Recensione di: David Beito, From Mutual Aid to the Welfare State: Fraternal Societies and Social Services, 1890-1967, University of North Carolina Press, 2000.
Per gran parte del diciannovesimo e ventesimo secolo milioni di americani furono membri di organizzazioni di mutuo soccorso note come società benefiche, o di solidarietà. Queste società, organizzate democraticamente, fornivano ai loro soci una serie di servizi sociali basandosi sul volontariato. Il libro From Mutual Aid to the Welfare State: Fraternal Societies and Social Services, 1890-1967, pubblicato nel 2000 da David Beito dell’Università dell’Alabama narra ascesa e declino di queste organizzazioni, fino alla loro sostituzione con il moderno stato sociale. Fornisce uno scorcio di un mondo in cui l’interazione volontaria di mutuo soccorso ricopriva il ruolo oggi ricoperto dallo stato sociale e dagli istituti caritatevoli organizzati dall’alto. In altre parole, un mondo in cui i normali lavoratori si prendevano cura di se stessi e degli altri senza cercare aiuti dall’alto.
Beito guida il lettore attraverso un periodo della storia americana in cui le società benefiche rappresentavano, ad eccezione forse delle chiese, la organizzazioni di volontariato più popolare. Queste organizzazioni offrivano ai soci assistenza in caso di malattia e infortunio, risarcimento delle giornate lavorative perse, assicurazione sulla vita e spese di sepoltura, e visite mediche per associati e famiglia. Inoltre misero su e gestirono ospedali e orfanotrofi. Tra le più note The Independent Order of Odd Fellows e il Loyal Order of Moose.
Beito fa presente che non si tratta di un’opera completa, in quanto tratta solo una piccola parte delle tante organizzazioni allora esistenti. Ciononostante, è un’eccellente introduzione all’argomento, qualcosa di cui i sostenitori del volontariato e del decentramento, e chi critica le funzioni sociali dello stato, dovrebbero tenere conto. Ma non per replicare l’operato di queste organizzazioni, bensì per trarre esempio, capire cosa può fare il volontariato ed evitare gli errori che condussero al suo declino. Beito dice chiaramente che questo declino fu in gran parte conseguenza dello stato, con regolamenti e restrizioni che limitarono enormemente la capacità di servire efficacemente i soci a cui si aggiunse l’espansione dello stato sociale, che spostò sui contribuenti l’onere di pagare molti di questi servizi. Ma Beito non accusa solo lo stato: contribuirono al declino anche il cambiamento dei valori, la competizione sociale e la natura del tempo libero.
Tra le le forme di organizzazione solidale più popolari Beito cita le società segrete, le organizzazioni che fornivano assistenza sanitaria e funebre, e le assicurazioni sulla vita. Tutte funzionavano come logge e spesso avevano componenti ritualistiche e sociali oltre a funzioni di mutuo soccorso. Beito dice che le tre forme erano scarsamente distinguibili tra loro, ma indica la massoneria come esempio più vicino alle società segrete citate. Sul lato opposto le “friendly societies” (società amiche), incentrate più sui lavoratori e sull’aspetto assicurativo. Beito cita il 1920, quando le organizzazioni gestirono nove miliardi di dollari in assicurazioni sulla vita.
Le società benefiche non solo fornivano aiuti materiali ma fungevano anche da luogo di interazione, coinvolgimento e svago della comunità. Erano spesso esclusive lungo linee etniche, razziali e di sesso. Come risultato le donne, i neri e membri delle comunità di immigrati avevano la possibilità non solo di godere dei benefici materiali che offriva l’iscrizione, ma anche di ascendere a ruoli di vertice o a posizioni d’influenza all’interno della comunità in generale, compresa la possibilità di gestire attività economiche di proprietà della società. Questo avveniva in un momento in cui razzismo e sessismo erano codificati nelle leggi e i bianchi dominavano il mondo economico e politico, cosa che rendeva le opportunità di ascesa delle donne e delle minoranza un fatto raro e di grande valore.
Un esempio fu Maggie Walker, dell’Ordine Indipendente di Saint Luke, che divenne la prima presidentessa di banca americana a conquistare la posizione per merito e non tramite agganci di famiglia. Le organizzazioni guidate da donne, come la Ladies of Macabees, tra i cui soci era Elizabeth Cady Stanton, si occupavano del suffragio universale e di cause femministe. Vedevano di buon occhio l’associazionismo libero ed erano influenzate da Herbert Spencer. Le associazioni di neri, come la United Order of True Reformers, avevano svariate attività e cercavano di liberare i loro soci dal controllo finanziario bianco. Erano influenzate dalle opere di Booker T. Washington e si opponevano alla segregazione razziale. Tra le iniziative, un boicottaggio dei trasporti pubblici che anticipò le tattiche del movimento per i diritti civili.
Essere soci dava dei benefici importanti, ma aveva un costo. Oltre a pagare le quote, i soci dovevano avere uno stile di vita in accordo con i valori dell’organizzazione. C’era l’obbligo di rispettare la legge, ma anche l’esaltazione della parsimonia, della sobrietà, del patriottismo, dell’ordine e della religiosità. Indubbiamente, le società descritte da Beito avevano molti punti in comune con il movimento anti-alcolici che alla fine riuscì ad imporre il proibizionismo in tutti gli Stati Uniti. Non di rado le associazioni rifiutavano di accogliere tra i soci persone che commerciavano alcolici, e l’ubriachezza poteva essere presa a pretesto per negare l’assistenza. Quest’ultima poteva essere negata anche per chi era in prigione, per le donne che abortivano o per chi aveva riportato ferite mentre compiva “atti immorali”. Beito spiega che questa mentalità puritana rifletteva i valori borghesi del tempo e aggiunge che anche college, sindacati e organizzazioni suffragiste seguivano politiche simili. Le parti del libro che parlano di questa mentalità, dunque, sembrano un elogio a A Renegade History of the United States di Thaddeus Russel, proprio perché documentano l’attività di quei conformisti contro cui i rinnegati di Russel combattono.
Oltre alle restrizioni morali, ce n’erano altre di natura attuariale che riguardavano le professioni rischiose e certi stili di vita. Spesso le società conducevano indagini approfondite per scoprire chi reclamava benefici in maniera truffaldina. In quei casi di vero bisogno, però, capitava spesso che si chiudesse un occhio per offrire un di più di assistenza. Beito nota anche come la natura reciproca dell’accordo eliminasse il pesante stigma sociale associato all’elemosina.
Il patriottismo, dice Beito, era un tratto comune delle associazioni, e dunque l’opposizione all’anarchismo era tutt’altro che raro. Purtroppo, l’autore dedica poco spazio ai rapporti tra mutuo soccorso, movimento operaio e anarchismo dell’epoca. Unica eccezione il Workmen’s Circle, tra i cui soci c’erano Emma Goldman e Alexander Berkman, dedito tanto alla solidarietà proletaria quanto al socialismo. L’associazione si vantava di essere la “Croce Rossa del Movimento Operaio”.
Una gran parte del libro è dedicata a Mooseheart, grossa struttura che ospitava e scolarizzava gli orfani di genitori iscritti al Loyal Order of Moose. L’orfanotrofio non aveva l’inquadramento e le punizioni corporali diffuse negli orfanotrofi dell’epoca e garantiva grande libertà ai suoi assistiti. Questi ultimi avevano molte attività non scolastiche, mantenevano i contatti con le famiglie e la comunità locale, e generalmente trovavano una sistemazione dopo il diploma. Questa era la politica tipica di ospedali e strutture mediche gestite dalle società benefiche in generale. Beito parla del ruolo di questi ospedali nella lotta contro la tubercolosi negli Stati Uniti e nell’assistenza ai pazienti neri rifiutati altrove. A parte alcune critiche, l’autore riconosce il fatto che residenti e soci erano trattati bene. Questa parte del libro dimostra come progetti di vasta portata possano nascere dal mutuo scambio volontario.
Oltre a gestire strutture mediche, le associazioni di mutuo soccorso fornivano assistenza a basso costo tramite il cosiddetto lodge practice (traducibile con “ambulatorio associato”, es). Questo consentiva l’assunzione di un medico che assistesse i soci dietro un compenso basato sul numero degli assistiti. Il socio pagava una quota minima, che andava al medico, il quale a sua volta garantiva l’assistenza in qualunque momento. I medici erano scelti secondo norme precise, e la bravura rivestiva particolare importanza dal momento che gli interessi economici dipendevano dalla salute e dalla longevità degli assistiti. Gli aspiranti soci davano grande importanza alle strutture con una buona reputazione. L’accordo era vantaggioso tanto per i lavoratori poveri quanto per i giovani medici in cerca di affermazione.
E danneggiava i medici già affermati guidando al ribasso il prezzo delle prestazioni mediche. Ovviamente, questo irritava l’establishment medico, che dichiarò guerra agli ambulatori associati. Gli ordini statali dei medici impedivano l’accesso ai medici che lavoravano per queste strutture e facevano pressione sugli ospedali affinché rifiutassero pazienti iscritti alle società benefiche. Cosa interessante, Beito paragona queste tattiche a quelle dei sindacati. Fa notare poi come gli ordini si rivolgessero allo stato per minare l’attività delle associazioni aumentandone i requisiti, limitando così l’offerta di personale medico e incrementando il costo delle cure a carico della popolazione.
Azzoppato seriamente questo sistema, furono emanate ulteriori leggi con lo scopo ultimo di danneggiare le società benefiche. Queste leggi regolamentarono le assicurazioni sulla vita e sottoposero le associazioni al controllo statale. E favorivano le assicurazioni commerciali a discapito del modello basato sull’aiuto reciproco. Sette stati emanarono una legge conosciuta come “The Force Bill”, che, con il pretesto di ostacolare la “concorrenza sleale”, imponeva quote sociali minime alle società di nuova costituzione. Altre leggi, a livello nazionale, imposero restrizioni a contributi, beni e valutazioni. Nel 1919 furono approvate leggi che vietavano alle società il pagamento di sussidi e il credito ai soci, imponevano l’obbligo di dimostrare l’aumento delle riserve, imponevano ai medici esami per ogni polizza, e fissavano le restrizioni ai contributi. Beito parla ampiamente del clima politico attorno alle leggi, fornendo molte buone informazioni a chi fosse interessato al lato oscuro della politica dell’epoca progressista. Nota poi come le associazioni non sempre avevano uno spirito libertario: capitava che le più vecchie vedessero con favore le leggi che limitavano la concorrenza da parte dei nuovi arrivati.
Sebbene i regolamenti restrittivi e l’assistenza sociale a spese dei contribuenti ebbero un ruolo centrale, Beito riconosce che anche altri fattori contribuirono al declino delle associazioni. Cambiamenti culturali, come la popolarità della filantropia opposta all’aiuto reciproco, resero obsolete le società di mutuo soccorso. Organizzazioni di servizi come Kiwanis e Rotary Club, incentrate su uomini d’affari di successo che facevano beneficienza, cominciarono a soddisfare quelle esigenze di interazione comunitaria che un tempo erano soddisfatte dalle società benefiche. Quando arrivarono, poi, televisione e radio riempirono quegli spazi di tempo libero un tempo occupati dalle associazioni. Anche la diminuzione graduale dell’immigrazione europea e l’ascesa dello stato sociale moderno contribuirono al declino. Per non parlare dell’eclisse di concetti come frugalità e moralità, fuori moda nel ventesimo. Nonostante tutto, però, Moose International e altre associazioni non solo sopravvissero, ma videro una seconda giovinezza nei quindici anni precedenti la pubblicazione del libro. Nel 1996, nota Beito, c’erano 10,7 milioni di polizze attive.
L’opera di Beito è un’eccellente introduzione al tema delle associazioni di mutuo soccorso negli Stati Uniti. Con le sue 320 pagine, comprese le note, si legge bene. Beito fa un esame dettagliato dei tanti aspetti, così che alcune parti potrebbero interessare più un lettore che un altro. Più in generale, fa capire come le persone possono aiutarsi e sostenersi a vicenda senza l’intervento dello stato. Purtroppo dimostra anche come l’intervento statale, sempre a favore di interessi particolari, può colpire pesantemente le persone che cercano di prendersi cura le une delle altre.