Il diciassette giugno, un bianco di nome Dylann Roof ha ucciso nove neri appartenenti alla chiesa Emanuel Methodist African Episcopal (Eame). Cito il colore della pelle perché non è un caso che siano stati uccisi dei neri. È stato un atto di terrorismo al servizio della supremazia dei bianchi.
Comprensibilmente, la gente si agita e chiede soluzioni facili, per lo più soluzioni che prevedono una dimostrazione di forza da parte dello stato. La realtà, purtroppo, è che non esistono soluzioni facili, e gran parte delle soluzioni suggerite non farebbero che peggiorare la situazione.
Molti, ad esempio, hanno usato la strage per chiedere controlli più severi sulle armi. Idea fallita in partenza.
Il bagno di sangue ad opera di Roof ha avuto luogo meno di dieci miglia dal punto in cui un poliziotto bianco, Michael Slager, ha ucciso Walter Scott, un negro, mentre scappava. Il caso di Slager è unico. Perché ne siamo venuti a conoscenza. E perché il poliziotto è stato incriminato. La polizia uccide ogni anno innumerevoli americani, e i neri sono le vittime più probabili.
I neri, in tutto il paese e non solo a Charleston, vedono la polizia come forza d’occupazione, non come protettori. Concentrare il possesso delle armi nelle mani della polizia non servirà a proteggerli, perché è proprio la polizia a diffondere terrore.
L’effetto delle leggi sulle armi, poi, è che i neri finiscono dentro più per possesso di armi che non per effetto di altre leggi federali, comprese quelle antidroga. Non è semplicemente che il controllo delle armi lascia le comunità svantaggiate alla mercé di chi più di ogni altro rappresenta una minaccia. È che il controllo delle armi è spesso il pretesto di quella minaccia.
Ma c’è anche chi chiede di “fare qualcosa” riguardo le malattie mentali. Questo ragionamento di comodo dimentica che le persone con disturbi psichici hanno molte più probabilità di essere vittime che non autori di una violenza.
E dimentica anche che il problema di Roof è ideologico, non psicologico. Invece di scrollare le spalle e dire “con i pazzi non puoi nulla”, dovremmo ammettere le ragioni che hanno spinto Roof: la supremazia dei bianchi.
In ultima analisi, per il crimine di Roof esiste una risposta riconosciuta quasi universalmente: la pena. C’è stato anche chi ha chiesto che la Carolina del Sud approvi leggi contro l’odio, così che futuri Dylann Roof possano essere puniti ancora più duramente.
Ma anche questo peggiorerebbe le cose. Nessuno trarrebbe vantaggio dalla pena di Roof. E poi c’è da aggiungere che l’attuale sistema legale deruba le vittime di un eventuale risarcimento.
Nel caso di Roof, sopravvissuti, parenti e conoscenti delle vittime lo hanno perdonato pubblicamente chiedendogli di pentirsi. Questo è il loro desiderio. Il desiderio del nostro sistema legale, al contrario, è l’appagamento della sete di sangue della popolazione.
Se davvero vogliamo combattere il razzismo e la violenza contro gli emarginati, la punizione, e il suo allargamento tramite leggi contro l’odio, è del tutto controproducente. Sono proprio le categorie “protette” da queste leggi quelle che hanno più probabilità di essere colpite.
Ecco perché il Sylvia Rivera Law Project (che s’incentra sulla protezione dei transgender e dei non eterosessuali) si oppone fermamente alle leggi contro l’odio. Come spiega in una sua dichiarazione forte:
Le leggi contro l’odio… allargano e rafforzano il potere del… sistema penale punitivo. Come dimostrato, queste leggi, come altre leggi penali, sono utilizzate in maniera parziale e impropria contro quelle comunità che vivono già nell’emarginazione. Aumentano i già altissimi tassi di detenzione dei neri, dei poveri, dei gay e dei transgender sulla base di un sistema intrinsecamente e profondamente corrotto.
Quando dico che non ci sono soluzioni facili, non sto dicendo che non esistono soluzioni. La risposta non è “non facciamo nulla”, né è “aspettiamo finché non avremo un sistema giudiziario basato sulla restituzione e il risarcimento”.
Dovremmo sviluppare soluzioni dal basso, toglierci di mezzo e lasciare che le situazioni operino da sé. Storicamente, Eame e altre chiese nere rappresentano una di queste soluzioni. Aiutano i neri a governare se stessi. Nel 1822 il fondatore della chiesa organizzò una rivolta degli schiavi.
La comunità bianca rispose dando fuoco alla chiesa. Per tutta risposta, la chiesa fu ricostruita.
Ora la comunità nera deve ricostruire se stessa. La popolazione bianca americana deve darsi da fare per impedire che qualcuno torni con il fuoco.
Molti neri americani, come l’associazione di possessori di armi Huey P. Newton, hanno già cominciato ad armarsi per autodifesa. Quando lo stato, dominato dai bianchi, cercherà di bruciare anche questo con il disarmo, allora sarà il momento di intervenire. E bloccarlo.
I bianchi americani devono farsi da parte, ma anche interrogarsi sul proprio razzismo e su quello dei loro simili.
Queste soluzioni non sono né rapide né facili. Ma sono le uniche che funzionino.