In un suo recente intervento al vertice sul clima delle Nazioni Unite, Barack Obama ha spronato le nazioni della terra a collaborare per affrontare il problema dei cambiamenti climatici antropogenici. Obama ha rassicurato i politici presenti che gli “Stati Uniti d’America si stanno dando una mossa” e che noi (collettivamente) “ci assumiamo la responsabilità” di combattere i cambiamenti climatici. È curioso notare che, mentre il premio nobel per la pace parlava, cadevano bombe con l’insegna USA in Afganistan, Iraq, Siria, Yemen, Pakistan e Somalia.
La guerra non è compatibile con la sostenibilità. Per affrontare seriamente il cambiamento antropogenico occorre la pace.
Gli Stati Uniti sono in uno stato di guerra permanente. Il nuovo attacco dell’amministrazione Obama contro Isis ne è una prova ulteriore. Nessuna novità. Appena un anno fa alti rappresentanti dell’amministrazione dicevano al senato che esiste un “ampio consenso” sulla necessità di estendere le operazioni militari in Medio Oriente. Un altro decennio di guerra, forse due, in “forma illimitata”. E a quel punto gli Stati Uniti sarebbero a metà strada nella guerra al terrore globale. Così si diceva prima che l’Isis diventasse argomento da salotto.
Questo stato di guerra è responsabile del massacro di innocenti, dell’inasprimento del terrore e della distruzione; e tutto mentre si propaganda l’azione sul clima. Una cosa è certa: sul clima lo stato non sta andando a “battere un colpo”.
Il dipartimento americano della difesa è da solo il più grande consumatore nazionale di combustibili fossili. Dalla produzione di armi alle grandi macchine da guerra, le forze armate emettono più gas serra di ogni altra istituzione. Aggiungeteci la distruzione dell’ecosistema naturale portata dalla guerra. Gli attuali interventi hanno danneggiato il patrimonio forestale e lagunare in tutto il Medio Oriente. Secondo CostOfWar.org, l’Afganistan ha perso il 38% delle aree boschive a causa del taglio illegale. Questa deforestazione è legata ai signori della guerra che salgono al potere sulle ceneri delle campagne militari che continuano a destabilizzare la regione. Questo saccheggio elimina quei benefici che l’ecosistema dà alle popolazioni del luogo, generando scarsità di risorse che a sua volta fa nascere ulteriori conflitti e violenze. La riduzione della superficie boschiva, inoltre, restringe l’habitat di un gran numero di specie, compresi i volatili che attualmente subiscono un forte declino; un precedente pericoloso nel mezzo della sesta estinzione di massa.
Chi sta al potere esalta continuamente lo stato come unico sistema in grado di organizzare legittimamente la società. Ci dicono che solo lo stato può assicurare pace e sostenibilità in un mondo sempre più complesso e fragile. Dato il ruolo dello stato nazione come forza economica e militare, è ormai tempo di riconoscere la sua natura di minaccia mondiale alla pace, la sicurezza, la libertà e l’ambiente.
Lo stato non è in grado di agire sul clima. Lo stato nazione funziona come un essere razionale, mira al proprio interesse. Cerca di espandere il proprio potere, per lo più sfruttando le risorse naturali. Esiste un conflitto di interessi all’interno di uno stato: quello che ha più territorio è anche quello che ha più risorse disponibili al consumo. Ecco perché la guerra (che sia militare o economica) rappresenta il benessere dello stato: perché garantisce il monopolio su un territorio, e dunque sulle sue risorse.
Tutto questo mentre da 300 a 400 mila persone marciavano davanti alle Nazioni Unite e in tutto il mondo per chiedere protezione per l’ambiente. Il progresso inizia per strada, ma un vero cambiamento si può avere solo con con un’attività ambientalista quotidiana a livello di vicinato. Questo potere sociale può rendere inservibile lo stato con tutta la sua autorità illegittima. Non limitatevi a darvi una mossa. Marciate sulle ceneri del potere.