Di Trevor Hauge. Originale: The Duality of Private Gun Ownership, del 21 luglio 2023. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Voglio essere chiaro. Sono tra i sostenitori del possesso personale delle armi perché, da anarchico, credo che sia utile che la popolazione possa, all’occorrenza, opporsi al monopolio della forza statale. Ciononostante, sono molto critico verso la cultura delle armi della destra, con i suoi discorsi manichei e semplicistici che raffigurano i sostenitori della proprietà personale delle armi come difensori della libertà e tutti gli altri come despoti rabbiosi. Le armi sono strumenti. Non sono bacchette magiche, e non sono neanche indicatori di un certo sentire riguardo la libertà.
Il concetto secondo cui un popolo armato potrebbe rappresentare un argine contro il dispotismo è valido, ma con dei distinguo. La semplice logica secondo cui “un popolo ben armato può mandare via un despota” appare in tutta la sua chiarezza. Penso agli anarchici che lottavano contro Franco durante la Guerra Civile Spagnola, a come quei contadini e proletari, se fossero stati ben armati, avrebbero potuto cambiare le sorti della guerra. Ma non potevano possedere armi. Per procurarsi un’arma dovevano assaltare un’armeria. E poi le armi spesso erano vecchie, antiquate e in cattive condizioni. Diverso sarebbe stato se fossero stati armati come lo sono oggi i nordamericani, anche se con le armi di allora. Forse sarebbero dipesi meno dalle armi inviate da Stalin, e forse non sarebbero stati pugnalati alle spalle dagli scagnozzi di Stalin. Chissà.
Ma c’è un altro aspetto da considerare: le armi personali possono servire anche ad instaurare una dittatura. Se, ad esempio, la maggioranza dei civili armati sostiene qualche pazzo feroce determinato a diventare dittatore. In Spagna, la maggioranza delle persone armate avrebbe potuto sostenere Franco. E poi ad avere accesso ad armi decenti potrebbero essere solo i ricchi. Purtroppo è accaduto. In Spagna, i ricchi fascisti erano probabilmente i meglio armati perché disponevano di soldi e conoscenze. Questo è il lato oscuro dell’argomento che pochi sono disposti ad affrontare.
Intendiamoci: non voglio fare un discorso contro il possesso personale delle armi. Sono a favore. Ma dobbiamo capire che un popolo armato è un’arma a doppio taglio. Il primo baluardo contro il dispotismo è la conoscenza. La gente difficilmente si lascia abbindolare da un despota se sa riconoscerlo. Il secondo baluardo è l’uguaglianza sociale. Se ognuno ha ciò che gli spetta, difficilmente avremo una massa di disperati disposti a sacrificare la propria libertà per un pezzo di pane. Terzo, una cultura contro il potere. Una società cresciuta nel pensiero antiautoritario odia l’autorità. Quarto, le istituzioni orizzontali. Con il federalismo, la democrazia diretta e la libertà di associazione non esiste un potere centrale che possa essere utilizzato per subordinare le masse. Se vogliamo davvero evitare il dispotismo dobbiamo abolire lo stato. Le armi sono l’ultima cosa. Le armi servono quando tutto il resto non funziona.
Purtroppo, “popolo” non sempre significa il meglio. Il popolo può essere progressista, classe lavoratrice, libertario e socialista, ma può essere anche reazionario, razzista e totalitario. E io credo che purtroppo oggi si tende verso il secondo tipo. C’è una formuletta citata spesso che diventa un fattore pesante. Suona così:
Favorevoli alle armi = contro il dispotismo; contrari alle armi = favorevoli al dispotismo; dunque, più si è a favore delle armi e più si è contro il dispotismo.
Seguendo questa logica, chiunque può essere indotto con l’inganno a sostenere un potere autoritario, pur credendo paradossalmente di stare dalla parte della libertà.
Questo ragionamento logico si è avvitato nella coscienza degli americani. Il ragionamento è: “Questo è un paese rivoluzionario, noi con le nostre armi personali abbiamo cacciato via il dispotismo monarchico”. Significa che chiunque voglia rovesciare il governo sta ripetendo il 1776? Ma se le armi possono rovesciare una dittatura, non è forse vero che possono servire anche ad imporla? E se quei leader pro-armi di cui siete seguaci vi stessero ingannando? E se quegli antipatici liberal anti-armi fossero sì libertari, ma in altre questioni? Fu Mao, dopotutto, a dire che il potere sta nelle armi. E, contrariamente a quanto si dice, non era una battuta a favore delle armi personali. Mao era un capo guerrigliero che istituì uno stato totalitario, e lo fece dopo aver convinto milioni di contadini a seguirlo promettendo loro terra e libertà. Ovviamente, con le stesse armi usate per sconfiggere il nemico istituirono il monopolio della forza.
I suprematisti usano un ragionamento simile per arrivare al potere:
Primo: dì che le armi garantiscono la libertà;
Secondo: ingannali così che usino le armi per istituire una dittatura.
Nel noto romanzo suprematista “The Turner Diaries” la “rivoluzione” inizia quando i liberal sequestrano le armi. Sono i suprematisti che prima usano il terrorismo per spingere il governo liberal a confiscare i fucili d’assalto, e poi si mettono a capo della rivoluzione. Una rivoluzione certo poco amica della libertà, con neri e liberal appesi ai lampioni. Ma anche una rivoluzione che ama le armi. Nel libro, i suprematisti sfruttano l’idiozia dei bianchi e la loro cultura delle armi per dar vita a una guerra razziale totalitaria. Oggi in America questo libro rappresenta la guida strategica di tutti gli stragisti di destra.
Il fatto è che sul possesso personale delle armi parteggiare per una parte o per l’altra non significa essere pro o contro un governo dittatoriale. Un dittatore potrebbe, almeno prima del consolidamento del potere, sostenere il possesso personale delle armi. Soprattutto se cerca di sovvertire un potere democratico. Potrebbe servirsi dei seguaci come di un esercito privato. E forse in questo senso tutto il battage dei democratici attorno alle armi come un male potrebbe aiutare molto la causa della libertà, anche se sull’argomento ci sono malintesi.
Immaginiamo un presidente liberal perfetto. Vieta i fucili d’assalto ma parla favorevolmente dei sindacati, le unioni omosessuali, la legalizzazione della marijuana, la separazione tra stato e chiesa, la libertà di emigrare o immigrare e l’aborto. Immaginiamo per contro un presidente teocratico che è a favore delle armi personali e che istiga i suoi seguaci a usare le loro armi per distruggere la democrazia. Dopodiché questo ipotetico leader mette fuorilegge l’aborto, l’immigrazione e l’emigrazione (non potete fuggire), istituisce la pena di morte per chi vende marijuana, mette in carcere i sindacalisti, mette fuorilegge i comportamenti omosessuali di qualunque genere e dichiara il cristianesimo religione di stato. In quale dei due casi l’individuo è più libero? La risposta dovrebbe apparire ovvia.
Intendiamoci: io non voglio né il divieto né la libertà di possedere fucili d’assalto. Non sono neanche a favore della democrazia. Sto solo cercando di smentire l’idea secondo cui chiunque voglia il divieto è un despota, mentre chi è contro vuole la libertà. Questo è un discorso semplicistico che inganna tante persone. Il dispotismo è un concetto vago. Si può essere dispotici per un verso e libertari per un altro. Gran parte delle persone sono così. Molti, ad esempio, vogliono che si legalizzi la marijuana ma vogliono anche che gli spacciatori di eroina siano sparati senza processo. Oppure criticano la violenza di stato dell’ufficio immigrazione ma approvano la violenza quotidiana della polizia che irrompe nelle case. L’uomo è enigmatico, paradossale, non sempre siamo quegli animali razionali che crediamo di essere.
Se il capo ti dice di impugnare la pistola, chiedigli perché. Rifletti bene. Possedere un’arma significa anche conoscere e rispettare gli abusi che se ne possono fare. Essere libertari, di qualunque orientamento, significa anche riflettere su come le istituzioni possono essere usate per influire sull’autonomia personale, positivamente ma anche negativamente. Non vogliamo finire, senza volerlo, per obbedire agli ordini di qualche statalista, soprattutto in punta di fucile.