L’attacco deplorevole contro il giornale satirico Charlie Hebdo, in cui dei terroristi hanno ucciso dodici persone e ferito altre undici, ha provocato diverse reazioni tra il pubblico, i media più sensibili e i capi di stato che pensano di trarne profitto politico. Nel panico generale, l’islamofobia è riemersa (per via delle ragioni religiose dell’attacco) e Charlie Hebdo è stato innalzato allo status di icona – opposto all’iconoclastia celebrata dai giornali – con la campagna #JeSuisCharlie.
La tragedia umana, però, ha diverse facce se si tiene conto di come i governi occidentali, che già hanno messo in moto la macchina propagandistica per fomentare lo scontro di civiltà, stanno sfruttando la faccenda per fini politici. Il presidente francese François Hollande ha dichiarato l’attacco un atto di “barbarie eccezionale” contro “un giornale… in altre parole, un organo della libera espressione.” Secondo Hollande, è stato un “atto diretto contro giornalisti che hanno sempre cercato di dimostrare che in Francia è possibile difendere le proprie idee.”
Barack Obama non ha dimenticato di mettere in evidenza il fatto evidente che i terroristi, in contrasto netto con lo stato rappresentato da lui, “temono la libertà di espressione e la libertà di stampa.” Secondo lui, i terroristi non riusciranno comunque a mettere a tacere le idee che uniscono francesi e americani: “una fede universale nella libertà di espressione.”
Il primo ministro inglese David Cameron ha detto con forza che la Gran Bretagna è “unita al popolo francese” nell’opposizione al terrorismo e nella difesa della libera espressione. Per il cancelliere tedesco Angela Merkel, l’assalto armato è stato anche un attacco contro la “libertà di stampa”. Il presidente brasiliano Dilma Rousseff, tanto per non essere da meno, ha definito l’assalto armato un “inaccettabile attacco contro uno dei valori fondamentali delle società democratiche: la libertà di stampa”.
Nonostante la barbarie e la violenza dell’attacco contro Charlie Hebdo, non sorprende vedere i governi occidentali in estasi davanti ad un evento che si presta a rafforzare la tesi di una intrinseca superiorità occidentale sui relativamente arretrati musulmani. Forse è quello che aspettavano da tempo, qualcosa che fa sembrare le loro parole “loro odiano la nostra libertà” meno puerili.
Ma nessuno dei paesi collettivamente indignati è un illustre esempio di libertà di parola o di stampa. Lo stesso Charlie Hebdo adottò questo nome negli anni settanta per aggirare un divieto imposto al giornale dal governo francese. La Francia oggi occupa il non invidiabile 39º posto nell’Indice Mondiale della Libertà di Stampa stilato da Giornalisti Senza Frontiere, risultato della scarsa protezione di cui godono le fonti giornalistiche e dei provvedimenti presi dal governo francese per censurare alcune registrazioni su casi di corruzione. Inoltre, gli attacchi ripetuti dello stato francese contro internet vanno nella direzione di un potere assoluto affidato ai burocrati.
Gli Stati Uniti, da sempre sostenitori della libertà occidentale, apparentemente non hanno problemi a sopprimere l’informazione, registrare le conversazioni telefoniche delle redazioni senza mandato, e arrestare informatori e giornalisti. Per non parlare delle leggi draconiane e francamente ridicole sulla “proprietà intellettuale”, usate per mettere a tacere il dissenso e mantenere lo status quo corporativo.
E poi, pensate che le nuove leggi antipornografia britanniche avrebbero permesso la pubblicazione di alcune delle copertine di Charlie Hebdo? E pensate ai politici tedeschi, che a stento trattengono la gioia per la possibilità offerta di censurare internet. E se i fumetti satirici di Charlie Hebdo appaiono inoffensivi, cosa dire delle massicce modifiche e mutilazioni apportate ai videogame per adattarli alla sensibilità dei burocrati tedeschi?
In conclusione, è vero che i terroristi odiano la libertà di parola. Ma in questo non sono diversi dai paesi occidentali. È solo che impiegano metodi diversi.