Di Kevin Carson. Articolo originale: AI and the Real Hard Pill to Swallow, del 14 agosto 2024. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Il sedicente “tecno-ottimista” Dylan Allman, in un articolo su Foundation for Economic Education (“The Ego vs. the Machine,” 24 febbraio), liquida gli scettici dell’intelligenza artificiale (IA) come persone dall’ego ferito. “Più o meno consciamente, si chiedono: se una macchina può fare quello che faccio io, ma meglio, più velocemente e con più efficienza, allora a cosa servo?”
Queste persone sono un ostacolo al progresso, che per il visionario Allman è così grandioso da apparire quasi messianico.
E qui arriva la pillola amara: Le vostre insicurezze non devono frenare l’innovazione… Quando subordinate gli avanzamenti teconologici e creativi al mantenimento del vostro ego, state praticando una forma di narcisismo collettivo che non serve a nessuno.
Molti vanno in una sorta di crisi esistenziale quando capiscono che le macchine o le nuove tecnologie possono fare il loro lavoro, e magari farlo meglio. Ma invece di adattarsi o di migliorare, molti scelgono di combattere il progresso, usando la politica o l’allarme sociale per soffocare l’innovazione…
Quando si reagisce difensivamente al progresso tecnologico che minaccia le proprie capacità, si agisce seguendo un falso senso egoistico contro il progresso della società in generale che porta benefici a tutti quanti… Chi non riesce a vincere sul mercato, non è una vittima. È qualcuno che merita di perdere.
Siamo sinceri: la qualità dei testi che l’IA avanzata può produrre è spesso superiore a quella della sua controparte umana, e migliora costantemente. Può scrivere in modo più convincente, può comporre partiture musicali più complesse, generare immagini o video avvincenti e analizzare punti dati che l’uomo non vede. E lo fa più rapidamente, più accuratamente e in modo più innovativo.
…L’IA non minaccia i nostri obiettivi o la nostra creatività ma il nostro ego. Tutto sommato, è un piccolo prezzo da pagare per un mondo arricchito da un lavoro di qualità superiore, più innovativo, più efficiente e più creativo.
Forse Allman vive in un’altra realtà, dove l’applicazione dell’IA ha preso un corso diverso rispetto al mondo in cui viviamo noi. A leggere le sue elucubrazioni sul futuro prometeico dell’IA viene da pensare alla storia del re nudo. Oppure Allman pensa che dove c’è fumo dev’esserci anche arrosto.
Allman ignora i problemi pratici che comporta l’applicazione reale delle nuove tecnologie.
Primo, gli effetti di una tecnologia dipendono dalla struttura istituzionale entro cui la tecnologia viene messa in pratica.
In particolare, dipendono da chi ne trae i benefici. A seconda di come è impostata la proprietà, le nuove tecnologie possono creare abbondanza (ridurre il carico lavorativo senza ridurre la paga, o ridurre il prezzo al consumatore), oppure l’accresciuta produttività può essere fatta propria da qualche azienda e sfruttata come fonte di rendita tramite la proprietà intellettuale o altri diritti di proprietà artificiali.
Peter Frase fa un confronto tra il comunismo post-scarsità di Star Trek, risultato dell’applicazione di replicatori e altre tecnologie dell’abbondanza, e un mondo alternativo “anti-Star Trek”, dove la Federazione impone la scarsità artificiale a beneficio di una classe parassitaria di redditieri.
Anti-Star Trek parte dalle stesse premesse tecnologiche: replicatori, energia gratis e un’economia post-scarsità. Ma le relazioni sociali sono completamente diverse. Anti-Star Trek è il tentativo di rispondere a questa domanda:
Data l’abbondanza materiale resa possibile dal replicatore, come è possibile preservare un sistema basato sul denaro, il profitto e il potere di classe? …
Come il capitalismo industriale, l’economia di Anti-Star Trek poggia su un particolare sistema di relazioni di proprietà imposto dallo stato. Solo che su Anti-Star Trek la proprietà non riguarda beni fisici ma intellettuali, sotto forma di brevetti e copyright…
Questo il genere di proprietà intellettuale che fa da base economica di Anti-Star Trek: la capacità di dire agli altri come possono usare copie di un’idea che tu “possiedi”. Chi vuole accedere ad un replicatore deve comprarne uno da un’impresa, la quale vende la licenza d’uso di un replicatore (non si può produrre un replicatore con un altro replicatore perché violerebbe i termini della licenza). In più, ogni volta che si produce qualcosa col replicatore bisogna pagare una tassa a chi ne possiede i diritti. Se l’anti-capitano Jaen-Luc Picard di Anti-Star-Trek prende un tè caldo earl grey, deve pagare all’azienda che ha il copyright la tassa relativa ad un “tè caldo earl grey”.
Va da sé che l’adozione dell’IA segue l’esempio di Anti-Star Trek: proprietà aziendale integrata nel ciclo produttivo in modo da servire principalmente gli interessi delle gerarchie manageriali e della proprietà assenteista e non quelli di lavoratori e consumatori.
È non è affatto detto che l’applicazione pratica dell’IA, o qualunque altra cosa vogliano farne i vertici aziendali, darà come risultato il progresso.
Forse, dico forse, la gente non è contro l’IA perché sono trogloditi. Forse è contro perché l’IA fa cagate tutte le volte che si cerca di sostituirla agli esseri umani, ma viene usata ugualmente da sociopatici amministratori aziendali che pensano che valga la pena produrre cagate pur di ridurre il personale e intascare i soldi risparmiati.
Siamo molto oltre il punto in cui, come dice Marx, le relazioni sociali di produzione diventano incompatibili con ulteriori sviluppi delle forze produttive.
Già sessant’anni fa, quando ancora l’economia FIRE (finanza, assicurazioni, immobiliare, NdT) e la rendita non avevano preso il posto del capitalismo industriale, le strutture oligopolistiche di mercato permettevano alle imprese di contenere il più possibile la cosiddetta “distruzione creativa” riducendo l’innovazione per adattarla ai propri bisogni istituzionali. Paul Goodman così parla dell’industria dell’auto: “Il mercato è dominato da tre o quattro produttori che competono accordandosi sui prezzi e limitando i miglioramenti.”
Con il passaggio ad un capitalismo finanziario e di rendita a partire dagli anni Settanta, il rallentamento del progresso tecnologico fu sostituito dalla distruzione assoluta di valore.
Un primo segnale di questa corsa al peggio fu quando quasi tutte le grandi imprese a partire dagli anni Novanta passarono ai risponditori automatici, incubo di chi contatta un’azienda per una qualsiasi comunicazione. La questione della “democrazia del dollaro (la possibilità dei consumatori di influenzare il mercato con la spesa, NdT), tanto cara alla destra libertaria” in casi come questo diventa ridicola: quando tutti i principali attori di un settore adottano qualcosa che i consumatori non vogliono non c’è voto che valga.
La tendenza del capitalismo del 21º secolo è l’acquisto da parte di capitali privati di aziende produttive, che poi vengono smembrate e private di capacità produttiva. Una dopo l’altra, aziende come Sears e Toys R Us vengono caricate di debito di acquisizione, i loro beni venduti per riempire le tasche di amministratori e azionisti con profitti a breve termine, e ciò che rimane viene gettato via. Aziende immobiliari hanno acquistato condomini per miliardi di dollari, rimandandone la manutenzione e esigendo affitti esosi. Capitali privati hanno acquistato giornali per licenziarne in massa i giornalisti e trasformarli in giornali di informazione spettacolo.
Finora, l’esempio da manuale di corsa verso il basso nel mondo dell’informazione digitale è il cosiddetto “pivot to video”, osannato dai suoi apostoli di allora così come oggi Allman osanna l’IA.
Da allora quel club esclusivo che sono le aziende dei social, basato sulla proprietà intellettuale, ha degradato funzionalità e usabilità delle piattaforme semplicemente per spremere un po’ di profitto nel breve termine. Abbiamo visto in tempo reale la corsa al peggio di social come Tumblr, Facebook e Twitter, mentre strumenti un tempo utili come le funzioni di ricerca di Google e Amazon sono diventate una discarica.
L’attuale corsa all’IA, di cui Allman è spensierato entusiasta, promette di diventare la replica farsesca del pivot to video, solo più grande. Secondo Allman, la merda fatta al computer di Sports Illustrated è “più convincente” o “di qualità superiore” di ciò che è fatto dall’uomo. E gli obbrobri fatti dall’IA, con otto dita e parti del corpo fuse assieme, farebbero invidia a Rembrandt. Io invece penso che la verità somigli più a ciò che dicono Amy Castor e David Gerard:
I generatori di testo basati sull’IA di OpenAI hanno sollevato un polverone, ma il campo di applicazione di questi modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) è soprattutto la produzione di contenuti per lo spamming.
L’IA sembra particolarmente adatta a creare pagine web piene di pubblicità. Google classifica come pubblicità le pagine di destinazione basate sull’LLM ma pare che non riesca o non voglia segnalarle o penalizzarle.
Caso tipico di applicazione dell’IA sono i libri spam su Amazon Kindle. La maggior parte dei titoli è offerta “gratis” con Kindle Unlimited: si guadagna con le pagine visualizzate, non con le vendite.
Caso tipico sono i siti di informazioni pubblicitarie.
Caso tipico è la spam telefonica, dove l’IA clona la voce umana.
Caso tipico sono le recensioni spam di Amazon e i tweet prodotti in massa.
Caso tipico sono i video di spam che pubblicizzano malware.
Caso tipico sono i siti di vendita spam su Etsy.
Caso tipico sono le storie spam di fantascienza inviate agli editori. Clarkesworld ha dovuto chiudere l’accettazione di dattiloscritti perché sommersa da una valanga di immondezza. Siamo all’apocalissi robotica in atto.
Prendiamo una di quelle cose che fanno impazzire Allman: la qualità dei testi:
…si sta diffondendo un nuovo genere di sottoimpiego, ovviamente sottopagato: il correttore dei testi scritti dalle macchine…
Cowart dice che si fa prima a scrivere un testo da zero piuttosto che rendere umano quello fatto dall’IA, ma ti pagano meno…
“È un lavoro noioso, odioso, e ti pagano una miseria,” dice.
Nonostante l’euforia di Allman, non credo che l’IA offuscherà Hemingway a breve termine.
Altrettanto fuori luogo è l’euforia attorno all’aumento della produttività. Ad un sondaggio, il 77% dei lavoratori risponde: “L’IA ha abbassato la produttività e aumentato il carico di lavoro, almeno per certi versi.”
Oggi tutti corrono alla novità (LinkedIn offre “scrivi con l’IA”), e l’IA è diventata stupidamente di moda come il cripto qualche anno fa.
Nel 2017 tutti parlavano di “blockchain”: perché il prezzo di bitcoin saliva. Aziende in crisi aggiungevano “blockchain” al nome o al loro obiettivo con la speranza di pompare il valore delle azioni. Long Island Iced Tea diventò Long Blockchain e le azioni salirono del 394%. Le azioni dell’azienda biotecnologica Bioptix raddoppiarono di valore quando cambiò il nome in Riot Blockchain e si dedicò all’estrazione di bitcoin.
Ma a parte l’odioso bluecheck bitcoinbros su Twitter, tutti sanno com’è andata a finire.
Questa corsa all’IA è probabilmente una bolla né più né meno come il pivot to video e la mania delle criptovalute; sul lungo termine è possibile che i danni siano comparabili a quelli fatti dal pivot to video al giornalismo online.
Commentando la recente figuraccia della chatbot IA di New York che invitava le aziende a violare la legge, Sean T. Collins ha scritto su Bluesky: “L’IA sembra una vera e propria mania, i manager vivono sulla luna. È come buttare miliardi nel tentativo di sostituire lavoro e conoscenza con un enorme statua di bronzo di Dagon.”
Il problema è esasperato dalla profonda stupidità dei manager. L’IA è solo l’ultima scintillante distrazione. Come dice Cory Doctorow, i manager sono “un bersaglio facile per gli imbonitori della IA” perché sono avidi:
I manager sono come marxisti a Bizarro World. Come i marxisti, i manager credono che al mondo valga il principio secondo cui ogni dollaro che va al salario è un dollaro in meno per gli amministratori, i dividendi e il riacquisto delle azioni. È per questo che hanno tutta quella fregola di licenziare e sostituire con software. Il software costa meno, e non chiede aumenti di stipendio.
Non sono le ragioni degli scettici dell’IA che devono essere analizzate. Sono gli imbonitori dell’IA come Allman che hanno bisogno di credere che c’è un John Galt che fa girare il mondo, che credono che tutti gli scettici sono solo mediocrità invidiose, e che sono facile preda del primo tecnoimbroglione che arriva.
La vera pillola amara è che sotto il capitalismo monopolistico spesso si guadagna più a peggiorare le cose che a migliorarle; sempre che un manager sia abbastanza intelligente da capire la differenza.
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