Oggi la mia attenzione è stata attirata da una vicenda di aprile che mi era sfuggita. Sembra che Fatah (la tradizionale organizzazione guerrigliera componente principale dell’Olp) e Hamas abbiano annunciato una riconciliazione e un piano per formare un governo di unità nazionale: “uno sviluppo che potrebbe vedere i territori palestinesi sotto un’unico comando per la prima volta in molti anni” (“Hamas, Fatah announce talks to form Palestinian unity government,” CNN, 23 aprile).
Non ho potuto fare a meno di pensare ad un’altra riconciliazione, avvenuta cinquant’anni prima. Allora Ngo Dinh Diem e Ho Chi Minh, rispettivamente del sud e del nord del Vietnam, avviarono un dialogo per formare un governo ad interim di unità nazionale per l’intero paese, seguito da elezioni nazionali ai termini dell’accordo di Ginevra del 1954. Data l’antipatia dei contadini verso la classe di governo, formata da proprietari terrieri cattolici che vivevano di rendita, e la popolarità del Fronte di Liberazione Nazionale in gran parte del sud, è probabile che il governo degli Stati Uniti non avrebbe gradito il risultato delle elezioni.
Questa riconciliazione storica fu seguita dal rovesciamento militare di Diem, nel 1963, su istigazione della Cia, e dalla sua sostituzione con un generale più obbediente agli ordini americani. In maniera molto simile al colpo di stato, appoggiato dai sovietici, che misero Karmal al potere in Afganistan, l’instaurazione di un capo di stato compiacente aprì la strada all’introduzione massiccia di forze militari americane nel Vietnam meridionale.
Come gli Stati Uniti di cinquant’anni fa, anche Israele ha ragioni per temere la pace tra i due ex avversari. In questo senso, l’attacco massiccio contro Gaza degli ultimi giorni non avrebbe potuto arrivare in un momento più propizio.
Le due cose sono connesse? Non posso dirlo con certezza. In passato, però, le ondate di missili di Hamas erano solitamente la risposta a provocazioni di Israele, come la violazione di una tregua o l’assassinio di un leader di Hamas. Gli attacchi missilistici servivano poi da pretesto per un attacco militare da parte delle forze armate israeliane. Sembra quasi che le forze armate israeliane compilino un elenco di obiettivi da colpire e ogni due o tre anni inventino una scusa per attaccare.
In questo caso, Israele ha accusato Hamas di aver rapito e ucciso tre giovani israeliani, ma non ha fornito le prove. Hamas, che solitamente rivendica queste atrocità, questa volta ha negato. Ciononostante Israele, con la sua Operazione Guardiano del Fratello, ha arrestato centinaia di palestinesi accusati di nulla, e ha bombardato o raso al suolo centinaia di case; in altre parole, ha attuato una rappresaglia collettiva sulla popolazione civile. Hamas ha risposto alla provocazione lanciando missili. E Israele ha preso quest’ultimo fatto come pretesto per un’altra delle sue guerre mostruose e inumane contro quel campo di prigionieri che è Gaza.
E ora incredibilmente i leader di Israele ammettono che non è stata Hamas ad uccidere i ragazzi.
Sui social media ho visto molti sionisti e difensori di Israele che parlavano del desiderio di pace di Israele e della natura bellica dell’Islam. Se non credono che Israele cerchi a tutti i costi una scusa per mettere in pratica il suo elenco di obiettivi da colpire, tutto quello che mi viene in mente è che sono un mucchio di idioti. Io non posso provare che Israele abbia istigato deliberatamente la guerra proprio perché temeva una Palestina unita sotto un unico partito. Ma certo che le apparenze portano esattamente a quella conclusione.
Creare pretesti per una guerra, dicendo che bisogna contrastare un’imminente “minaccia dall’esterno”, è ciò che fanno gli stati. Nel 1939, molti tedeschi credevano sinceramente che Hitler avesse dichiarato guerra alla Polonia per autodifesa, in risposta ad attacchi contro cittadini polacchi di etnia tedesca a Danzica. Se allora ci fosse stata una Cnn tedesca, i suoi mezzibusti, quelle Persone Serissime, avrebbero sicuramente avviato una riflessione profonda sulla maniera appropriata di rispondere alla “minaccia polacca”.
Nella stragrande maggioranza dei casi, l’obiettivo reale di una guerra e le ragioni esposte dallo stato come pretesto sono due cose completamente diverse. Utah Phillips, che disse “In Corea ho capito che mai più, in vita mia, avrei ceduto ad altri la mia capacità di decidere quale è il nemico”, aveva ragione.