Guida anarchica all’ambientalismo
Di Logan Marie Glitterbomb. Originale pubblicato il 23 agosto 2018 con il titolo Decentralizing the Green Revolution: An Anarchist Guide to Environmentalism. Traduzione di Enrico Sanna.
Davanti al problema dei cambiamenti climatici o di altre forme di inquinamento, abbiamo solitamente due strade: da un lato l’individuo con il riciclaggio, le luci spente, la bicicletta, il televisore staccato quando è spento; dall’altro lo stato con la messa al bando delle cannucce di plastica, la carbon tax, gli investimenti pubblici. Proteggere l’ambiente prima che sia troppo tardi e senza l’intervento dello stato (oltre a come trattare il crimine e come fornire un’adeguata assistenza sanitaria) è una delle questioni che un anarchico si trova ad affrontare.
Onestamente, finché lo stato esiste, è preferibile che si occupi di ambiente e sanità piuttosto che di guerre e polizia. Certo, con quel mostro grigio chiamato governo americano scomparirà anche l’EPA (l’agenzia federale per l’ambiente, ndt). Ma prima di abolire le certificazioni Energy Star e gli standard sull’acqua dobbiamo eliminare l’ICE (il controllo di frontiere e immigrazione, ndt), la polizia, le carceri e il complesso industrial-militare. Detto ciò, la protezione governativa dell’ambiente è una farsa. Agenzie come l’EPA sono state catturate dalle stesse entità aziendali che l’agenzia dovrebbe regolamentare, come avviene per tutte le agenzie. L’EPA non è servita né a prevenire né a risolvere la crisi idrica di Flint ed è più che sicuro che non fermerà le petroliere.
Sono state proposte diverse versioni di un nuovo New Deal Verde, e l’idea è molto apprezzata a sinistra, anche da chi ha tendenze libertarie. Ma come qualunque legislazione ispirata al New Deal, punta soprattutto ad aumentare le tasse, sostenere le aziende e creare nuovi posti pubblici, quanto basta perché gli anarchici guardino con scetticismo ciò che parrebbe una buona causa. Dopotutto, lo stato e le aziende sussidiate sono tra i maggiori inquinatori del pianeta ed è molto improbabile che impongano normative a se stessi. E allora qual è la soluzione? Ci rinchiudiamo nella tattica individualistica dei liberal del “riduci, riusa, ricicla” lasciando le cose come stanno per paura che facendo di più si risvegli l’oppressione dello stato? Bè, no.
Nessuno dice che non si deve riciclare, ma, ammettiamolo, il programma di riciclaggio dello stato è un piano escogitato dalle aziende per scaricare le colpe aziendali sull’individuo. Invece di attribuire la responsabilità degli sprechi e del degrado ambientale alle aziende che confezionano i loro prodotti con materiali non sostenibili, si dà la colpa al consumatore che getta via e non ricicla. Certi programmi sono una truffa, gran parte di ciò che si getta nei contenitori appositi finisce nella discarica perché il trattamento è problematico. L’unica differenza è che occorre più benzina per far andare un camion apposito a raccoglierlo separatamente. E anche quando il rifiuto è effettivamente riciclato, non si tiene conto dell’energia necessaria al processo e dell’inquinamento causato dalla rifusione di certi materiali.
L’approccio migliore sta nel ridurre la quantità di rifiuti. E per quanto riguarda il riciclaggio dei rifiuti che comunque si producono, ci sono sistemi molto più efficaci e affidabili come il riuso, il riciclaggio creativo, la trash art, il compostaggio, nonché strumenti come Precious Plastic che riciclano la plastica producendo oggetti e materie prime per stampanti 3D.
L’ambientalismo anarchico ha un passato ricco di organizzazioni che vanno da Earth First! a Food Not Lawns all’Earth Liberation Front fino all’Institute for Social Ecology di Murray Bookchin. Ognuna di queste organizzazioni per raggiungere i propri scopi si serve di un mix di ecologia sociale, tecnologie intermedie, azione diretta e mutuo aiuto. Cosa ci insegna la loro storia? Come possiamo servirci del progresso per riparare i danni già fatti ed evitarne altri futuri?
Come Fermarli
Innanzitutto, invece di chiedere aiuti di stato per le energie rinnovabili o tassare la CO2, occorre andare alla radice del problema rappresentata dagli stessi aiuti alle aziende. Bisogna prima di tutto finirla con i sussidi per il petrolio, il gas, gli allevamenti e l’agricoltura industriale, e anche con tutti gli altri aiuti alle aziende. I sussidi, di qualunque genere siano, scaricano sugli altri i costi aziendali, compresi quelli ambientali, permettendo alle aziende di sopravvivere nonostante le pratiche precarie. Occorre poi spezzare il monopolio dei servizi imposto dallo stato, che soffoca la competizione e punisce chi esce dal sistema.
Ma abolire i sussidi non basta. Occorre bloccare i loro progetti. Occorre, ad esempio, vietare la fratturazione idraulica e le miniere a cielo aperto, abolire gli espropri per pubblica utilità, chiedere il rispetto dei diritti di proprietà, soprattutto delle popolazione indigene, contro i poteri aziendali, servirsi maggiormente di studi legali ambientalisti come Water Protector Legal Collective e Earthjustice per combattere stato e aziende. Fra le tattiche estreme c’è il blocco degli oleodotti, l’occupazione di cantieri, il sabotaggio, il danneggiamento della proprietà, tree sitting e tree spiking, l’embargo e l’affossamento delle miniere. Gruppi come Water Protectors e i suoi alleati si servono di un mix di denunce, richieste di diritti di proprietà, occupazioni, embargo e sabotaggi per realizzare i propri fini.
Dobbiamo anche fermare le pratiche dannose dell’agricoltura e dell’allevamento industriali. Gli allevamenti industriali sono dannosi non solo per gli animali coinvolti, ma anche per l’ambiente in generale, tra abuso di antibiotici, spreco di risorse e produzione concentrata di metano. Aggiungete poi le monocolture, e i pesticidi e i diserbanti sintetici. Ci sono organizzazioni come Food Not Bombs che si battono per dare ai bisognosi alimenti che altrimenti verrebbero buttati.
Altre organizzazioni, come l’Animal Liberation Front, combattono gli allevamenti industriali andando a liberare gli animali per offrire loro un rifugio, e distruggendo gli impianti. Movimenti come March Against Monsanto, che combattono l’agroindustria, fanno ben sperare, anche se l’accanimento particolare contro gli ogm e la retorica antiscientifica che ne segue distolgono l’attenzione da questioni più vaste e urgenti. La March Against Myths About Modification è stato un tentativo di correggere gli errori di tanta propaganda sui “frankenfoods” generata dalla March Against Monsanto; purtroppo, ignorando gli errori della Monsanto, ha dato l’impressione di essere contro la March Against Monsanto.
Nel lungo termine, però, non si può arrivare alla vittoria se non sono in atto alternative al sistema attuale.
Il Nuovo Mondo nel Guscio del Vecchio
Questo significa, tra l’altro, diffondere l’uso di tecnologie appropriate come il solare, l’idroelettrico, l’eolico, i biocarburanti e le biomasse. Le piccole pile a combustibile e la microgenerazione aiutano a decentrare la produzione energetica, riducendo il bisogno di reti elettriche di grandi dimensioni.
Un modo per ridurre l’inquinamento generato dai trasporti passa per la bicicletta, il trasporto pubblico, il carpooling, il ridesharing, i biocarburanti e le auto elettriche. Grazie a progetti come Local Motors si possono produrre automobili localmente, riducendo l’inquinamento generato dal trasporto dei singoli pezzi e delle auto finite sulle lunghe distanze. Tutto ciò può essere integrato con l’uso di materiali riciclati, come fa Precious Plastic, nuove fonti di energia come i biocarburanti, le auto a batteria (come le auto open-source di Tesla Motors): è un esempio di come i trasporti a lunga distanza potrebbero diventare più ecocompatibili.
Importanti sono anche le alternative all’attuale industria alimentare. In opposizione ai metodi industriali esiste la permacoltura, l’agricoltura verticale, il biologico, i piccoli allevamenti, la caccia, l’acquisto locale, l’acquisto diretto e forme di mercato come le cooperative zapatiste che producono caffè. E grazie a tecnologie come gli ogm si possono coltivare terreni ostili, aridi, si possono sviluppare specie resistenti agli insetti e altri parassiti comuni per ridurre l’uso di antiparassitari, mentre grazie alla ricerca scientifica si può arrivare a produrre carne in laboratorio ed eliminare completamente gli allevamenti.
Il passaggio a queste alternative è un inizio obbligato, ma non risolve i danni ambientali già fatti. Ma non mancano le soluzioni.
Ripulire il Cesso
Riforestazione, bonifica delle discariche, tecnologie per depurare l’acqua e l’aria, robot mangiaspazzatura, Precious Plastic, compostaggio e altro: tutto ciò può servire ad ovviare ai danni fatti dall’uomo.
Praticamente, dobbiamo ripulire ciò che è stato sporcato dai nostri predecessori, dai nostri vicini e da noi stessi. Fissare un giorno per ripulire la vicina spiaggia, il parco, la strada o il quartiere. Piantare alberi e altre essenze indigene. Mettere su rifugi in cui possano essere riabilitate o ospitate le specie a rischio, gli animali feriti e quelli ridotti in cattività. Occorre poi pensare a come eliminare le isole galleggianti di spazzatura che vagano per i mari.
In caso di fallimento, non ci rimarrebbe che abbandonare la terra e andare nello spazio, ma anche così dobbiamo imparare a vivere in modo ecosostenibile se non vogliamo continuare al solito modo e distruggere altri pianeti. Che poi, avendo le tecnologie per rendere abitabile un altro pianeta così da poter sostenere la vita basata sul carbonio, perché non utilizzarle per riparare i danni fatti sulla terra?
Speranza nel Futuro
A conti fatti, eliminare lo stato e il capitalismo servirà a salvare l’ambiente molto più di qualunque agenzia per l’ambiente, dipartimento per l’energia, accordo di Parigi o New Deal verde. Un approccio ambientale decentrato, dal basso, è fattibile. Dobbiamo fermare i loro piani, creare le nostre alternative, riparare al danno fatto finora. Assieme possiamo farlo. È compito nostro.