Di Emmi Bevensee. Originale pubblicato il 6 settembre 2017 con il titolo Open Borders are Our Only Hope. Traduzione di Enrico Sanna.
Immagine d’apertura: il muro che separa Nogales, Arizona, Stati Uniti, da Nogales, Sonora, Messico.
Tribalismi e Frontiere Nazionali
Tra i tanti pericoli degli stati nazione con le loro frontiere ci sono due paradigmi, nazionalismo e tribalismo, che sfruttano le ossessioni per giustificare la violenza. Semplificando, il tribalismo crea gruppi disumanizzando l’“altro”, categorizza idealmente le persone secondo una qualche differenza (per quanto minima) e vede nel valore di qualcuno il detrimento del proprio gruppo o della propria “comunità”.
L’ideologia della pelle bianca, utilizzata dagli imperi sfruttatori, è alla base di uno dei paradigmi più profondi dell’alterità tra quelli che perseguitano il nostro mondo. La parola “tribalismo” è dolorosamente connessa al fumo negli occhi dei dominii coloniali, che permisero agli sfruttatori di esercitare sulle popolazioni indigene le pratiche tribaliste più atroci. Tribalismo non deve essere inteso come sinonimo peggiorativo di “primitivismo”. Sta invece alla base del mito della pelle bianca, necessario a giustificare il dominio coloniale. Che si tratti di un monarca indigeno o dalla pelle bianca, però, bisogna combattere questa immorale aggressione mentale, ma anche riconoscere che il male che accompagna il tribalismo varia in dimensioni, qualità e identità secondo la persona da cui ha origine. Dopotutto l’insulto detto da un povero cristo (“Vaffanculo, sporco maiale!”) potrebbe suonare accettabile, è fondamentalmente diverso dall’insulto detto da una ricca donna bianca (“I poveri sono stupidi”).
Spesso tribalismo fa rima con nazionalismo, ma è un concetto più fluido. Non dipende solo dallo stato nazionale. Si trova anche nel nazionalismo di prossimità, nell’alterità razziale, eccetera. Il problema in sé non è la tendenza di noi umani a cercare affinità con gli altri. Il problema è ciò che ne caviamo fuori. In senso comportamentale, il fatto che ci siano tribù è tutt’altra cosa dal “tribalismo”. Una tribù, o una comunità immaginaria, che vuole e utilizza la cooperazione con gli altri e non ricorre alla disumanizzazione per preservare la propria supremazia con la forza, non è tribalistica: pratica l’associazione volontaria. Ad esempio, il fatto che io ami qualcuno e stimi me stesso non significa che io debba odiare tutti gli altri, tutti quelli che non condividono i tratti comuni a me e alla persona che amo.
E quand’anche il tribalismo fosse un fatto “naturale” o connesso, dovrei cercare di oppormi alla mia natura, cercare di cambiarla; meccanicamente, se serve. L’obiettivo è l’eliminazione del messaggio secondo cui io sono superiore a te semplicemente perché sono io. Applicando il cosiddetto “problema del carrello ferroviario” al rapporto esistente tra me e persone del mio stesso valore e buonsenso (qualunque cosa significhi), mai e poi mai dovrei esitare ad agire per il loro bene sacrificando me stesso; questo perché mi sento profondamente connesso a loro. Questa logica egocentrica ha anche un valore temporale. Lo spirito indigeno è solito riflettere sui cinquecento anni precedenti e posteriori una data generazione, e a vedere i rapporti tra individui in questa scala di tempo. Importante è anche il fatto che non esista un governo dell’uno sull’altro a livello collettivo o individuale. L’occidente non riesce a far suo un simile paradigma; da qui i problemi coordinativi perché “penso che la libertà altrui non valga quanto la mia”, anche quando “libertà” significa semplicemente mangiare e star bene. Qualunque sia il ragionamento alla base, dire “io valgo di più” soltanto perché sono io è sbagliato. È spocchia. Se essere spontaneo significa questo, a fanculo la spontaneità.
Il nazionalismo è una delle forme di tribalismo più rozze, e il razzismo non è formalmente molto diverso. Le disparità ideologiche e culturali sono camuffate da giustizia e poi usate per edificare un complesso sistema di dominio. Non devo pensare che una persona valga meno di me semplicemente perché quella persona è nata da quella parte di un confine e io da questa. Miliardi di vite meritano almeno un minimo di libertà anche se io ignoro anche la loro esistenza.
Il nazionalismo è uno dei campi di battaglia più sanguinosi del tribalismo attuale ed è caratterizzato dal principio endemico dell’alterità. I confini sono luoghi in cui si combatte la resistenza, lo spazio ibrido tra comunità immaginate e valori gonfiati. I territori di confine infettano la disumanizzazione con l’empatia al punto da rendere possibili scambi e condivisioni nella diversità. La vulnerabilità al potere e al mito è proprio la ragione per cui i nazionalisti cercano di reprimere con la forza i rapporti di confine. Perché questi sono un virus memetico che libera dalle logiche errate, e ogni passo in direzione della libertà accresce le speranze per il futuro del genere umano e per il panorama ecologico dell’universo. Una frontiera aperta fa la differenza tra il dilemma di un sociopatico ingabbiato in un pensiero circolare per il resto della sua miserabile esistenza, e ciò che non riusciamo neanche ad immaginare.
Confine
Il confine, nel senso attuale di costrutto fisico e/o ideologico che separa stati nazionali congiunti, non è la norma. Il confine è quel muro (spesso fisico) che delimita aree di autorità e costrizione in contrasto con gli ideali di libertà e sviluppo fondamentali per l’uomo. È opinione diffusa che il moderno stato nazionale sia nato nel 1648 con il Trattato di Westfalia in risposta alle guerre di religione. Con il tempo, le idee e le pratiche stataliste trovarono applicazione pratica grazie alla giustificazione della necessità di uno stato fatta da Hobbes, che vedeva nello stato un sistema di coordinazione e azione collettiva su questioni di bene pubblico, ovvero la pace e la sicurezza interna. Quanto al passaporto, in origine era solo un mezzo precauzionale in tempi di guerra, e molti paesi ne chiesero l’abolizione totale. Il confine americano con il Messico permetteva la libera circolazione prima dell’approvazione dell’Accordo di Libero Commercio del Nord America (NAFTA) e del Piano Strategico Nazionale di Clinton del 1994. Entrambi servivano ad arginare l’inevitabile flusso migratorio che sarebbe risultato dagli accordi di libero commercio. Oggi assistiamo ad un’ulteriore militarizzazione e politicizzazione con Donald Trump e i suoi fanatici e il loro sogno di un impossibile muro, e questo nonostante al netto la migrazione dal sud verso gli Stati Uniti sia negativa, gli immigrati commettano meno crimini, non aumentino la disoccupazione e utilizzino meno risorse pubbliche. Gli Stati Uniti rendono di fatto illegale l’immigrazione imponendo restrizioni impossibili all’immigrazione legale. E il regime di Trump non fa che peggiorare le cose. Esperimenti come quello di Schengen e l’Unione Europea, nonostante le complessità del Brexit e le infinite burocrazie della UE, dimostrano come una fluidità dei confini tra paesi è non solo possibile, ma anche incredibilmente proficua, etica e vantaggiosa. Molti americani pensano che l’immigrazione sia un bene, anche se non ai livelli, veri o percepiti, attuali.
Per quanto uno stato sia incompetente, inefficiente e rigidamente inflessibile, l’argomento principale di un anarchico contro lo stato nazionale è il suo essere illegittimo definito dal monopolio della violenza e dai metodi costrittivi di dominio. Ad eccezione del nazional-“anarchismo” di matrice nazista, tutte le forme di anarchismo, da quello capitalista a quello comunista, sono fortemente contrarie allo stato ed al nazionalismo. Stati e frontiere, pilastri portanti del tribalismo e dell’immobilismo, sono visti come l’ostacolo principale allo svolgimento dell’empatia, l’evoluzione e la coordinazione.
Se ci sono migrazioni significa che c’è disparità (probabilmente strutturale) nell’allocazione dei beni pubblici. Se emigrare non facesse la differenza, la gente starebbe dov’è. Le frontiere aperte fungono da equalizzatore, da sfogo della produttività. La libertà di movimento è fondamentale per l’ethos, per un sistema di diritti che punti alla libertà. Senza la libertà di movimento, cade gran parte dei principi etici e dei diritti. Se non ci si può muovere, ad esempio, muore la libertà di associazione e di scambio. E a che serve la libertà di espressione se non si può viaggiare e interagire con un diverso uditorio?
Un libertario favorevole ad una frontiera militarizzata è probabilmente un cripto-fascista, se non un fascista vero e proprio del genere di Augustus Invictus e altri. Non può esserci libertà senza l’abolizione degli stati nazionali con le loro frontiere. Michael Huemer, libertario esperto di etica, definisce così le frontiere:
“Si impongono restrizioni con la forza: si assumono guardiani per pattugliare le frontiere ed impedire fisicamente l’ingresso non autorizzato, agenti armati dello stato arrestano e espellono chiunque sia trovato a risiedere illegalmente nel paese… molti soffrono a causa della povertà e dell’oppressione, cose a cui si potrebbe rimediare scegliendo di andare altrove.”
Ma non è che l’inizio delle sofferenze visto che molti scappano dalla guerra, o peggio, salvo poi continuare a soffrire nei centri di detenzione. Ma anche chi non scappa e semplicemente preferisce stare altrove deve potersi muovere liberamente purché non intacchi direttamente i diritti altrui. Quando i monopoli del potere e della violenza non interferiscono, migrazioni e mercato sviluppano qualità peculiari che portano rapidamente ma dinamicamente ad un equilibrio omeostatico.
Le frontiere servono a trasformare il forestiero nell’“altro”. Quelli che stanno al di là di una linea invisibile sono spesso una finzione razziale fortemente politicizzata della mentalità coloniale paranoica. Non è un caso se xenofobia, la voglia di tracciare confini e una chiara definizione di cittadinanza storicamente sono legati al genocidio dell’atto coloniale. Nel moderno capitalismo statalista, l’“altro” oltre il confine serve a “giustificare” lo sfruttamento delle risorse e del lavoro in modo diverso ma che ricorda molto la schiavitù dell’America coloniale.
I confini nazionali non devono però essere confusi con l’ambito della persona e della proprietà privata. Nessun esterno ha il diritto di interferire con ciò che è eticamente e legittimamente proprietà di un individuo o di una collettività. Vedi il caso del movimento “No-DAPL” a Standing Rock dove, con il sostegno di anarchisti e libertari armati di coraggio e coscienza, le popolazioni indigene si oppongono alla violazione della proprietà terriera stabilita nei trattati. Il fatto che non abbiano fatto ricorso alla violenza testimonia la forza delle loro convinzioni, o la pericolosità della situazione. Questi movimenti, che si battono per le terre indigene, pur contenendo elementi di liberazione nazionale, fanno capire come sarebbe una società a proprietà privata collettiva e, se non altro, spiegano perché il nazionalismo vuole distruggere i nazionalismi concorrenti e le regole della proprietà a prescindere dalla loro legittimità. In questo senso, decolonizzazione e nazionalismo indigeno possono essere visti come un tentativo di cavalcare il monopolio e la violenza dello stato nel desiderio di accedere alle risorse altrui.
Economia
Si esita a parlare dell’aspetto economico delle migrazioni perché i migranti sono spesso ridotti alla caricatura disumana del loro valore mercificato. È una crudeltà assoluta che schiva l’imperativo etico che circonda le migrazioni. D’altro canto, però, evitare completamente l’aspetto economico della questione serve solo a nascondere le ramificazioni disastrose della chiusura delle frontiere. Non importa se il nostro sistema è corrotto fino al midollo e se padroni e monopolisti traggono vantaggi enormi dagli immigrati e dalle risorse, le conseguenze economiche delle frontiere chiuse sono sempre devastanti per i più deboli, per quelli che vengono dai paesi colonizzati ed i clandestini che lavorano nel paese ospitante. Per quanto sia un compito ostico, per avere un quadro completo della crisi è necessario capire l’aspetto economico delle migrazioni e mettere così al centro il lato umano di chi emigra.
In un regime nazionale imperialista i confini servono a proteggere la concentrazione della ricchezza mantenendo l’accesso allo sfruttamento delle risorse e della forza lavoro. Molti nazionalismi dei popoli oppressi sono una reazione, o un’opposizione, a queste regole, pur con tutti i problemi di tutti i nazionalismi. Ma grazie ad internet e ai forti scambi tra cittadini globali che avvengono tutti i giorni, la possibilità di tenere in piedi confini e identità nazionali per molti versi sta scomparendo. Le nazioni sono oberate da costose sovvenzioni. Il fatto che queste sovvenzioni non siano sostenibili, unito alla crescente facilità d’uso di cose come le criptovalute e la rivoluzione industriale casalinga, genera una tendenza al decentramento del mercato tramite pratiche contro-economiche e agoriste. A queste pratiche si possono affiancare istituzioni parallele che, seguendo la logica di mercato, portano ad un significativo appiattimento delle attività nonché alla graduale distruzione di enormi concentrazioni di ricchezza.
Per proteggere i siti di potere sovvenzionati e la concentrazione delle risorse, gli Stati Uniti spendono ogni anno miliardi di dollari in infrastrutture di “Prevenzione Tramite la Deterrenza” che costringono i migranti ad attraversare il deserto nei punti più pericolosi. E mentre i costi per il rafforzamento delle frontiere vanno alle stelle, i fermi calano. A ciò si aggiunge il fatto che gli Stati Uniti spendono per i controlli migratori più di tutte le altre agenzie combinate. Le sovvenzioni aiutano a creare e conservare un sistema monopolistico attraverso pratiche clientelari e contratti a carta bianca con aziende private che forniscono ogni pezzo di quella che pare una catena infinita di cose necessarie a “proteggere i confini”. La strategia basata sulla prevenzione tramite la deterrenza e la polizia di frontiera significa che i cartelli della droga messicani (i narcos) possono limitare il controllo a certe zone di attraversamento e non a tutto il confine. Agendo con brutalità e corruzione, polizia di frontiera e narcos gestiscono le vite di chi attraversa il confine, spesso costringendoli a situazioni rischiose mentre cresce la disperazione di riuscire ad attraversare senza rischi. Qualcosa di simile minaccia la UE: i paesi chiudono le frontiere, minando l’efficenza del trattato di Schengen in un’Europa continentale sempre più nazionalista e xenofobica.
Secondo gli economisti, aprendo le frontiere si potrebbe raddoppiare il pil mondiale. Questo non solo eliminerebbe la povertà nel mondo, ma potrebbe anche avviare un’epoca di prosperità mai vista prima; potremmo risolvere alcuni dei problemi più assillanti riguardanti la salute e l’ambiente, problemi che minacciano non solo la nostra specie, ma tutta la terra. Il paese ospitante avrebbe tutta una serie di benefici, come manodopera, capacità imprenditoriali, capitali sociali; benefici che si estenderebbero anche ai paesi “sottosviluppati” che accolgono migranti. Negli Stati Uniti, ad esempio, molti arrivano solo per lavori stagionali, dopodiché tornano a casa. Gli immigrati sono spesso disposti a fare quei lavori che gli americani non vogliono fare, il che fa calare i prezzi e crescere i salari in generale, pur essendo questo fenomeno il risultato di un’iniziale disuguaglianza. L’industria agricola, ad esempio, crollerebbe senza tutti questi lavoratori clandestini; lo stesso vale per i benefici economici di altri paesi, come il surplus di bilancio della Gran Bretagna. Le restrizioni alla migrazione di popolazioni a sud degli Stati Unti (così come il prossimo suicidio economico dei dazi) sono un ostacolo anche per le tante imprese americane che cercano di fare affari in Messico ma sono spaventate dalle lungaggini e dall’eccesso di burocrazia per chi attraversa il confine, soprattutto per quanto riguarda gli americani non bianchi di rientro a casa. E poi è ridicolo, oltre che razzista, pensare che l’innovazione imprenditoriale e lo sviluppo intellettuale siano a senso unico, dagli Stati Uniti verso il Messico. Non dobbiamo dimenticare che le persone dalla pelle bruna hanno creato gran parte di ciò da cui dipende la società moderna, dall’alimentazione alla matematica alla fisica. La realtà è che un maggiore scambio con intellettuali, innovatori e imprenditori messicani andrebbe inevitabilmente ad accrescere le dinamiche della competizione che tiene alti i salari e bassi i prezzi, oltre a favorire lo sviluppo di certe pratiche e prodotti nel mercato.
La somma spropositata di 113 miliardi inizialmente buttata giù da Trump e i suoi media clientelari come costo dei clandestini per i contribuenti americani è fuorviante. Se ai lavoratori clandestini fosse permesso di lavorare legalmente, abbandonerebbero l’economia agorista in nero per entrare nell’economia tassabile (per quanto io sia contro lo stato, le tasse, eccetera). Gli Stati Uniti potrebbero incassare le tasse sul loro lavoro, controllare i flussi migratori e soddisfare le loro manie di spreco (come l’ormai defunta DACA). Diminuirebbero i relativamente minuscoli benefici che ossessionano i conservatori, perché le persone sarebbero in grado di cercare lavoro a valore di mercato, non in nero, precario e a condizioni fortemente svantaggiose. In realtà, anche l’ossessione paranoica di chi pensa che l’immigrazione gonfi lo stato sociale fino a farlo fallire è un falso, o perlomeno è fortemente esagerata, come dimostra uno studio condotto in diverse nazioni della UE. Anche molti conservatori libertari sono scettici riguardo gli aspetti economici, che soffocano gli obblighi morali.
I migranti dovrebbero avere le stesse possibilità di competere liberamente su un mercato globale equo così come qualunque altra persona o attività economica. Secondo uno studio approfondito, il tentativo politico di far credere che i migranti siano in concorrenza tra loro, quando invece cercano la collaborazione e la coordinazione, finisce per far salire drammaticamente i costi e le perdite associate agli spostamenti demografici in conseguenza delle migrazioni. Questo ingresso diversificato nel mercato può creare una rete di complessità in grado di massimizzare lo sviluppo, abbassare i prezzi e far salire i salari. Tutte queste sovvenzioni artificiali, fatte con l’intento di proteggere un’immaginaria comunità americana, sono non solo un inutile spreco, ma anche insopportabilmente crudeli. Gli Stati Uniti dipendono dall’asservimento del Messico e dei messicani (e delle popolazioni più a sud). Concedere pari opportunità a chi sta a sud degli Stati Uniti significa accrescere il benessere di tutti tranne quelli le cui ricchezze immense dipendono da sfruttamento violento e nazionalismo fittizio. Si potrebbe dire molto altro sugli aspetti economici di questi problemi, ma, quasi più di ogni altra cosa, è importante trattare le politiche migratorie partendo dal presupposto che gli immigrati sono esseri umani in carne ed ossa, persone che cercano e che meritano una vita dignitosa, un benessere, una dignità umana, perché tali sono.
Sviluppo Intellettuale e Culturale
Le zone di confine sono spesso luoghi ameni, in cui si mangia bene, i mercati sono floridi, c’è buona musica e gli intrecci si moltiplicano. Le contaminazioni culturali portano ad vero e proprio clima di allegria quando si riesce a minimizzare gli effetti dei monopoli e della militarizzazione, statali e non. Le zone di confine, unite ad una maggiore libertà di movimento, favoriscono lo scambio e promuovono la pace tra mondi diversi. Inoltre, cosa da non sottovalutare, le frontiere aperte favoriscono la circolazione delle idee. Dove la circolazione delle idee è impedita, lo sviluppo si blocca. Quando le idee circolano libere, il mondo ne trae enormi benefici.
La chiusura delle frontiere ingabbia le idee in due modi: (1) impedisce alle persone di muoversi e creare contatti per condividere le proprie idee, e (2) impedisce alle persone di immergersi in culture e lingue diverse così da poter presentare efficacemente le idee proprie. Il volgare nazionalismo e l’isolazionismo producono un nazismo obsoleto, frenano la crescita scientifica, lo sviluppo tecnologico, le idee politiche e altre espressioni culturali come la letteratura e l’arte.
Internet ha eliminato alcuni dei limiti legati al controllo delle frontiere, ma non è come il contatto personale, soprattutto in contesti come quello cinese e turco dove, nonostante l’ampia disponibilità di strumenti come i proxy e i browser VPN e Tor, internet è fortemente controllato e censurato. Ma anche a fronte di tante restrizioni, internet evidenzia il potenziale di crescita di una complessità memetica attraverso l’interscambio culturale. Quando puoi partecipare ad un forum e verificare le tue personali teorie politiche o economiche sull’esperienza di vita e la ricerca di persone di tutto il mondo, ampli il tuo campione di riferimento e dai più solidità alle tue teorie. Lo stesso vale per l’immersione in una cultura diversa. Le idee e gli stereotipi di una persona possono essere verificati a partire dall’esperienza di vita e dall’osservazione di altri che hanno accesso ad altre forme di conoscenza. È così che le frontiere aperte aiutano a risolvere il problema della conoscenza nei mercati e il problema della conoscenza del privilegio, cose impossibili in un mondo a chiusura ermetica.
Non Fare il Minchione
Al di là delle disquisizioni su economia e idee, ancora più importante è evidenziare ciò che sta alla base del concetto di frontiera aperta: il fatto di non essere un minchione. Chiunque può ritrovarsi nelle condizioni di voler emigrare. È un desiderio che può realizzarsi attraverso un processo di soluzioni cooperative a problemi di coordinamento. Gran parte delle persone non ha il piacere di conoscere molti migranti, rifugiati o clandestini. Io ne conosco tantissimi e l’esperienza mi ha cambiato profondamente. Empatia e libertà sono principi gemelli, che messi assieme danno origine a quei percorsi che permettono agli esseri umani di sopravvivere al ginepraio di ostacoli. Allora, invece di fantasticare, date un aiuto, offrite qualcosa ai vostri vicini migranti. Imparate una lingua e forgiate legami forti. Fidatevi, e troverete una nuova famiglia. Il gioco a somma positiva delle frontiere aperte offre una rara dinamica in cui efficienza e etica si mescolano fino a creare una rete di persone e di pratiche che incorporano nel profondo lo spirito del mutuo soccorso. Allungate una mano, camminate al fianco di qualcuno, non soli. Siate amici e complici. Proteggete i migranti e i clandestini dalla nuova Gestapo della polizia di frontiera. Quando incontrate uno di quelli che impongono le frontiere armi in pugno, trattatelo da terrorista e in futuro, se abbiamo un futuro, sarà un bel ricordo.