Di Bent Delbeke. Originale: The Concentration of Capital, pubblicato il 24 agosto 2021. Traduzione di Enrico Sanna.
La concentrazione di capitale: i vantaggi dei mercati non capitalisti
Uno dei problemi inerenti il capitalismo, forse il più grande, è la concentrazione di capitale. Facciamo un esame critico.
La concentrazione di capitale è il risultato diretto del costrutto capitalista della proprietà legale: al contrario, poniamo, della libertà di espressione, che è un diritto eminentemente pratico, questo “diritto” è un diritto ipotetico, che può essere esercitato solo quando le condizioni lo permettono. Diverso è il caso delle libertà pure, come la libertà di religione o di assemblea, che possono essere esercitate ovunque da chiunque. Lo stato, così come gran parte delle persone, ritiene normale che una persona non abbia di per sé gli strumenti necessari a mettere in pratica questo diritto, ma perché?
Il problema della concentrazione di capitale si basa sul “diritto” della proprietà. Perché il capitale funziona sulla base di questo principio: più è grande il capitale che si possiede e più rapidamente questo si moltiplica. È così che la fortuna cristallizza le classi, e la fortuna (o la sua assenza) dei nostri antenati fa ancora sentire i suoi effetti su di noi. Forse la mobilità sociale è più forte che mai grazie alla tecnologia, ma è azzoppata dal capitale e la proprietà. Il lavoratore riceve un salario orario che è una frazione del valore di ciò che produce, mentre il capitale raddoppia e triplica ad ogni investimento… Per quanto tempo ancora fingeremo di credere che si tratta di una legge della natura e non qualche mostruoso costrutto proprio solo del capitalismo?
Un’ovvia soluzione al problema è la proprietà collettiva del capitale, ma come organizzarla? Ci sono alcune possibilità di massima. La prima è la proposta di tipo leninista-stalinista, per cui lo stato agisce come una sorta di mediatore per conto del proletariato in tutti gli ambiti, anche quello economico. Il fine inevitabile è la dittatura dei burocrati, che si definiscono proletari ma che in realtà sono i feudatari di un terrore rosso. Aristocratici corrotti o mafiosi, insomma. È un sistema che ha gli stessi difetti del nostro potere gerarchico, pertanto non basta rovesciare o riformare le attuali piramidi di potere del capitalismo e dello stato, bisogna eliminarle. Seconda possibilità è l’anarchia: tutto ciò che attualmente è materia dello stato o del capitale passa nelle mani di comunità o associazioni basate sul consenso. La terza è una via di mezzo in cui compiti come la difesa e la sicurezza restano nelle mani dello stato ma con una gestione più democratica (ma sempre elettorale), mentre l’economia è gestita dai lavoratori.
La prima è la morte del movimento dei lavoratori, il dispotismo assassino. La terza è meglio, ma lo stato può sempre abusare del proprio potere, e la popolazione resta divisa in classi.
Invece il popolo dovrebbe idealmente essere visto come un insieme di individui, come tanti ego fluttuanti, ognuno dei quali con lo spazio di manovra che gli spetta. Cose che si possono ottenere in un mondo anarchico, con la proprietà consensuale dei mezzi di produzione e un’organizzazione consensuale della società. Solo allora avremo veramente liberato le persone, tutte le persone, non solo quelle di una certa classe, razza, genere o sesso.
Tra queste collettività spontanee di individui liberi le possibili interazioni sono di due tipi: il mercato socialista basato sulla teoria del valore da lavoro e lo scambio spontaneo, oppure l’economia pianificata basata sul principio “ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni”. La divisione sta tra un anarchismo di tipo più marxista come l’anarco-comunismo, e l’anarchismo di mercato mutualista (seguito dall’agorismo, l’egotismo e così via) con i bakuninisti in posizione intermedia. Per quanto mi riguarda, la decisione è ovvia.
La scelta deve andare al mercato, un’economia pianificata richiede innanzitutto burocrazia, che in una società anarchica è pressoché ingestibile. Tutte le funzioni che normalmente vengono svolte da mercato sarebbero svolte da burocrati e delegati eletti. Tutto perfetto finché ci si attiene ai principi federativi per cui, ad esempio, i delegati seguono strettamente il volere della comunità o del gruppo. Ma quando si va oltre lo stretto necessario sorgono i pericoli, più delegati e rappresentanti ci sono e più sono le possibilità che il potere e le gerarchie emergano. In conclusione, il mercato socialista appare il più adatto a promuovere le libertà individuali e lo scambio spontaneo, ed è più efficiente nella lotta contro i poteri piramidali.
La proprietà e la concentrazione di capitale inerenti il capitalismo distruggono il “libero” mercato creando gerarchie e disuguaglianze. Disuguaglianze che non sono opera degli individui. Il mercato, se veramente libero, senza concentrazioni di capitale o gerarchie di alcun genere, basta ad incentivare il cambiamento e la tecnologia. È pertanto la nostra migliore possibilità.