Di recente, il dipartimento penitenziario della Florida ha licenziato 32 secondini, misura presa dopo anni di presunte corruzioni all’interno del sistema carcerario, corruzioni alle quali è legata la morte di almeno quattro carcerati. I rappresentanti sindacali hanno definito il licenziamento di massa il “massacro del venerdì sera”. Un massacro che io approvo.
Scavando tra i documenti della prigione, alcuni giornalisti hanno trovato diversi casi di abusi e di cosiddetti “usi impropri della forza”.
In visita all’Istituto Correzionale Franklin, gli ispettori del sistema penitenziario sono venuti a conoscenza di un incidente avvenuto tre anni prima. L’incidente aveva per protagonista un carcerato ventisettenne, Randall Jordan-Aparo, che chiedeva all’agente Rollin Suttle Austin di essere ricoverato in ospedale per via di un disturbo del sangue. L’agente diede l’ordine di “gasarlo” (pestarlo a sangue, es). Jordan-Aparo morì quella stessa notte.
Gli ispettori giustamente hanno definito il comportamento delle guardie “sadico e vendicativo”. Ma, dicono, quando i risultati degli accertamenti sono stati portati davanti all’ispettore generale del dipartimento penitenziario della Florida Jeffrey Beasley, quest’ultimo ha risposto: “vi faccio fottere” se non ve ne andate. Nonostante il dipartimento federale della giustizia continui con le indagini, gli agenti coinvolti restano in servizio.
Questo mi fa sentire molto meglio…
Un altro incidente vide coinvolto un carcerato con disturbi mentali, Darren Rainey; dopo aver defecato nella cella fu rinchiuso dagli agenti nel box doccia, “bombardato con acqua bollente,” insultato e lasciato a morire. Testimoni dichiarano di averlo trovato nel piatto doccia con la pelle a brandelli.
Questi incidenti di male puro sono considerati semplici storie da chi si sforza di giustificare lo stato prigione. Quanti altri esempi di abusi odiosi occorrono per capire che il problema è strutturale? Quanto altro sangue deve finire sulle mani dei carcerieri perché siano considerati, correttamente, nemici e non protettori di una società pacifica?
Se da un lato le vittime sono semplici nomi su un pezzo di carta per i vari funzionari di stato che fingono di interessarsi ai loro casi, dall’altro erano persone vere, in carne ed ossa, che hanno sofferto le pene della tortura per mano dello stato prigione. Randall Jordan-Aparo e Darren Rainey non sono semplici storie. Sono esempi di un problema istituzionale molto più grande.
Ecco perché i licenziamenti non risolveranno nulla. Gli abusi dello stato prigione, nella loro tristezza, sono una conseguenza prevedibile del fatto che la “giustizia” è affidata al monopolio dello stato. Lo stato prigione è un sistema oppressivo che rende normali gli abusi di potere e gli atti di terrore lasciando i carcerati alla mercé di guardie prive di responsabilità.
La mancanza di responsabilità, come nel caso dell’agente Austin, è un fatto normale. La logica interna del sistema carcerario monopolistico semplicemente non incentiva a tenere a bada le guardie carcerarie. Solo quando qualche giornalista esterno scava nei rapporti, il che accade raramente, lo stato è costretto ad agire “responsabilmente”. E anche allora la risposta è spesso più uno spettacolo fatto per placare il pubblico che un cambiamento reale. Dopotutto, un vero cambiamento comporterebbe l’estinzione del potere statale: l’ultima cosa che un funzionario di stato vorrebbe permettere.
Ci sono voluti tre anni perché la morte di Randall Jordan-Aparo venisse alla luce, e tutto quello che abbiamo è una “indagine”, il sonnifero preferito dallo stato. Un’indagine sembra una ricerca della responsabilità, ma in realtà non lo è affatto. Una vera e propria responsabilità si potrebbe avere solo con la dispersione del potere, ovvero con l’abolizione dell’intero sistema.
Lo stato reclama il monopolio della giustizia, ma non è così. La verità è che lo stato elimina ogni possibilità di giustizia.