Di Eric F. Originale pubblicato il 18 maggio 2023 con il titolo 20th Century Land Reforms in Guatemala vs. Mexico. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Disse una volta Malcolm X che tutte “le rivoluzioni partono dalla terra. La terra è alla base dell’indipendenza. La terra è alla base della libertà, della giustizia e dell’eguaglianza.” Dal Movimento dei Lavoratori Senza Terra di ispirazione marxista al movimento indigeno #LandBack in Nord America, la lotta per la terra, intesa come mezzo di produzione o come sacra fonte di vita, va avanti. E non senza una ragione visto che in tutto il mondo lo stato protegge la proprietà assenteista di ampie fette di territorio. Si arriva così a una situazione in cui, negli Stati Uniti, cento famiglie ricche possiedono circa 260 milioni di ettari di terra (più o meno le dimensioni del New England), venticinque neo-feudatari terrieri ne possiedono otto milioni (quasi l’uno percento del paese) e Bill Gates da solo è il più grande proprietario terriero della nazione. Per questo dare uno sguardo ai movimenti per le riforme fondiarie del passato e imparare da loro non è tempo sprecato. In questo breve spazio vorrei soffermarmi in particolare sul movimento riformatore del Guatemala degli anni Cinquanta per metterlo a confronto con quello messicano durante la rivoluzione del decennio 1910-20, sottolineando in particolare sulle riforme promosse dall’Esercito di Liberazione del Sud di Emiliano Zapata (noto come movimento zapatista). Entrambi i movimenti, con marcate differenze, miravano a frammentare la proprietà pseudo feudale delle terre a favore di una proprietà più diffusa.
Tra le differenze, da notare il fatto che in Guatemala la riforma, avviata dallo stato, era più unitaria e monolitica, e questo nonostante avesse come soggetto entità e movimenti più piccoli, soprattutto tra i lavoratori. Al centro di tutto troviamo un decreto del presidente Jacobo Árbenz: il Decreto 900. Approvata dal parlamento guatemalteco il 17 giugno 1952, questa radicale riforma ridistribuì 603.704 ettari di terra tra circa 100 mila famiglie in due anni. Sorsero per l’occasione numerosi comitati e dipartimenti a livello sia locale che nazionale. In “The Law That Would Change the World”, tratto da Silence on the Mountain, Daniel Wilkinson racconta le peripezie di un’associazione di lavoratori che cercò di denunciare gli illeciti commessi da un grosso produttore di caffè, la piantagione La Patria, nell’ambito del Decreto 900. I lavoratori firmarono una petizione e la inoltrarono presso il Comitato Agrario Locale di La Igualdad, uno dei tanti comitati agrari composti da lavoratori e comunità e incaricati di mettere in pratica il decreto, con la speranza che arrivasse fino al presidente. Prima però “la petizione dovette passare per una serie di comitati istituiti dal decreto per gestire la riforma.” Il primo fu, appunto, il Comitato Agrario Locale, quindi il Comitato Agrario Dipartimentale di San Marcos e infine il Dipartimento Agrario Nazionale a Ciudad de Guatemala. Sulla scrivania del presidente Árbenz la petizione ci arrivò più di un anno dopo. Basta questo esempio di tortuosità burocratica per capire come la riforma avviata dal decreto fosse gestita da una struttura monolitica che faceva capo a uno stato centralizzato. È vero che attori non statali a livello locale rientravano nel movimento di riforma, come dimostra la petizione dei lavoratori della piantagione La Patria, ed è anche vero che, come spiega Wilkinson, i vertici del Comitato Agrario Locale di La Igualdad era espressione dei sindacati locali, ma il tutto rientrava nella struttura monolitica creata dal Decreto 900.
Dall’altro lato troviamo la riforma fondiaria messicana seguita alla rivoluzione del 1910-20, che non fu opera di una struttura monolitica, ma principalmente di attori locali esterni allo stato. Nota Helga Baitenmann che (pg. 3) quando “le varie fazioni rivoluzionarie avanzarono le loro proposte in fatto di riforme fondiarie, gli abitanti dei villaggi le accolsero come contributo alla lotta per la terra.” Le fazioni diedero vita ad associazioni di paese o regionali col fine di mettere in pratica le loro specifiche riforme fondiarie. I zapatisti nel Messico meridionale, ad esempio, nominarono dei guardatierras (guardiani delle terre, ndt) con il compito di fare una provvisoria distribuzione delle terre (pg. 14-5). Furono questi guardiani a promuovere la varietà di riforme locali. Nell’ottavo capitolo del libro Zapata and the Mexican Revolution, John Womack spiega come nello stato di Morelos occupato dagli zapatisti un villaggio…
riuscì a mantenere l’intero territorio come bene comune distribuendo solo i diritti di coltivazione; in altri casi la proprietà fu suddivisa tra piccoli proprietari singoli. Né le autorità statali né quelle federali potevano interferire sulle scelte dei singoli villaggi; al massimo, il governo federale poteva intervenire per vietare la vendita o l’affitto delle terre.
Lo stato dunque partecipava alla riforma rivoluzionaria, come dimostra il fatto che al governo federale fossero permesse interferenze (e che controllasse ampiamente gli stati del nord). Come in Guatemala, anche qui troviamo dipartimenti e consigli a cui singoli o gruppi potevano appellarsi per ottenere una concessione o la restituzione di una terra. Ma non si trattava di una burocrazia piramidale come quella creata dal Decreto 900. Le varie istituzioni rientravano tra le strutture pseudo-governative create dalle diverse fazioni rivoluzionarie.
Altra differenza importante rispetto al Guatemala è la ragione di fondo. Nel caso del Guatemala, la riforma poteva apparire a prima vista un atto tipico dell’estrema sinistra. È così che, a detta di Wilkinson, la consideravano molti guatemaltechi; tanto più che l’unico proprietario terriero di La Igualdad che discusse la riforma con il comitato locale, e che la bocciò senza appello, era fortemente anticomunista. L’idea che la riforma fosse una strategia dell’estrema sinistra dovette contagiare anche il dipartimento degli esteri degli Stati Uniti: secondo Douglas W. Trefzger il successivo intervento (pg. 32-3) armato americano in Guatemala non solo mirava a proteggere gli interessi della United Fruit Company ma rientrava anche nel più vasto tentativo di bloccare il comunismo e l’influenza sovietica sull’emisfero occidentale. Ed è indubitabile che certi rivoluzionari di sinistra, come quelli del Partito Comunista Guatemalteco, fossero parte attiva, così come è vero che in alcuni casi la ridistribuzione delle terre diede vita a cooperative di successo. Ma il Decreto 900 rimane un’opera dal chiaro indirizzo industrial-capitalistico. Árbenz si richiamava all’articolo 88 della costituzione guatemalteca che autorizzava il governo a intervenire direttamente sull’economia nazionale per sostenere l’industria e l’agricoltura. Alla base c’era la necessità di migliorare l’economia. Il decreto non mirava semplicemente alla ridistribuzione delle terre, ma anche al riordino delle terre inutilizzate. Secondo Trefzger (pg. 32), a quel tempo solo il dodici percento delle terre private era coltivato, e la riorganizzazione serviva a incrementare questa percentuale. Ma era lo stesso decreto a stabilire esplicitamente che l’obiettivo era la crescita “del modo di produzione agricolo al fine di avviare l’industrializzazione del Guatemala”. In questo modo si voleva rendere i lavoratori agricoli indipendenti dalle piantagioni, permettere loro di partecipare più liberamente al mercato del lavoro così da migliorare l’economia nazionale e sviluppare l’industrializzazione.
Quanto al Messico, è difficile dire quale fosse la ragione esatta delle riforme. Qualche suggerimento potrebbe venire dal fatto che spinte in tal senso in ambienti rurali esistevano già prima che prendessero corpo le fazioni rivoluzionarie esplicitamente ideologiche attraverso la “partecipazione popolare alla formazione dello stato” di Baitenmann. Nei villaggi, gran parte della domanda di un pezzo di terra era chiaramente motivata dagli interessi economici delle piccole attività. Nel dibattito tra concessione fondiaria e restituzione della terra, la domanda era: quale delle due garantisce la maggior quantità di terra ai contadini? Qui le ragioni che stanno alla base della fazione rivoluzionaria più famosa, quella degli zapatisti, sono ben definite. Zapata voleva che la proprietà della terra tornasse ai villaggi (pueblos); ma è anche da notare che le riforme presentate da lui e dai suoi puntavano ad un’equa distribuzione della terra più che ad un ripristino delle proprietà. Si arrivò così ad un compromesso: una parte delle terre espropriate furono rese agli originari padroni e il resto fu diviso equamente tra tutti gli altri (pg. 6-7). È evidente dunque l’impegno degli zapatisti a favore della giustizia e dell’uguaglianza, il tentativo di riparare ai torti del passato e creare un futuro più egualitario. La differenza tra le due riforme, quella guatemalteca e quella messicana, oltre che nell’opposizione centralizzazione-decentramento, è particolarmente evidente nel fatto che nel caso del Guatemala, nonostante certi elementi di giustizia e equità del Decreto 900, l’obiettivo era la modernizzazione dell’economia. Sebbene oggi siano entrambi saldamente capitalisti e partecipino all’economia mondiale, c’è molto da imparare sia dalla loro storia che dalle attuali lotte dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, che riprende il nome dell’originario esercito rivoluzionario. Quest’ultimo combina elementi marxisti, anarchici e della cultura indigena per dar vita, nel Messico di oggi, a una lotta per un’autonomia basata sulla terra. In Guatemala troviamo invece attivisti indigeni come Isabel Solís che da decenni lottano per la comunizzazione delle terre.
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Fonti (elenco non esaustivo):
• Farming While Black by Leah Penniman
• “If You Don’t Use Your Land, These Marxists May Take It” by Jack Nicas
• “Meet The 25 Land Barons Who Collectively Own 1% Of America” by Hannah Kim
• “American land barons: 100 wealthy families now own nearly as much land as that of New England” by Christopher Ingraham
• “America’s Biggest Owner Of Farmland Is Now Bill Gates” by Ariel Shapiro
• “Popular Participation in State Formation: Land Reform in Revolutionary Mexico” by Helga Baitenmann from Journal of Latin American Studies, February 2011, Vol. 43, No. 1.
• Decreto 900 Ley de Reforma Agraria by el Congreso de la República de Guatemala,
• Constitución de la República de Guatemala, 1945.
• “Guatemala’s 1952 Agrarian Reform Law: A Critical Reassessment” by Douglas W. Trefzger from International Social Science Review, 2002, Vol. 77, No. 1/2 (2002).
• Silence on the Mountain: Stories of Terror Betrayal and Forgetting in Guatemala by Daniel Wilkinson
• Zapata and the Mexican Revolution by John Womack
• “A Spark of Hope: The Ongoing Lessons of the Zapatista Revolution 25 Years On” by Hilary Klein
• “A Life of Struggle for Land and Community in Guatemala: Interview with Isabel Solís” by Dawn Marie Paley