Il venti gennaio, la Electronic Frontier Foundation (EFF) ha annunciato il progetto Apollo 1201, un tentativo di sradicare le barriere digitali (DRM) dal mondo del commercio in rete. Guidato dal ben noto Cory Doctorow, il progetto punta ad “accelerare il cammino verso l’abrogazione delle leggi che proteggono il DRM” e “dare subito inizio ad un forte mercato di percorribili tecnologie che siano alternative alle protezioni digitali”. Secondo la EFF, le tecnologie DRM “minacciano la sicurezza e la privacy degli utenti, distorcono il mercato, mettono a rischio l’innovazione” e non proteggono realmente la cosiddetta “proprietà intellettuale”.
L’obiettivo della EFF è serio. Il DRM gioca un ruolo chiave nell’estensione del monopolio della proprietà intellettuale, oltre ad avere effetti dannosi sulla creatività e l’innovazione. Certo, come nota la EFF, il DRM è talmente intrecciato con la nostra società che oggi sembra difficile immaginare un mondo senza DRM. Il dibattito si scalda ancora di più se si considera la diffusione della stampa in 3D, che permette di fabbricare molti prodotti protetti da “proprietà intellettuale”, e se si considerano le mosse delle grandi aziende, che cercano di estendere il controllo sugli acquirenti che hanno acquistato un loro prodotto.
Qualche tempo fa, ad esempio, la Keurig ha cercato di mettere sul mercato una macchina per il caffè, protetta da DRM, che funzionava solo con i chicchi di caffè “ufficiali”. I consumatori non erano tanto felici di sapere che per fare un espresso avrebbero dovuto truccare la macchinetta, visto che i chicchi in versione “2.0” non erano disponibili in quantità sufficiente a soddisfare la domanda.
Dalla Apple che gioca al gatto col topo con chi rimuove le protezioni dei cellulari, alla Amazon che offre programmi “esclusivi” per il suo servizio di streaming, alla Netflix che impone blocchi regionali (sostenuti entusiasticamente dall’associazione cinematografica americana MPAA, una potente lobby a favore della proprietà intellettuale), all’uso sfrenato di controlli da parte dei produttori di videogiochi, ecco che il DRM ha un lungo passato fatto di comportamenti predatori da parte di attori politicamente privilegiati che operano in “mercati” ingabbiati. L’imposizione dei diritti sulla “proprietà intellettuale” si è estesa a tal punto che i “detentori di questi diritti” si sentono autorizzati ad interferire con la produzione di contenuti un tempo considerati liberi.
Ma se le aziende cercano di mettere su barriere invisibili, gli utenti trovano sempre il modo di eludere i controlli, eliminare i blocchi e aggirare i divieti. E se è vero che le aziende trattano i loro clienti come potenziali criminali, cercando di controllarli ad ogni passo, è anche vero che i “pirati” offrono una vita più facile e comoda.
Il mondo del DRM, e quell’universo più ampio costituito dai monopoli della “proprietà intellettuale” garantiti e protetti dallo stato, sono buchi neri fatti di inefficienza e cattiva assistenza alla clientela. Non è un caso se le grosse aziende, e i loro amici politici, amano le protezioni DRM. Temono un’economia sinceramente libera, un’economia senza “proprietà intellettuale” e “diritti di copia digitali”.