Jerry Taylor, del Niskanen Center, ha sganciato una bomba della verità sulla politica di Washington con un suo recente pezzo, scritto per Fox News, a proposito del declino di Rand Paul. Taylor nota come la presunta crescita del movimento libertario sulla scia della campagna elettorale di Ron Paul fosse in gran parte illusoria. I populisti alienati e i teorici del complotto che nel 2012 gonfiarono i numeri di Paul, oggi sono passati rapidamente dalla parte dell’antilibertario Donald Trump, lasciando Rand al freddo.
L’assenza di un movimento dalla base ampia, nonostante una serie di campagne e eventi di alto profilo, è una pillola amara per quei libertari che credono nella politica elettorale. Avere consiglieri libertari può servire ad innalzare il profilo di tematiche come l’ipercriminalizzazione, la libertà tecnologica e la pazzia della guerra alla droga. Ma chiunque creda in una conquista del partito repubblicano da parte dei libertari fraintende la natura fondamentalmente radicale delle idee libertarie e non capisce quanto questo radicalismo sia in conflitto con la percezione che gli americani hanno del ruolo dello stato.
I sostenitori di Trump stanno lì a dimostrare come milioni di elettori vedano lo stato come un martello da dare sulla testa di persone e valori opposti ai loro, e per inculcare il proprio credo sugli altri. Chi vuole educare l’elettorato alle idee libertarie non capisce che l’elettorato non ha alcun incentivo reale ad apprendere; alla maggioranza non interessa, e forse non interesserà mai, il rapporto tra l’uomo e lo stato finché lo stato continuerà ad offrire loro quella stabilità di cui hanno bisogno. Il successo di Ron Paul nel 2008 e 2012 può essere ascritto in gran parte alla crisi dei mutui; e una volta passata la fase acuta, anche il sostegno alle sue idee radicali è scemato.
Se i libertari restano una frangia ideologica è per una buona ragione: “Politica libertaria” è una contraddizione in termini. Il libertarismo non è un terzo partito, come i Know Nothing o i Whig, né è una serie di proposte per incrementare l’efficienza dello stato. È un sistema di valori a sé stante che rifiuta il potere politico nella sua essenza, anche se alcuni dei suoi sostenitori considerano il potere un male necessario.
I libertari possono essere in disaccordo quando si parla di abolizione opposta alla limitazione dello stato, ma queste differenze importano poco all’americano medio: entrambe le posizioni sono fuori dalla sua esperienza quotidiana. Anche il libertario più moderato decanta le virtù di un mondo senza proprietà intellettuale e con un’assistenza sociale privata. Praticamente tutti gli elettori contano sui servizi pubblici da cui dipendono, e, mentre lo stato li obbliga alla dipendenza, i libertari non sono stati in grado di offrire ipotetiche alternative private. Concettualmente, i libertari vivono in un mondo che la maggior parte delle persone considera bizzarro.
Il libertarismo si capisce meglio se si pensa che è l’ultima di una lunga serie di ideologie liberatorie radicali, basate sui principi del diritto naturale e dell’individualismo, entrambi principi che fanno da base intellettuale della ribellione fin dalla Rivoluzione Americana. Si tratta di una reazione all’espansione continua del potere statale negli Stati Uniti oltre che ai suoi frequenti abusi di potere. Per definizione, però, il radicalismo è smodato e non scende a compromessi riformativi. Invece di accostarsi alla “finestra di Overton” dell’opinione pubblica moderando i punti di vista più spinosi (come ha cercato di fare Rand Paul), i radicali devono cercare di spingere l’opinione pubblica verso il proprio punto di vista. Il fatto che Rand si sia allontanato dai principi libertari significa probabilmente che il suo potere di attrazione è debole anche per quel minuscolo elettorato libertario che suo padre ha creato. Una ricerca condotta da David Boaz mostra come il 70% degli elettori potenzialmente libertari nel 2012 abbia optato per Mitt Romney contro Gary Johnson, e questo dimostra come anche i libertari che credono nella via politica sono disposti a spuntare la propria lancia.
Se si nega la sua caratteristica radicale, il libertarismo degrada a debole conservatorismo millenaristico: fiscalmente conservatore, socialmente progressista e del tutto impotente, ovvero un minestrone di idee attualmente esistenti meglio rappresentate da altri partiti e altre ideologie. Se non c’è una tenace aderenza alle idee veramente radicali, i libertari finiscono sommersi da chi urla più forte per acchiappare il consenso di una base elettorale arrabbiata e armata di forconi. Il loro è uno scarso valore aggiunto, e forse finiranno per diventare una nota a piè di pagina nella storia del movimento conservatore.
Se non si capisce questo, non rimane che rassegnarsi a nuotare controcorrente nell’oceano della politica americana. Come nota Friedrich Hayek: “Chi si è preoccupato unicamente di ciò che sembra percorribile nell’attuale stato delle opinioni si è reso conto che anche questa via diventa presto politicamente impossibile, e questo perché le opinioni pubbliche cambiano senza che loro abbiano fatto alcunché per guidarle.”
Al contrario, i libertari potrebbero dare di più come attivisti e innovatori incentrati su un solo problema per volta. Mentre la classe politica americana non riesce a restringere il potere statale, individualisti come Eric Voorhees, Cody Wilson, Peter Thiel e chiunque stia dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto usano la tecnologia per aprire nuovi percorsi. E soltanto con il tempo sapremo dove condurranno esattamente. Il declino di Rand mette in evidenza come l’etica libertaria significhi rottura e rivoluzione, non moderazione e compromesso. È improbabile, dunque, che assuma dimensioni preponderanti nel panorama politico americano.