Di Austin Reddy. Originale pubblicato il 28 marzo 2020 con il titolo Coronavirus & Critical Theory; or, How to Come Together in a Pandemic. Traduzione di Enrico Sanna.
Nel bene o nel male, il coronavirus ha unito il mondo. La gente è spaventata, preoccupata, molti non si fidano più degli spazi sociali che prima apparivano scontati. La preoccupazione principale oggi riguarda l’igiene dell’Altro. Autorità statali e istituzioni pubbliche invitano al “distanziamento sociale”, un fenomeno che molto probabilmente era già una risposta organica all’ansia creata dall’epidemia, ma che ora viene codificata attraverso quegli stessi canali sociali che ancora ieri pensavamo che avrebbero mantenuto il flusso continuo del consumismo egoista. E invece ci spiegano che è in gioco la questione dei valori anche quando andiamo a fare la spesa o quando mangiamo, il che ci spinge a chiederci se l’Altro sa come coprirsi la bocca, lavarsi le mani, o badare alla sicurezza dello spazio pubblico nell’interesse di altri Altro.
Se fosse vivo, lo psicanalista Jacques Lacan direbbe che il coronavirus ha preso il posto di das Ding, “la cosa” che organizza la vita pubblica: se prima la vita ruotava attorno alla “cosa” delle merci e del divertimento, ora ciò che occupa la mente di tutti è la sicurezza nei luoghi pubblici. La questione non può neanche essere nominata direttamente senza effetti socialmente devastanti e offensivi; si può solo fare fare qualche accenno ponendo all’Altro domande come: “Hai sentito le notizie? Quanto pensi che durerà la pandemia?” Il che significa: Ma hai visto cosa sta succedendo? Quanto tempo pensi che potremo tenere in piedi questa buffonata della fiducia reciproca quando non ci fidiamo neanche di noi stessi, figuriamoci degli altri?
Forse è utile, in questi tempi oscuri, andare a rileggere quello che scriveva Michel Foucault in Sicurezza, Criminalità e Controllo dei Corpi (in Sorvegliare e punire), quando parlava dell’imposizione dello stato di sicurezza attraverso pratiche di controllo del corpo, compresa la codificazione dell’igiene di passati sistemi giuridici. Foucault parla dei tentativi, da parte delle autorità ecclesiastiche, di controllare il comportamento dell’uomo in vista del raggiungimento del bene, e vede in questi fattori le basi di un sistema che oggi considera la salute il bene supremo; laddove per salute Foucault intende “la vita nella sua forma più naturale”. Un simile sistema di controllo, sostiene Foucault, identifica il locus della vita politica nel mantenimento del potere sovrano dell’Altro (ovvero, la sovranità dell’individuo nella misura in cui viene percepito da altri individui come soggetto portatore di diritti) di disporre della propria vita nella maniera che ritiene adeguata. Poiché l’orizzonte della vita in un regime liberale non ha trascendenza e quindi non ricerca il bene, ecco che la ricerca estetica del piacere in quanto tale diventa opera creativa, e l’imperativo giuridico che sottostà a tale società diventa la promozione della sicurezza attraverso lo sviluppo della sovranità a livello individuale, nazionale e internazionale, ovvero ciò che Carl Schmitt chiamava il nuovo “nomos della terra”.
Ma quando si esaminano le cause del coronavirus, occorre riflettere e chiedersi se lo sviluppo della forma stato nazione comprende effettivamente quei valori in cui ci identifichiamo, o se invece lo stato di sicurezza non è una struttura paranoica pensata per impedirci di sentirci sfruttati da persone che consideriamo diverse. Molti discorsi razzistici sui cinesi fanno capire che ci troviamo in quest’ultima situazione.
Il fatto che alle origini del virus ci siano molti fattori non ci impedisce di identificare almeno due spunti analitici: la risposta biologica e quella governativa. Sia l’una che l’altra, però, sono legate al sottostante imperativo “biopolitico” che impone di produrre una popolazione governabile. Nella cristianità medievale, la cura pastorale aveva un’importanza centrale nel formare soggetti di un tipo particolare; secondo Foucault, oggi il progetto pastorale è stato sostituito da una definizione biologica dell’uomo che sta a fondamento dell’amministrazione statale. La teoria foucaultiana ci porta ad un’inquietante conclusione: l’economia non è un discorso che si basa su una verità preesistente (secondo il modello della scoperta della verità), ma è invece ciò che lui definisce “il mercato in quanto luogo in cui si dà il verdetto della verità”, ovvero il mercato è il luogo in cui si produce la verità.
Questo significa che gli imperativi dello sviluppo demografico sono insiti nel sistema internazionale. Al fine di trasformare se stessa in soggetto moderno, l’alterità del terzo mondo ha dovuto articolarsi nella forma dello stato nazione. Questo imperativo che spinge a trasformarsi in senso moderno, però, ha generato in Cina una profonda frattura tra la popolazione rurale e quella cittadina. E poiché la legittimità della capacità di governare nasce dalla sua capacità di produrre “nuda vita”, ecco che il corpo diventa soggetto di politicizzazione. L’alterità razziale e di genere organizza lo stato non al fine di promuovere gli interessi di una particolare classe, ma secondo il modo in cui la verità è concepita nella modernità. Questo non significa che non esistono gli interessi di classe, ma che, come nota Foucault, questi non rappresentano gli interessi principali attorno ai quali si organizza la topologia dello stato. La capacità dell’Europa di dichiarare la propria supremazia tramite l’invenzione di diritti umani richiedeva l’uso di materiale umano dal terzo mondo; e oggi l’edificazione dell’alterità del terzo mondo, che tenta di rendere giustizia alle proprie condizioni e coltivare la propria forma di stato nazione, ha prodotto una situazione che minaccia il mondo intero.
Come già intuiva Simone Weil ne La prima radice, l’animo umano ha bisogno di radici. Ma questo bisogno di radici, quando viene espresso con la forza, genera una battaglia infinita fatta di paranoie e accuse, a cui si aggiunge l’incapacità di capire come l’insieme delle relazioni condizioni ogni particolare punto di vista, spingendolo ad agire seguendo il proprio interesse e a giustificare la storia violenta che rappresenta il suo passato. Ma il futuro non si costruisce sulla rabbia. Solo un orizzonte umano comune, in grado di vedere le conseguenze reciproche della fusione di culture diverse in un quell’unico complesso tecnico, economico e problematico che è il governo liberale, un orizzonte basato sull’eguale dignità di ogni persona, con il riconoscimento unico del diritto di ognuno di cercare ciò che è giusto a modo suo; solo un tale orizzonte comune può dar forma ad una riforma del concetto di sovranità che non degeneri in razzismo, ma che invece ruoti attorno all’inviolabilità dello spirito umano e a quella solidarietà comune che è l’obiettivo finale della specie in un mondo pacificato.