Secondo un recente sondaggio del Pew Research, il 40% degli americani tra i diciotto e i 34 anni ritiene che lo stato debba limitare la libertà di parola quando questa offende le minoranze. I più anziani sono meno favorevoli all’idea, mentre i democratici favorevoli sono il doppio dei repubblicani.
Da membro dell’ala libertaria della sinistra americana, e da convinto sostenitore della libertà di parola, credo che sia preoccupante caldeggiare la censura di stato, soprattutto da parte della sinistra. È da tanto che ho in simpatia le giovani generazioni, e credo che il loro sostegno ad un trattamento equo delle minoranze razziali, religiose e sessuali sia un fatto positivo. Ed è da tanto che associo il desiderio di censura alla destra religiosa, alle vecchie generazioni e all’ala reazionaria e autoritaria dei conservatori. Vedere persone tradizionalmente a favore delle mie cause sostenere la censura di stato è frustrante e triste.
La censura è un fatto non solo ripugnante ma anche controproducente. Oggi con internet non serve andare lontano per trovare bigotti, xenofobi, omofobi, reazionari, neonazisti, antifemministi violenti e innumerevoli altre tipologie di persone odiose. La voglia di zittirli è comprensibile, ma basata su presupposti errati. Per delegittimare bigotti e reazionari basta lasciarli parlare: che sia il mondo a giudicare quanto sono perversi e stupidi.
Censurare i bigotti non fa altro che legittimare le loro lamentele di vittime perseguitate. Significa, implicitamente, che temiamo di affrontare le loro parole apertamente e onestamente. Dunque è chi sostiene la giustizia sociale ad apparire autoritario. Così i bigotti possono mettere nello stesso calderone chi vorrebbe fare un esame critico delle loro parole e chi vorrebbe invece metterli a tacere con la forza. I reazionari già lo fanno, e continueranno a farlo finché non diremo apertamente basta a queste tattiche. Molti a destra sono ben felici di equiparare critica e censura. Cerchiamo di non facilitare il loro compito.
La superiorità delle idee si dimostra con il libero scambio delle opinioni e con il dibattito, non con la censura. La verità vince in un mercato libero e aperto delle idee. Con la censura, chi sta dall’altra parte reagisce e, giustamente in questo caso, fa valere le ragioni della propria indignazione. Niente impedisce di spingere la società verso una direzione più equa e compassionevole ricorrendo a strumenti volontari. L’uso di strumenti autoritari non fa che contraddire e compromettere una società equa e comprensiva delle diversità.
Stare dalla parte di chi è sistematicamente svantaggiato non significa rendersi odiosi e negare i diritti altrui. Libertà di parola non significa nulla se si applica soltanto alle persone con cui si va d’accordo. La ricerca della giustizia deve essere complementare alla ricerca della libertà e opposta all’autorità arbitraria. Senza libertà di parola non esiste giustizia sociale. Sono due facce della stessa medaglia.