Il sedici marzo scorso, Claudia Silva Ferreira ha commesso questo crimine: viveva nel posto sbagliato con il colore della pelle sbagliato. È uscita a comprare pane e prosciutto con una tazza di caffè in una mano. Non sai mai quanto può essere letale una tazza di caffè se tenuta da una donna nera e povera, che vive nella periferia di una città brasiliana. La polizia ha sparato la donna due volte, lasciando il corpo allungato per terra, il petto perforato.
L’hanno portata fino alla macchina della polizia per portarla all’ospedale. Il sedile posteriore era pieno di armi e non potevano metterla lì: ci sono delle priorità. Così Claudia è stata messa nel bagagliaio, che per strada si è aperto lasciandola cadere a terra, i vestiti impigliati nel paraurti, ed è stata trascinata per quasi 400 metri. Alla fine i poliziotti si sono accorti che era caduta e l’hanno ripiegata a posto. Lei è morta.
La Polizia Militare ha negato quello che gli abitanti dei sobborghi di Rio de Janeiro, Morro da Congonha, Madureira, hanno visto. Dicono di aver trovato Claudia già sparata. Nel corso della stessa operazione, la polizia ha ucciso un sospetto spacciatore e ne ha ferito e arrestato un altro, sequestrando quattro pistole, radio e droga. Probabilmente ne valeva la pena: la droga distrugge le famiglie.
Se non fosse stato per la droga, la Polizia Militare non sarebbe stata costretta ad arrampicarsi su per la collina della favela, non avrebbe incontrato una minacciosa e violenta donna nera di 38 anni con una tazza di caffè, e non sarebbe stata costretta a sparare due volte nella sua direzione, cosa che comporta metterla nella macchina e portarla in ospedale. La droga fa a pezzi la famiglia. Claudia, ad esempio, aveva cresciuto otto bambini, quattro figli suoi e quattro nipoti. Adesso la sua famiglia è smembrata per colpa della droga.
Come possiamo pretendere che i militari aiutino una donna moribonda? Sono militari mica per niente. Li chiamano “soldati” (in questo caso, due sottotenenti e un sergente) e li mandano alla guerra. L’idea di proteggere le persone è completamente aliena ad un’organizzazione militare e la Polizia Militare ne è la dimostrazione ogni volta che entra in una favela e vede gli abitanti non come persone ma come potenziale danno collaterale.
Tra quelli coinvolti, il sottotenente Adir Serrano Machado è il più efficiente. È stato coinvolto in 57 azioni che riguardavano qualche forma di contrasto, lasciandosi dietro 63 morti. Il sottotenente Rodney Miguel Archanjo è stato molto più circospetto, con sole cinque azioni e sei morti. Il sergente Alex Sandro da Silva Alves, invece, ha fatto il debutto la domenica in cui Claudia è stata sparata: la sua prima operazione di contrasto.
Considerato tutto ciò, è chiaro che una demilitarizzazione indebolirebbe troppo la polizia, rendendo impossibile la lotta al crimine. Se vogliamo che qualcuno vada su per le favelas a confiscare erba e coca, dobbiamo avere i soldati.
Ma è proprio quello che vogliamo?
In campagna elettorale suona bene dire che la presenza della polizia è aumentata e che la battaglia contro la droga si è intensificata. Ma questo significa che centinaia di Claudia Silva Ferreira continueranno a morire. Perché l’unico modo per mantenere l’illusione di una città sicura e senza droghe consiste nello sparare persone innocenti nelle favelas.
Se continuiamo a pensare che la brutalità della polizia sia un’eccezione non arriveremo da nessuna parte. La brutalità della polizia brasiliana è istituzionale, e serve agli obiettivi del governo. Non è possibile controllare il traffico di droga, o sostenere la legittimità della missione dello stato nella “lotta al crimine”, senza l’uso della forza letale. Con l’attuale politica sulla droga, non c’è la possibilità di far cessare la violenza della polizia: senza questa, lo stato non potrebbe mai affermare il suo potere.
Per il momento, la Polizia Militare potrebbe almeno pubblicare un opuscolo con un elenco delle attività sospette che gli onesti cittadini dovrebbero evitare. Come essere neri e camminare con una tazza di caffè.