Il ventiquattro dicembre di novantanove anni fa ci fu la cosiddetta Tregua di Natale del 1914, una tregua spontanea invocata dai soldati che si trovavano sul fronte occidentale francese e che in alcuni punti continuò anche dopo il giorno di Natale.
I soldati francesi, britannici e tedeschi, attratti dal suono dei canti di Natale che venivano dalle trincee nemiche, cominciarono timidamente a smettere di spararsi tra loro. Dalle trincee tedesche fu lanciato uno stivale, che poi risultò pieno di dolci e salumi. Man mano che acquistarono fiducia, i soldati cominciarono ad avventurarsi nella terra di nessuno tra le trincee, fino ad entrare nelle trincee stesse sul lato opposto per scambiare piccoli regali ricevuti da casa come caffè, sigarette, alcolici e giornali. Celebrarono il Natale giocando a calcio nella terra di nessuno. Soldati di entrambe le parti condivisero le loro razioni, cantarono assieme canti di Natale e posarono per le fotografie di gruppo.
Già prima di Natale le forze alleate e le potenze centrali avevano invocato alcune tregue per seppellire i morti, ma solo con l’approvazione dei rispettivi comandi supremi. Questa tregua di Natale, invece, non era stata autorizzata da nessuna delle parti, una violazione della disciplina a tutti gli effetti (fraternizzare con il nemico significava la corte marziale, tanto per intenderci). Ovviamente i capi delle forze tedesche e alleate erano profondamente sconvolti all’idea di ciò che questo fatto implicava; più sconvolti di quando, dopo l’armistizio del 1918, una unità francese in attesa impaziente della smobilitazione organizzò un soviet. Rimuginarono alla ricerca di un sistema per costringere gli uomini, con le minacce o con l’imbroglio, a tornare nelle trincee e uccidersi l’uno con l’altro.
Ma i soldati non ne volevano sapere. Il 26 dicembre, all’ordine di riprendere il fuoco, risposero sparando negligentemente in aria invece che in direzione del nemico. Tutto finì quando i comandi supremi mandarono al fronte truppe fresche che non avevano conosciuto la tregua. A Natale del 1915 e degli anni seguenti fu ordinato un fuoco di sbarramento continuo. Quando un ufficiale appena accennava ad una tregua veniva trattato in maniera esemplare. Un capitano britannico che autorizzò una tregua per seppellire i morti, seguita da un’ora di fraternizzazione, fu deferito alla corte marziale.
I governi e i comandi militari di Gran Bretagna, Francia e Germania erano giustamente spaventati dagli sviluppi. Era facilissimo per la propaganda ufficiale demonizzare il nemico agli occhi della popolazione civile a casa, come dimostrano le storie diffuse dalla stampa britannica sui soldati tedeschi che uccidevano i bambini belgi a baionettate. Ma i soldati che entravano in contatto con il “nemico” al fronte capivano subito che si trattava di persone normali come loro, con un lavoro e una famiglia a casa, persone che erano state abbastanza stupide da credere alle bugie raccontate dai politici.
Oggi i governanti hanno molte più ragioni per essere spaventati. Da quando si è diffuso internet e la connessione è praticamente diventata ubiqua in gran parte del mondo, ed i social-media hanno cominciato la loro rapida diffusione, è cresciuto esponenzialmente il numero di americani che comunica, da persona a persona, con cittadini delle nazioni “nemiche” contro cui gli Stati Uniti fanno le guerre. Non solo abbiamo accesso a canali d’informazione come Al Jazeera, che mostra i cadaveri carbonizzati e smembrati dagli attacchi americani, ma con il cellulare chiunque può caricare immagini o video sui social-media.
Novantanove anni fa i soldati dovettero camminare fino alle trincee opposte per capire che le truppe “nemiche” erano esattamente come loro, e che i loro veri nemici li avevano a casa, a Londra, Parigi, Berlino. Oggi sempre più civili lo capiscono prima ancora di sparare un singolo colpo.