Di Kevin Carson. Originale pubblicato il 9 novembre 2013 con il titolo When Value Creation Is Immaterial, The Exploiters Have Nothing To Grab Hold Of. Traduzione di Enrico Sanna.
Questa terza parte della trilogia di Hardt e Negri iniziata con Impero e proseguita con Moltitudine ha come tema principale la forma della società che emerge dal cadavere in putrefazione del capitalismo aziendale. Questa citazione presa a caso esprime bene il soggetto:
… la tendenza all’egemonia, o perlomeno alla prevalenza, della produzione immateriale nei processi della valorizzazione capitalista… Immagini, informazioni, conoscenza, affetti, codici e relazioni sociali… cominciano a prevalere sulle merci materiali, o sugli aspetti materiali delle merci, nel processo della valorizzazione capitalista. Questo ovviamente non significa che la produzione di beni materiali… stia scomparendo, o anche solo scemando quantitativamente, ma piuttosto che il suo valore dipende sempre più, in maniera subordinata, da fattori e beni immateriali. … Ciò che queste due forme di lavoro hanno in comune… è espresso perfettamente dal loro carattere biopolitico. … Gli esseri umani, in quanto capitale fisso, sono al centro di questa trasformazione, la produzione di forme di vita sta diventando la base del valore aggiunto. In questo processo, mettere al lavoro le facoltà umane, le competenze e le conoscenze – quelle acquisite sul lavoro ma, soprattutto, quelle accumulate fuori dal lavoro interagendo con sistemi produttivi automatizzati e computerizzati – è ciò che produce direttamente valore. Caratteristica distintiva del lavoro di testa e di cuore è dunque il fatto che, paradossalmente, l’oggetto della produzione è in realtà un soggetto definito… da una relazione sociale o da una forma di vita.
Entro il paradigma della produzione industriale: l’aumento della produttività è ottenuto incrementando l’intensità di capitale del processo produttivo. È lo stesso meccanismo che stava alla base del sistema salariale. Più il macchinario diventava costoso, più erano concentrate le unità produttive e più il sostentamento dei lavoratori dipendeva da quelli che potevano permettersi i macchinari; e più, aggiungo io, erano assoggettati alle condizioni che i proprietari delle macchine imponevano loro in cambio del diritto di impiegare tali macchine.
Man mano che il progresso tecnologico abbassa i costi del capitale fisico necessario alla produzione, portandoli entro le possibilità dell’individuo o di piccole cooperative – alla maniera degli strumenti dell’artigiano pre-industriale –la cooperazione diventa sempre più fonte principale di produttività, e così anche la conoscenza in quanto bene comune.
Questo significa che la classe redditiera non può più estrarre plusvalore dalla popolazione controllando l’accesso ai mezzi fisici di produzione. Deve appropriarsi delle nostre relazioni sociali trasformandole in fonte di rendita.
Oggi l’accumulazione capitalista avviene sempre più fuori dal processo produttivo, e lo sfruttamento prende la forma di esproprio dei beni comuni.
Fatica inutile. L’industria del software e cinematografica ha capito che criptare e imporre leggi anti-aggiramento non impedisce alla gente di fare dei duplicati. La stessa umiliante sconfitta li attende quando proteggono il design con il DRM e poi impongono blocchi legali anti-aggiramento sulle macchine utensili.
Il capitalismo aziendale sta arrivando a dipendere totalmente dalla proprietà immateriale come fonte di profitto, proprio mentre il diritto alla proprietà immateriale è sempre più inapplicabile.
La soluzione socialdemocratica non cerca di trarre vantaggio dalle possibilità liberatorie contro il capitale offerte dalle nuove tecnologie produttive. Immagina, al contrario, “il reintegro della classe lavoratrice nel capitale”.
Questo significa, da un lato, risuscitare i meccanismi che permettono al capitale di coinvolgere, gestire e organizzare le forze produttive e, dall’altro, far rinascere lo stato sociale e i meccanismi sociali che servono al capitale per garantire la riproduzione sociale della classe lavoratrice.
Per funzionare, la socialdemocrazia deve usare lo stato per integrare coercitivamente la produzione sotto il controllo del capitale, anche se il capitale è tecnicamente obsoleto, e questo può farlo o vietando la concorrenza di forme produttive più efficienti, oppure dando agli interessi capitalisti consolidati un diritto di “proprietà” relativo alla capacità di mettere al lavoro nuove forme di produzione. Un modo sostanzialmente hamiltoniano di sostenere il valore di grosse concentrazioni di capitale creandone artificialmente la necessità.
Ma queste tattiche non hanno effetto sulla via intrapresa dai lavoratori in questa fase terminale del capitalismo. Secondo Hardt e Negri, la lotta di classe somiglia sempre meno ad un tentativo di appropriarsi con la forza dei mezzi fisici di produzione e sempre più ad un “esodo”, “un processo di uscita dalla relazione con il capitale per attuare la potenziale autonomia della forza lavoro.” Per la prima volta in duecento anni, il drastico abbassamento dei costi del capitale fisico unito all’importanza primaria del capitale umano pongono le condizioni perché si adotti una strategia rivoluzionaria non basata sul controllo delle istituzioni di governo e del capitale concentrato. Come ho scritto qualche tempo fa,
Noi non puntiamo ad assumere il comando delle istituzioni esistenti, ma a renderle irrilevanti. Non vogliamo prenderci lo stato e la sua politica. Vogliamo rendere inapplicabili le sue leggi. Non vogliamo prendere il comando delle aziende per renderle più “socialmente responsabili”. Vogliamo edificare una controeconomia fatta di informazioni open-source, produzione in piccole officine di quartiere, permacultura, monete criptate e banche cooperative, e lasciare le aziende a marcire sulla pianta assieme allo stato. Non speriamo di riformare l’ordine attuale. Vogliamo fargli da becchino.
L’altro aspetto di ciò è che, man mano che le relazioni sociali prendono il posto dell’aggregazione del capitale fisico come risorsa principale di produttività, la progressiva estinzione della scarsità materiale in quanto base del valore di scambio farà sì che quelle forme specifiche dell’attività e delle relazioni che noi chiamiamo “economiche” si dissolvano nella più ampia categoria delle relazioni sociali generali. Allora l’uomo potrà soddisfare una porzione sempre più grande dei propri bisogni tramite attività attualmente classificate come socializzazione o gioco.