Quello Strano Concetto di Leggerezza

Di Gary Chartier. Originale pubblicato il 15 gennaio 2016 con il titolo A Strange Understanding of Small. Traduzione di Enrico Sanna.

La commentatrice conservatrice Laura Ingraham ha uno strano concetto di governo leggero. E purtroppo non è l’unica.

Quando Nikki Haley, rispondendo al recente stato dell’unione di Barack Obama, ha espresso preoccupazione riguardo la crescita della xenofobia e la paura dell’immigrazione, la Ingraham si è offesa. Ha twittato: “Peccato che @NikkiHaley ha perso occasione a stare con quelli ke lavorano ke vogliono rispetto nelle frontiere, prima lavoratori americani, governo leggero.”

Non è difficile decifrare il messaggio della Ingraham: vuole che il governo eserciti un controllo stretto delle frontiere. Vuole che il governo intervenga sull’economia per impedire che i lavoratori stranieri facciano concorrenza ai lavoratori che hanno un passaporto e un permesso di soggiorno americano. E pensa che a farlo debba essere un governo con pochi compiti, leggero.

Non necessariamente i primi due obiettivi contraddicono l’ultimo. Forse la Ingraham pensa che l’azione del governo debba essere più leggera, e che quindi debba avere meno fondi, in gran parte degli ambiti ma non sul controllo dell’immigrazione. Ma c’è una certa contraddizione tra volere l’alleggerimento del governo e realizzare quel genere di programma auspicato dalla Ingraham.

La cosiddetta “sicurezza delle frontiere” comporta necessariamente una forte militarizzazione dei confini, e il rischio che la violenza cresca. Ma comporta anche un’intrusione sempre più profonda nella vita delle persone, e grossi disagi per chi viaggia, perché chi attraversa il confine è soggetto a controlli molto rigorosi e ogni suo spostamento è accuratamente registrato. E ovviamente tutto ciò costa molto. E a pagare sono gli americani con le loro tasse. Insomma, sicurezza delle frontiere significa governo pesante.

I programmi che mirano ad impedire che persone senza un permesso governativo possano lavorare negli Stati Uniti portano a controlli invasivi sul posto di lavoro, schedature che minacciano la riservatezza, intromissioni nella libera contrattazione tra lavoratore e datore, irruzioni sul posto di lavoro e fermo o detenzione di quei lavoratori che non hanno le carte giuste, oltre al rafforzamento del principio secondo cui lo stato è l’autorità ultima che stabilisce chi ha il diritto di lavorare e chi no. E, ancora una volta, si tratta di programmi finanziati con le tasse, il che significa che sono gli americani a pagarli. Dire “prima lavoratori americani”, come fa la Ingraham, significa volere un governo pesante.

Anche il candidato repubblicano alla presidenza Ted Cruz vorrebbe proteggere i lavoratori alla maniera della Ingraham. E prende in giro chi vuole allentare i controlli sull’immigrazione. E aggiunge che anche avvocati, banchieri e giornalisti sosterrebbero i controlli se il loro lavoro fosse minacciato dagli immigrati. “Allora si lamenterebbero delle sciagure economiche che piovono sul nostro paese,” dice.

Usare la forza per impedire alle persone di oltrepassare dei confini arbitrari impone enormi costi umani senza una ragione valida. Interferisce con le relazioni spontanee dei migranti con chi vorrebbe offrire loro un lavoro o un alloggio. E già così è un grosso problema. Ma il fatto è che questi controlli pongono altri problemi oltre ai costi imposti ai migranti e a chi vorrebbe avere rapporti con loro.

I detrattori dell’immigrazione agiscono come se l’economia fosse un gioco a somma zero, per cui gli immigrati danneggiano gli altri lavoratori. Ignorano i vantaggi per i consumatori e, più in generale, per gran parte dei lavoratori. Gli immigrati contribuiscono a far crescere l’economia domestica e mondiale, anche perché sono più produttivi in quegli ambiti economici più tecnologicamente avanzati degli Stati Uniti. Contribuiscono coerentemente e prevedibilmente alla produzione di beni e servizi utili. Le loro rimesse, una sorta di donazione monetaria che mandano al loro paese di provenienza, aiutano ad alleviare la povertà in quei luoghi. Gli economisti hanno dimostrato più volte come la loro presenza significhi tutta una serie di vantaggi economici per le popolazioni ospitanti. L’immigrazione è un bene, non un problema.

Rispetto per i migranti significa lasciare che prendano liberamente accordi sul lavoro e sull’alloggio con chi vuole contrattare con loro. Se uno capisce il funzionamento dell’economia, capisce anche che gli immigrati contribuiscono al tutto così che ci sono vantaggi per tanti e non solo per loro. Oltre a ciò, le migrazioni sono d’importanza vitale per sfuggire ad una vita fatta di povertà. Basterebbero queste cose a spingere ad aprire le frontiere.

Ma anche chi non si lascia convincere da queste considerazioni dovrebbe capire che i controlli sull’immigrazione, del tipo auspicato dalla Ingraham, da Cruz e da altri, comportano uno stato ancora più forte e intrusivo. Se siete contro lo stato pesante perché costa ed è invasivo, avete ogni ragione per volere la libertà di migrare.


Articolo citato in:

Gary Chartier, A strange understanding of small, Augusta Free Press, 25 gennaio 2016

Gary Chartier, A Strange Understanding of Small, News LI, 21 gennaio 2016

Gary Chartier, A Strange Understanding of Small, The Western News, 22 gennaio 2016

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