All’American Enterprise Institute, Mark Perry (“Yes, America’s middle class has been disappearing… into higher income groups,” 17 dicembre) spiega la contrazione della classe media e la crescita della disuguaglianza economica citando un recente studio del Pew Institute, dal quale risulta che, dell’11% per cento di americani che non fanno più parte del ceto medio, il 7% è andato in alto e il 4% in basso.
Prima cosa, i movimenti tra strati diversi non legittima la stratificazione se la stessa struttura è illegittima. La meritocrazia è un mito legittimante creato apposta per evitare che le persone si interroghino sulla giustezza del sistema di potere che quei funzionari meritocratici servono. Come osserva Chris Dillow, economista inglese marxista non ortodosso (“Beyond social mobility,” Stumbling and Mumbling, 19 dicembre):
Immaginiamo che un dittatore faccia imprigionare il suo popolo, e che offra però un posto di secondino a chiunque passi un esame, con una buona sinecura per i migliori. Abbiamo la mobilità sociale: meritocrazia egalitaria e pari opportunità. Ma non abbiamo né giustizia, né libertà, né una società virtuosa. Per avere ciò bisognerebbe abbattere le carceri.”
Da notare, poi, che quelli che lo studio chiama “ceti alti” comprendono non solo i ceti redditieri super ricchi e quelli che vivono in megaville con salari da milioni di dollari, ma anche gran parte dello strato dirigenziale. Se questo strato è cresciuto dal 14% al 21% della popolazione in generale una ragione c’è. Come sostiene David Gordon in Fat and Mean, fu la decisione neoliberal degli anni settanta di imporre un tetto ai salari orari reali e di spostare una grossa quota del reddito verso l’alto, verso chi vive di reddito e verso i dirigenti temerari, a dare come risultato una crescita continua dell’autoritarismo interno nelle aziende e la necessità di assumere più controllori con il compito di monitorare la (comprensibilmente) sempre più indignata forza lavoro.
E nonostante gli aumenti di paga delle classi dirigenziali, gran parte di loro sono ancora dipendenti salariati il cui reddito dipende dall’approvazione dei loro superiori. Questo 14-21% della popolazione è grossomodo quello che Orwell, in 1984, chiama lo strato “intermedio” (rappresentato nel libro dal Partito Interno che controlla Winston e Julia). Ecco come nel romanzo Una Boccata d’Aria Orwell descrive l’equivalente reale nell’Inghilterra corporativa dei suoi tempi: “In ognuno di questi cubicoli c’è un povero bastardo che non è mai libero se non quando dorme profondamente…”
Queste persone non solo continuano a prendere il loro salario da dirigente con grande piacere degli oligarchi che stanno gerarchicamente più su, ma per arrivare lì hanno dovuto contrarre debiti che finiranno probabilmente per mangiare gran parte del loro aumento di stipendio per tanti anni (oltre a quel mutuo che non è altro che l’affitto della casa da pagare alle banche fino alla vecchiaia). E poi le lunghe ore di lavoro, l’ossequio, il servilismo obbligatorio, e l’eterna precarietà della loro posizione.
Tornando alla questione della legittimità, c’è da aggiungere che le funzioni esercitate da gran parte di questi manager sono illegittime e sarebbero inutili in una società senza una classe sfruttatrice. Sono, come dice l’antropologo anarchico David Graeber, “lavori di merda”. Esistono perché il governo americano, in combutta con il capitale corporativo, ha cartellizzato l’economia sottoponendola al controllo di gerarchie burocratiche molto oltre il punto in cui i rendimenti in efficienza decrescono, e poi perché la natura autoritaria di queste gerarchie e la natura redditiera dei suoi dirigenti crano un conflitto di interessi che richiede un controllo e una sorveglianza rafforzati.
Il compianto Joe Bageant descrisse appropriatamente la natura del lavoro svolto da queste persone: “L’impero necessità del… 20-25% circa della sua popolazione… per amministrare e perpetuare se stesso: avvocati, assicuratori, manager finanziari, insegnanti, manager dell’informazione, scienziati, burocrati, manager di ogni tipo e tanti altri professionisti e semiprofessionisti.”
Quando i lavoratori possiedono l’azienda e dirigono il loro stesso lavoro, come nel caso delle rinate imprese argentine, non solo ci si può fidare della loro superiore conoscenza del processo lavorativo, ma quei pochi costi di coordinamento che restano sono una piccola frazione dei costi amministrativi delle corporation americane. È un fatto che l’eliminazione di tutti quei salari manageriali abbia risolto il problema dei costi unitari con un colpo solo.
Il quintile superiore cresce di numero e reddito perché tutto il valore creato dai lavoratori veramente produttivi nei quintili inferiori viene risucchiato da chi sta in cima. Quando le classi in alto derubano tutti gli altri, servono molti guardiani per tenere il bottino al sicuro.
Che ci sia stato o meno un aumento del reddito reale per i quattro strati inferiori, la perdita di controllo sulla forza di lavoro e la precarietà crescente dei lavoratori produttivi rappresentano una condizione peggiore di quella dei quadri dirigenziali che appartengono al 21% superiore. Che si tratti di lavoratori produttivi o di quadri, lo stress è sempre correlato all’impotenza.
Non è la meritocrazia che serve. Serve giustizia.