John della Volpe, che insegna Sistemi Elettorali presso l’istituto di politica di Harvard, qualche tempo fa ha fatto questa osservazione: “[i]nvece di rendersi utili in politica… i giovani elettori sono purtroppo sempre più disillusi, non si fidano di ciò che viene da Washington.” Volpe cita un sondaggio dell’istituto di politica da cui risulta che, tra i giovani della generazione Y, “la fiducia in quasi tutte le istituzioni prese in esame” è a livelli incredibilmente e tristemente bassi.
Secondo Volpe, il fatto che i giovani non si fidino della presidenza, del Congresso e di Washington in generale è un triste problema, qualcosa di cui i politici dovrebbero “prendersi cura”. Ovvero, dovrebbero trovare il modo di risvegliare la coscienza civile.
Essendo io stesso tra questi giovani, vorrei far notare che, sempre che il sondaggio di Volpe sia rappresentativo, il cinismo verso la politica della mia generazione, la nostra sfiducia, il nostro disgusto verso i politici e il governo federale, sono una risposta naturale e sana a ciò che ci circonda.
Quelli come Volpe, sacerdoti del culto politico, faticano a credere che esistano persone preoccupate per il benessere della propria comunità a cui non importa se l’ultimo vincitore alle elezioni era un repubblicano o un democratico. Non accettano il fatto che ci siano giovani che vedono la politica per quello che è: il linguaggio della forza, il sistema che permette a qualcuno di tiranneggiare gli altri. Contrariamente a quello che onestamente credono John della Volpe e i fedeli della politica, quest’ultima in realtà non è un modo onesto, tantomeno lecito, di affrontare “le sfide fondamentali dei nostri tempi”.
Alla base dalla politica c’è semplicemente un gruppo di persone che impone le proprie regole e il proprio volere sugli altri attraverso l’uso della forza fisica. La politica può apparire più o meno democratica, più o meno liberale, ma è sempre e ovunque la semplice maschera del dominio.
Deve essere difficile essere un non anarchico sincero. Davanti a qualunque questione deve seguire il cammino erratico dell’impulso e del capriccio di altri, deve concedersi a risposte e distinzioni casuali e arbitrarie. Invece che sul principio della sovranità individuale, deve confidare sull’espediente pratico, o anche solo su una sua idea, qualunque sia l’esito.
Pare un modo tutt’altro che ideale di fare un’analisi (se possiamo chiamarla analisi) delle questioni sociali, soprattutto a chi sta vicino a questi non anarchici e deve sottostare ai loro standard incostanti e illogici. Intendiamoci, un anarchico non è uno che pretende che tutte le questioni sociali siano risolte facendo ricorso alla magia della sovranità individuale, ma solo uno che ci vede il punto d’inizio e un principio guida.
Ovviamente, una volta stabiliti i nostri principi anarchici, rimangono infinite questioni. Ad esempio, cosa è l’autorità, o l’aggressione? La proprietà privata è assenza di autorità o un suo esempio? A queste e ad altre domande gli anarchici rispondono con un’infinità di sfumature diverse.
Ma la nostra risposta è così lontana da quella statalista che, anche senza accordo pieno, condividiamo lo stesso obiettivo: il massimo della libertà sociale ed economica per ogni individuo. Lo statalismo, al contrario, anche nelle sue forme più blande e liberali, significa soltanto controllo, dominio, aggressione e sfruttamento.
Se è vero che la generazione Y evita la politica, la conclusione potrebbe essere esattamente l’opposto di quello che pensa John della Volpe. Non ai nostri feudatari di Washington, a quei pesi morti venali e senza scrupoli che scrivono leggi a favore degli interessi particolari, ma a noi stessi dovremmo rivolgerci. Quando lavoriamo, collaboriamo e scambiamo quello che produciamo fuori dalle leggi e dai regolamenti dello stato, esprimiamo il massimo grado di coscienza civile.
L’evidente avversione della mia generazione per la politica non è apatia, ma repulsione cosciente e attiva. Sono contento di continuare ad evitare la politica e i seggi. Invito gli altri come me a creare qualcosa di nuovo e di meglio fuori dal loro mondo decadente.