Di Alex Aragona. Originale pubblicato il 28 settembre 2021 con il titolo Review: Business as a System of Power. Tradotto da Enrico Sanna.
Business as a System of Power (Il business come sistema di potere, ndt), del 1943, è non solo un’importante saggio di storia e economia comparata, ma anche un’indagine sulla filosofia economica del potere aziendale e sui principi che da sempre lo governano. In questo saggio illuminante, Robert A. Brady spiega come le aziende di tutti i paesi industrializzati abbiano cominciato e poi continuato ad operare criticamente al fine di rafforzare il proprio potere e la propria influenza in campo sociale, economico e politico. Tutto ciò ha permesso al mondo degli affari non solo di assicurare la propria posizione di mercato, ma anche di influire sulla guida e il controllo dell’economia, il tutto al riparo delle forze di mercato. Chiunque si consideri un sostenitore del mercato, avversario di quel genere di potere e privilegio che informa profondamente la nostra realtà, dovrebbe possedere questo libro. Un libro che spiega come le aziende, in maniera subdola e oscura, riescano a cambiare la realtà che le circonda.
Le prime due parti rappresentano un tour mondiale tra i protagonisti dell’industrializzazione dell’epoca in paesi come la Germania, l’Italia, il Giappone, la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Brady analizza e poi descrive il potere e l’influenza che i grandi interessi economici mettevano in atto e mantenevano, e come lo facevano grazie alle loro dimensioni, le associazioni di categoria e i legami col potere politico. Ogni capitolo è un ritratto fedele del sistema di allora, ma riflette perfettamente anche la realtà attuale. Molte delle sue storie vanno a cercare nel secolo precedente quel contesto che diede vita alle industrie di questo o quel paese, illustrano il modo di operare delle singole attività, come si ingigantirono e con quali strutture di potere le comunità d’affari unirono le forze.
Brady spiega come gli interessi economici chiave e chi li rappresentava seguissero schemi simili, nonostante le diverse circostanze economiche, sociali e politiche dei vari paesi. Coltivavano relazioni e alleanze con altri settori industriali e con lo stato per poi raccogliere i frutti. In questo modo crescevano e consolidavano la propria influenza sui mercati, la società e i paradigmi politici esistenti.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, in molti casi l’azione non fu casuale, né avvenne gradualmente o in modo scoordinato. Gli ordini emergenti furono piuttosto il risultato di un’ideologia conscia propria delle comunità d’affari, un’ideologia che andava oltre il semplice desiderio di vendere di più, e che si basava sulla volontà di assicurarsi quella leadership economica, sociale, politica e di controllo che immaginavano gli fosse dovuta. Le comunità d’affari erano spesso impegnate a istituire legami e poteri entro la propria classe, così da potersi presentare al pubblico e allo stato in qualità di interessi chiave, operatori competenti che possono, e devono, unirsi allo stato per organizzare, pianificare e gestire l’industria. Solo una parte era opera di singoli interessi o di grossi conglomerati che esercitavano la propria influenza, mentre il grosso avveniva tramite unioni aziendali e associazioni che appartenevano a unioni più grandi e così via: in molti casi si arrivava a strutture organizzative chiaramente definite e rappresentative dei propri interessi, che siglavano patti con lo stato o facevano propaganda tra la popolazione.
La terza parte contiene un insieme di capitoli che confrontano, contrastano e analizzano più a fondo gli esempi storici citati, ricollegandoli alle precedenti ricerche di Brady. Ed è qui che compare il tema che accomuna tutte le vicende: ovunque si trovino, gli interessi economici tendono sempre a comportarsi come sistemi di potere e di influenza. Da qui molte supposizioni, non solo sull’incidenza storica del potere economico, ma anche sulla funzione e il comportamento che ne derivano.
Al di là delle preziose informazioni, da questo accurato studio possiamo ricavare molte importanti teorie. Esaminando accuratamente la natura e le funzioni delle classi aziendali, la spinta ad organizzare e perpetuare i propri interessi e il proprio potere, il libro manda in crisi certe convinzioni sul mondo aziendale che alimentano facili illusioni.
Sfata, ad esempio, il principio secondo cui le grandi aziende e le associazioni di cui sono parte non cambiano radicalmente il proprio modo di funzionare e relazionarsi in funzione del contesto politico, “amico” o “ostile”, in cui si trovano. In uno dei suoi punti chiave il saggio spiega come fini e comportamenti delle grandi aziende (singolarmente o in cooperazione con lo stato) negli stati totalitari di allora (come la Germania, l’Italia, il Giappone e la repubblica di Vichy) non siano radicalmente diversi dai fini e comportamenti “entro il paradigma liberale capitalista”. Il modo di operare è molto simile in entrambi i contesti.
Ognuna secondo la sua prospettiva, le grandi attività economiche e loro associazioni riuscirono ad avere successo nel proprio paese: le più grandi riuscirono ad unirsi e imporsi come centri di decisione, influenzando pianificazione e direzione dell’economia. Che si trattasse del potere rigido dei regimi fascisti, o che fosse più diffuso e legato alle lobby nei paesi capitalisti, le differenze di comportamento erano superficiali.
Brady spiega anche che le aziende e le loro associazioni capivano che per consolidare i propri interessi più ampi occorreva influenzare gli elementi e i comportamenti sociali al di là dell’ambito ristretto del comprare, vendere e fare affari. Brady spiega come negli Stati Uniti le reti industriali mirassero a dar forma e consolidare comportamenti dentro e fuori dalla propria classe. Capi industriali e alcune delle principali aziende investivano in centri ricerca propri, stipendiavano esperti e analisti, investivano in programmi di formazione e reclutamento (indipendentemente o tramite le università) e impiegavano esperti nelle pubbliche relazioni e addetti stampa; il tutto era finalizzato alla formazione di persone con il compito di diffondere le “giuste” opinioni: quelle del business. Una massiccia opera di pubbliche relazioni propagandava presunte benevolenze, istruiva l’opinione pubblica su una grande varietà di cose, dalla rendita alla doverosa tutela dell’economia nazionale, fino a questioni molto serie su quali persone avevano il diritto e la morale adatti a guidare la società.
Alcune parti finali del capitolo che tratta della scena americana spiegano come all’occorrenza la propaganda della comunità aziendale fosse in grado di mutare atteggiamento, secondo il clima politico e tutto ciò che era percepito come ostile al proprio potere. Se le prime campagne propagandistiche, “fin dal 1895”, chiedevano apertamente “aiuto, sostegno e cooperazione da parte del governo”, una volta che potere e influenza sono acquisiti tutto ciò diventa superfluo. Già ai tempi del New Deal il tono e l’indole cooperativa “lasciano il posto a campagne contro ‘le interferenze governative negli affari’.”
Il libro termina nel momento in cui in tutto l’occidente inizia una nuova fase, in cui aziende e uomini d’affari cominciano ad assumere quello spirito che ancora oggi domina la scena affaristica americana. La nobile avanguardia economica del Novecento – i potenti interessi aziendali storici – vedeva nel governo una forza che aveva il compito di fare tutto il dovuto per proteggere le aziende dalle vere forze di mercato, lasciandole però libere di svolgere i propri affari come meglio pareva loro, anche influenzando le norme sociali e l’opinione pubblica. L’intento era di “convertire la popolazione agli obiettivi economici, gli ideali e i programmi della comunità aziendale nel suo insieme”.
Non si può essere sostenitori dei principi del libero mercato e allo stesso tempo sottovalutare o ignorare i privilegi, il potere e il potere di condizionamento economico, sociale e politico delle grandi aziende all’epoca in cui crescevano e si imponevano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e ancora oggi nel ventunesimo secolo. Vale la pena conoscere a fondo il modo in cui quel sistema di potere, privilegio e influenza funzionava in passato, e ancora oggi funziona, come sistema in sé capace di plasmare l’esistenza, spesso fisica, di miliardi di persone. Il cammino della conoscenza è lungo e l’opera di Brady ne percorre un bel tratto.