul nostro modo di interagire con gli altri. E dato che il rapporto gerarchico è radicato nella nostra società, gerarchici sono anche tutti i nostri atteggiamenti. Gerarchie di dominio e prestigio prendono corpo continuamente nelle interazioni quotidiane senza che se ne abbia coscienza. Si è scoperto che già alla scuola materna, ad esempio, i bambini apprendono le gerarchie di dominio semplicemente osservando gli altri (Charafeddine e altri, 2015). Gli anarchici, pur volendo minimizzare, o abolire, queste gerarchie, generalmente non hanno una nozione esatta delle gerarchie in società.
Cosa importante, la società dà forma non solo al modo in cui definiamo noi stessi, ma anche al modo in cui definiamo una data situazione. Ogni comportamento individuale è dato dalla comprensione della situazione. Contrariamente a quanto fa l’individualismo metodico, l’enfasi qui dovrebbe essere posta su ciò che io chiamo situazionismo metodologico. Sono prevalentemente le situazioni a dare forma alle azioni umane. “L’individuo è un precipitato di passate situazioni interazionali e al tempo stesso un ingrediente di ogni nuova situazione. Un ingrediente, non la determinante, perché la situazione è una proprietà emergente. Una situazione non è semplicemente opera dell’individuo che vi si trova dentro, e neanche di una combinazione di individui (è anche questo, però). Le situazioni sono governate da leggi o processi a sé stanti (Collins, 2004, 5).” Così come il gioco fa l’eroe, le situazioni, o una catena di situazioni, fanno l’individuo. Erving Goffman in Asylum (1968) spiega come istituzioni totali come il manicomio cercano di imporre nei ricoverati, spesso riuscendoci, una certa comprensione del sé imponendo loro determinate situazioni.
La vita sociale si riassume in situazioni concrete, ed è su queste situazioni che ci si deve concentrare. L’attenzione verso le situazioni può essere sviluppata per cercare di capire come gli individui assumono credenze controintuitive. Ludwig Gumplowicz (1899), ad esempio, sul cui operato si basa Franz Oppenheimer (1922) per la sua teoria dello stato per conquista, sosteneva che la conquista di un gruppo da parte di un altro avviene inizialmente sotto forma di dominio puro. Col tempo e con l’interazione, però, questo rapporto gerarchico viene progressivamente assimilato e legittimato finché le due società distinte diventano una sola. Scompare il dominio e si afferma il prestigio. Emerge tra i due gruppi un accordo tacito. Solitamente si usano argomenti legittimanti come il “diritto divino” oppure, oggi, il “merito”. La legittimazione della disuguaglianza aumenta la complessità totale sintetizzando le due società in una sola. Attraverso simili processi situazionali (Malešević 2017), nel corso degli ultimi dodicimila anni l’intero pianeta è stato gradualmente assorbito da una società globale stratificata, con le forze armate statunitensi attualmente al vertice. È così che oggi TUTTI noi abbiamo il nostro “sé” ingabbiato in una società basata sul puro dominio e sottomissione.
Alexander Rustow (1980, 38), che studia le origini dello stato conquistatore, spiega così la nostra situazione:
Tutti noi, senza eccezioni, abbiamo in noi questo veleno, nelle forme e nei punti più inaspettati, e ciò inganna spesso le nostre percezioni. Siamo tutti, collettivamente e individualmente, complici di questo enorme peccato, di questo peccato originale, di questa tara ereditaria che può essere asportata, eliminata solo con grande difficoltà, lentamente, studiando la patologia, aspirando alla guarigione, con il rimorso attivo di tutti.
Poiché le situazioni determinano la stragrande maggioranza dei comportamenti individuali, è nell’interesse degli anarchici volgere il proprio interesse verso le situazioni sociali. Limitarsi all’individuo impedisce di vedere il punto essenziale: come gli arrangiamenti strutturali danno forma al comportamento individuale. Io vado oltre e dico che la disintegrazione sociale a cui stiamo assistendo non ha a che fare tanto con gli attori individuali, quanto con le situazioni sociali e con i ruoli. Se Trump può fare il tiranno, ad esempio, è perché è stata creata una certa situazione. Il concetto “buoni contro cattivi” serve solo a far colpo sull’ego dei cosiddetti “buoni” e alienare quei “cattivi” che essi stessi giudicano irrecuperabili. Tener conto della ricerca micro-sociologica, pertanto, permette una comprensione più sfumata della realtà sociale, e allo stesso tempo aggiunge potere interpretativo all’intero quadro anarchico.
Riferimenti
Bosserman, Phillip. 1968. Dialectical Sociology: An Analysis of the Sociology of Georges Gurvitch. Porter Sargent Publisher.
Charafeddine, Rawan, Hugo Mercier, Fabrice Clément et al. 2015. “How preschoolers use cues of dominance to make sense of their social environment.” Journal of Cognition and Development 16(4): 587-607.
Collins, Randall. 1992. Sociological Insight: An Introduction to Non-Obvious Sociology. Oxford University Press.
Collins, Randall. 2004. Interaction Ritual Chains. Princeton University Press.
Gallup, Gordon G. 1977. “Self recognition in primates: A comparative approach to the bidirectional properties of consciousness.” American Psychologist 32(5): 329-338.
Goffman, Erving. 1968. Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates. Aldine Transaction.
Gumplowicz, Ludwig. 1899. The Outlines of Sociology. American Academy of Political and Social Science.
Malešević, Siniša . 2017. The Rise of Organised Brutality: A Historical Sociology of Violence. Cambridge University Press.
Mead, George Herbert. 1934. Mind, Self and Society. University of Chicago Press.
Oppenheimer, Franz. 1922. The State: Its History and Development Viewed Sociologically. Vanguard Press.
Rustow, Alexander. 1980. Freedom and Domination: A Historical Critique of Civilization. Princeton University Press.
Treviño, Javier A. 2003. Goffman’s Legacy. Rowman & Littlefield Publishers.